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AGGIUNGI

Il ruolo delle associazioni è stato in realtà valorizzato anche a livello

procedimentale dalle recenti modifiche apportate alla legge n. 241 del 1990, il cui

art. 9 attualmente prevede la possibilità delle associazioni che tutelano interessi

diffusi di partecipare al procedimento amministrativo. Tuttavia non è condivisibile

la tesi secondo cui l’associazione che abbia preso parte al procedimento debba

necessariamente vedersi riconoscere la legittimazione ad agire in giudizio.

Occorre invece, in proposito, una specifica norma.

In merito al dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativo alla tutela

giurisdizionale degli interessi superindividuali o diffusi, merita di essere segnalata

la sentenza n. 3507 del Consiglio di Stato, sez. VI, datata 11 luglio 2008.

Il problema di fondo che viene in rilievo è, come è noto, quello di coniugare

l’interesse superindividuale con la posizione classica dell’interesse legittimo.

Operazione questa particolarmente complessa, perché, come la dottrina non ha

mancato di evidenziare, almeno in radice interesse legittimo e interesse

ultraindividuale, nella sua forma per così dire primitiva di interesse diffuso, sono

esattamente agli antipodi. Infatti, mentre il primo riguarda una posizione di

vantaggio personale e differenziata, il secondo è, al contrario, un interesse non

individuale e non differenziato, poiché il soggetto singolo non vanta, con riferimento

al bene specifico, aspettative specifiche rispetto ad altri soggetti. Egli, cioè, non è

portatore di una posizione differenziata, visto che si trova nella stessa condizione

in cui versano le persone che appartengono alla collettività, più o meno ampia, che

è interessata al provvedimento amministrativo o al comportamento della p.a. Ciò

ha indotto la dottrina a qualificare tale interesse come adespota, perché privo di

un titolare.

Partendo da questa profonda differenza strutturale, la giurisprudenza si è sforzata di

individuare delle chiavi di lettura del nostro sistema di giustizia amministrativa

volte ad elidere tale diversità, preoccupandosi di far combaciare l’interesse

diffuso con l’interesse legittimo mediante l’individuazione di elementi di

differenziazione e qualificazione di determinati soggetti portatori dell’interesse

diffuso rispetto al gruppo sociale complessivamente inteso. Questa opera

ricostruttiva è stata compiuta dalla giurisprudenza sulla scorta della migliore dottrina,

da un duplice angolo visuale, non solo ponendo mente alla figura dell’interesse diffuso

per verificarne la compatibilità con l’interesse legittimo, ma anche avendo riguardo alla

effettiva portata di quest’ultimo. Si è giunti, in particolare, ad emancipare l’interesse

legittimo dal carattere squisitamente individuale e personale, valorizzando, in

quest’ottica, la previsione dell’art. 2 Cost. nella parte in cui dispone che “La

Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia

nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Si è quindi ritenuto che il

concetto di interesse legittimo vada affrancato da una accezione puramente

personalistica e vada riconosciuto anche in un ambito collettivo in cui il soggetto si

trova ad operare e ad esplicare la propria personalità.

Ne discende che gli interessi diffusi (rectius collettivi) ben possono essere

ricompresi, come specie, nel più ampio genere, dell’interesse legittimo, se di

quest’ultimo si ha una visione più estesa di quella tradizionale, non circoscritta alla

tutela delle situazioni soggettive di appartenenza esclusiva. Tale nuova concezione

dell’interesse legittimo, tuttavia, non era sufficiente per ricondurre l’interesse

diffuso nel novero delle posizioni soggettive meritevoli di tutela giudiziale.

Restava, infatti, da superare l’ostacolo principale frapposto alla tutelabilità

giurisdizionale dell’interesse in questione, consistente, come riferito, nel suo

carattere adespota. A tal fine, come è noto, è stata elaborata la tesi della

trasformazione dell’interesse diffuso in interesse collettivo, a tenore del quale il

primo, se dotato di struttura, ha natura di interesse collettivo. Queste due situazioni

soggettive, infatti, sebbene riconducibili entrambe alla categoria degli interessi

superindividuali sono sostanzialmente diverse.

L’interesse diffuso è un interesse privo di titolare, latente nella comunità e ancora

allo stato fluido, in quanto comune a tutti gli individui di una formazione sociale

non organizzata e non individuabile autonomamente. L’interesse collettivo,

invece, è quell’interesse che fa capo a un ente esponenziale di un gruppo non

occasionale, della più varia natura giuridica (si pensi alle associazioni riconosciute e

non, ai comitati, agli ordini professionali), ma autonomamente individuabile. Questo

interesse, in altre parole, sussiste quando una pluralità di interessi, riferibili ad una

intera categoria di soggetti, si neutralizza per capo ad una collettività determinata

ed organizzata. Si può pertanto sostenere che fino a quando gli interessi non si

soggettivizzano si è in presenza di interessi diffusi.

