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PERCORSO 2: ATTI PUBBLICI E TUTELA
DEI DIRITTI
Fonti del Diritto: nozioni generali
Costituzione Livello costituzionale delle fonti
Leggi cost. e di
revisione cost.
Statuti reg. spec.
Legge ordinaria Livello primario o
Legge regionale “ordinario” delle fonti
Decreto-legge
Decreto legislativo
Esito valido ref. abrog.
Reg. parlamentare Livello secondario e
residuale
Regolamenti amministrativi
Leggi cost. = integrano la cost.
Leggi di revisione cost. = modificano la cost.
Leggi ordinarie sono emanate dal parlamento
D.leg. e D.lgs. sono atti aventi forza di legge emanati dall’esecutivo, i primi
necessitano di conversione in legge da parte del parlamento, i secondi invece sono
emanati su delega del parlamento.
Fonti di produzione e di cognizione
Una “fonte del diritto” è un atto o un fatto abilitato dall’ordinamento a produrre
norme giuridiche; le fonti sono ordinate in una struttura gerarchica, al vertice vi è la
Costituzione, la quale indica (artt.70-81) le fonti ad essa immediatamente inferiori,
quelle primarie, le quali a loro volta indicano quelle secondarie.
Le norme di un ordinamento giuridico che indicano le fonti abilitate a innovare lo
stesso ordinamento si chiamano “norme di riconoscimento”, oppure fonti sulla
produzione delle norme. Da queste si distinguono le fonti di cognizione, ossia gli
strumenti attraverso i quali si viene a conoscenza delle fonti di produzione; queste
possono essere ufficiali (es. la Gazzetta ufficiale della rep. italiana) o private/non
ufficiali (le notizie pubblicate non hanno valore legale, sono solo strumenti
d’informazione delle norme in vigore).
Tutti gli atti normativi devono essere per legge pubblicati su una fonte ufficiali
affinché i cittadini li possano conoscere, inoltre, per consentire il loro
approfondimento, questi non entrano in vigore immediatamente dopo la
pubblicazione, ma dopo un periodo di regola di 15 giorni detto “vacatio legis”, dopo
il quale vige la presunzione di conoscenza della legge (“ignorantia legis non
excusat”).
Le fonti di produzione si distinguono in due categorie:
Fonti-atto o atti normativi = sono atti giuridici (comportamenti consapevoli e
volontari che danno luogo ad effetti giuridici).
Queste hanno una forma essenziale, cioè l’atto è diviso in articoli, e questi in
commi; gli articoli (spesso corredati da una rubrica che ne indica l’argomento),
possono essere raggruppati in capi, e questi in titoli e parti.
Fonti-fatto o fatti normativi = sono tutte le altre fonti che l’ordinamento
riconosce non perché prodotte dalla volontà di un soggetto, ma per il
semplice fatto di esistere, tra questi vi sono gli eventi naturali o sociali che
producono conseguenze rilevanti sull’ordinamento (es. nascita).
Una particolare fonte-fatto è la consuetudine, cioè un comportamento sociale
ripetuto talmente nel tempo che viene percepito come giuridicamente
vincolante oggi è quasi scomparsa dagli ordinamenti moderni che, come il
nostro, s’ispirano al sistema della codificazione.
Altri tipi di fonti-fatto sono quelle fonti che sono in origine atti, ma che nel
nostro ordinamento sono considerati fatti, cioè quelle fonti che producono
norme che sono sì richiamate dal nostro ordinamento, ma non prodotte dai
nostri organi; è il caso delle norme prodotte dall’U.E. o dal diritto
internazionale privato.
Rinvio ad altri ordinamenti
Il principio di esclusività esprime la sovranità dello stato, al quale è riconosciuto il
potere esclusivo di riconoscere le proprie fonti, e cioè di indicare atti e fatti che
possono produrre norme nell’ordinamento.
Per consentire alle norme prodotte da fonti di altri ordinamenti di operare
all’interno dell’ordinamento statale, si ricorre al rinvio, che può essere:
- fisso o “recettizio”, se viene richiamato tramite una disposizione
dell’ordinamento statale un certo atto in vigore in un altro ordinamento; si
ordina così ai soggetti dell’applicazione del diritto (giudici e p.a.) di
applicare le norme ricavabili da tale atto. Eventuali variazioni apportate
all’atto cui si rinvia, cioè l’atto “recepito”, sono di regola indifferenti per il
nostro ordinamento, a meno che non s’intervenga con un ulteriore atto di
recepimento.
- mobile o “non recettizio”, se tramite una disposizione si richiama non uno
specifico atto di un altro ordinamento, ma un’intera fonte dello stesso. Col
rinvio mobile l’ordinamento statale si adegua automaticamente a tutte le
modifiche che nell’ordinamento d’origine dell’atto vengono prodotte sulla
fonte richiamata e sulla normativa che questa pone.
La funzione dell’interpretazione e le antinomie
Il legislatore (l’organo a cui l’ordinamento riconosce il potere di emanare atti
normativi, che in Italia è il parlamento) esprime la sua volontà di disciplinare una
determinata materia tramite gli atti normativi, ossia documenti scritti contenenti
delle disposizioni (enunciati linguistici, quello che c’è scritto nel testo legislativo), le
quali interpretate e inserite in un certo ordinamento giuridico possono dar vita a
norme (ciò che si ricava dalla disposizione tramite l’interpretazione). Si sottolinea
“interpretate” perché le disposizioni non hanno significato preciso ed univoco, al
contrario, una frase cambia di significato in base al contesto in cui è inserita, inoltre
le leggi subiscono continui aggiornamenti e spesso sono confusionarie poiché
derivanti da compromessi politici è indispensabile l’attività d’interpretazione,
che va distinta da quella di applicazione.
L’applicazione del diritto consiste nell’applicazione di una norma astratte e generale
ad un caso concreto e particolare: es. la norma dice che se è compiuto, da chiunque
(generalità) ed in qualsiasi circostanza (astrattezza), il comportamento X, dev’esserci
una conseguenza Y la conseguenza Y è l’applicazione della norma, ossia la
conclusione, ma affinché ciò sia possibile ci devono essere due premesse, una
“maggiore”, ossia l’esistenza della norma, ed una “minore”, ossia il fatto compiuto.
La norma è il frutto dell’interpretazione delle disposizioni, le quali come detto in
precedenza non sono mai chiare ed univoche. Il legislatore può cercare a volte di
risolvere certi gravi dubbi interpretativi aggiungendo nuove disposizioni alle vecchie
con lo scopo di precisarne il significato: è un tentativo di interpretazione all’origine
detta autentica (in realtà non è un’attività interpretativa vera e propria, ma di
legislazione, perché si emana una disposizione che dice che un’altra disposizione va
intesa in un certo senso). La reale attività d’interpretazione è compiuta
esclusivamente dagli interpreti (giudici) e non dal legislatore per via della
separazione dei poteri.
L’interprete è chiamato ad esercitare la sua funzione nei casi di “antinomie”, ossia i
contrasti tra norme che si hanno quando le disposizioni esprimono significati che
sono tra loro incompatibili, e cioè che qualificano lo stesso comportamento in modi
contrastanti (lo permetto e lo vietano, lo dichiarano obbligatorio e facoltativo…) il
compito dell’interprete è quello di: o attribuire alle disposizioni in gioco significati
tali che non siano più contrastanti (interpretazione sistematica) oppure nella
maggior parte dei casi, quando la prima soluzione non sia possibile, individuare
quale fra le norme vada applicata al caso particolare, utilizzando uno dei seguenti 4
criteri:
CRITERIO CRONOLOGICO
Secondo tale criterio, in caso di contrasto tra due norme, si deve preferire
quella più recente a quella più antica; tale prevalenza si esprime attraverso
l’abrogazione (effetto prodotto dall’introduzione di una norma più recente
che consiste nella cessazione dell’efficacia di quella precedente
*con efficacia s’intende la capacità di una norma di produrre effetti giuridici*).
Come per gli atti normativi, anche per l’abrogazione vige il principio di
irretroattività: essa dispone effetti futuri ma non passati, quindi la norma
abrogata perde efficacia da quando entra in vigore l’atto di abrogazione (ex
nunc , “da ora”), ma si riferisce solo ai casi e rapporti giuridici che sorgeranno
dopo l’entrata in vigore dello stesso, pertanto i rapporti sorti
precedentemente all’abrogazione della norma continuano ad essere regolati
da essa. L’abrogazione può essere di vari tipi:
- espressa = per dichiarazione espressa del legislatore, tramite una
disposizione che di solito contiene negli articoli finali la formula “sono
abrogate le seguenti disposizioni…”.
principio erga omnes: l’abrogazione vale sempre per tutti.
- tacita = per incompatibilità tra le nuove disposizioni e quelle vecchie, è
ispirata al principio per cui la volontà del parlamento non può vincolare i
parlamenti futuri.
principio inter partes: l’abrogazione vale solo nel singolo giudizio e non
vincola gli altri giudici a fare lo stesso.
- implicita = la nuova legge regola l’intera materia che era già regolata dalla
legge anteriore, la quale quindi è abrogata implicitamente.
principio inter partes.
Diversa dall’abrogazione è la deroga, che nasce dal contrasto tra una
norma generale ed una particolare (cioè un’eccezione alla regola), es.
l’obbligo di pagare tasse ma con l’eccezione dei terremotati. la norma è
derogata, cioè non perde efficacia come l’abrogazione, ma viene limitato il
suo campo di applicazione.
Simile alla deroga è la sospensione di una norma per un certo periodo.
CRITERIO GERARCHICO
Secondo tale criterio, in caso di contrasto tra due norme, si deve preferire
quella che nella gerarchia delle fonti occupa il posto più elevato; tale
prevalenza si esprime attraverso l’annullamento (dichiarazione di illegittimità
che un giudice pronuncia nei confronti di un atto/disposizione/norma, che
perde dunque validità
*per validità s’intende la conformità di un atto giuridico rispetto alle norme
che lo disciplinano*).
Un atto invalido è per definizione “viziato”, i vizi possono essere:
- formali = l’intero atto è viziato per questioni di forma (es. è emanato da un
organo incompetente)
- sostanziali = è il contenu