Stante questa profonda differenza, la concentrazione dell’interesse diffuso in

interesse collettivo si realizza proprio attraverso l’individuazione di soggetti

qualificati, e quindi di organismi collettivi, che agiscano istituzionalmente e

statutariamente per la sua tutela, e che di conseguenza, proprio per la particolarità

del fine che perseguono, emergono dalla collettività indifferenziata e si fanno

portatori delle istanze del gruppo sociale di cui sono esponenziali. Quindi,

dall’interesse diffuso, in cui ciascun membro del gruppo, che fruisce del bene di uso

collettivo è titolare di un interesse omogeneo rispetto a quello facente capo agli altri, si

passa all’interesse collettivo, in cui emerge una organizzazione che agisce a tutela

di quell’interesse e che diviene come tale portatrice di una posizione soggettiva

giuridicamente rilevante che la legittima ad impugnare provvedimenti

amministrativi o ad opporsi a comportamenti della p.a. che siano lesivi della

posizione giuridica protetta. Può considerarsi indirizzo ormai consolidato quello

secondo cui l’interesse diffuso si trasforma in interesse collettivo, e diventa,

quindi, interesse legittimo tutelabile in giudizio, nel momento in cui,

indipendentemente dalla sussistenza della personalità giuridica, l’ente dimostri la

sua rappresentatività rispetto all’interesse che intende proteggere.

Rappresentatività che deve essere desunta da una serie di indici elaborati, non senza

contrasti, dalla giurisprudenza nel corso degli ultimi trent’anni. 4.6.1. Occorre anzitutto

evidenziare che deve trattarsi di un ente il cui statuto preveda come fine istituzionale la

protezione di un determinato bene a fruizione collettiva, cioè di un dato interesse

diffuso o collettivo. In secondo luogo, l’ente deve essere in grado, per la sua

organizzazione e struttura, di realizzare le proprie finalità ed essere dotato di stabilità,

nel senso che deve svolgere all’esterno la propria attività in via continuativa. L’azione,

pertanto, deve assumere connotazioni tali da creare in capo all’ente una situazione

sostanziale meritevole di tutela, al fine di escludere la legittimazione a ricorrere delle

c.d. associazioni di comodo, la cui attività non riflette effettive esigenze collettive.

4.6.3. Infine, l’organismo collettivo deve essere portatore di un interesse localizzato,

deve, cioè, sussistere uno stabile collegamento territoriale tra l’area di afferenza

dell’attività dell’ente e la zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si

assume leso (criterio della c.d. vicinitas).

La tutela degli interessi collettivi deve essere valutata non solo con riguardo alle

garanzie previste per la sede giurisdizionale, ma anche con riferimento alla fase

procedimentale. Attualmente la legge n. 241 del 1990 sancisce il principio del giusto

procedimento, ma deve segnalarsi che anche in precedenza l’ordinamento italiano

prevedeva la possibilità, per soggetti estranei alla P.A., di presentare osservazioni,

deduzioni, proposte (si pensi in proposito all’art. 6 della L. 142 del 1990, ora recepito

dall’art. 8 del d.lgs. n. 267 del 2000, Testo Unico sugli enti locali)Ora, l’art. 9 della Legge

n. 241 del 1990 stabilisce che “Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o

privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui

possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel

procedimento”. Conseguentemente, l’art. 10 prevede che i soggetti partecipanti al

procedimento hanno diritto: a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo le

eccezioni di legge; b) di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione

ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento. Tale norma,

con tutta evidenza, segna un passo importante anche nel dibattito relativo alla

legittimazione processuale amministrativa degli enti esponenziali. Tale legittimazione,

infatti, era stata a lungo negata sulla base del presupposto che l’azionabilità della

tutela giurisdizionale concernesse esclusivamente le posizioni di interesse personale e

individuale. Negli ultimi venti anni, tuttavia, la giurisprudenza aveva elaborato una

casistica volta a individuare gli interessi diffusi dotati dei caratteri della differenziazione

e qualificazione (cfr. lezione n. 9) meritevoli di tutela. Negli ultimi anni la giurisprudenza

ha preferito il criterio della partecipazione procedimentale, che riconosce la

legittimazione a ricorrere a tutela degli interessi collettivi a tutte le organizzazioni di tipo

associativo ammesse a partecipare al procedimento amministrativo finalizzato

all’emanazione dell’impugnando provvedimento. In tal modo la giurisprudenza ha

sancito un collegamento tra la tutela procedimentale e la tutela giurisdizionale. Tale

criterio ha poi trovato nell’attuale art. 9 della legge n. 241 del 1990 una conferma

importante. Questa norma, infatti, sancisce la legittimazione procedimentale dei

portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati e, conseguentemente,

ne riconosce anche la legittimazione processuale. Quest’ultima, dunque, è attribuita a

tutte le organizzazioni che siano abilitate a partecipare al procedimento amministrativo

al termine del quale è emanato il provvedimento da impugnare. Un’ulteriore conferma,

ove ve ne fosse bisogno, deriva anche dal D.P.R. n.

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
16 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/15 Diritto processuale civile

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Rossana0000 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di diritto processuale civile e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica "e-Campus" di Novedrate (CO) o del prof Caporusso Simona.