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CASI IN CUI IL LICENZIAMENTO È NULLO
Il licenziamento è colpito da una nullità che porta alla reintegrazione sul posto di lavoro.
Casi particolari in cui Il licenziamento si configura come un atto illecito rispetto al quale il legislatore reagisce in
maniera più severa disponendo la reintegrazione. Sono casi che si applicano indipendentemente dalla dimensione
occupazionale, sono discipline che si applicano a tutti perché la logica di fondo è andare a colpire in modo severo
delle situazioni antigiuridiche che portano ad un giudizio di illeicità.
Quali sono questi casi:
- Licenziamento discriminatorio
- Licenziamento della lavoratrice in maternità
- Licenziamento per motivo illecito
Questi casi non portano solo alla nullità dell’atto stesso ma anche alla conseguenza di un regime di reintegrazione
chiamato tutela reale forte, nel senso che alla reintegrazione si accompagna anche una indennità risarcitoria
piuttosto alta.
Le ipotesi di licenziamento nullo, sostanzialmente, sono coincidenti sia nel regime della legge Fornero sia nelle regole
del decreto 23/2015 , apparentemente no ma nella sostanza il significato di queste disposizioni coincide.
Partendo dall’ Art.18 andiamo a vedere quali ipotesi di licenziamento nullo prevede:
1. Licenziamento discriminatorio (non ci sono molti casi): si parla di licenziamento discriminatori quando è
adottato sulla base di un fatto vietato di discriminazione. Trova la sua origine sulla base di quel fattore che,
l’ordinamento giuridico, ritiene essere discriminatorio. I fattori vietati costituiscono una lista chiusa e sono:
o Genere
▪ Sesso
▪ Origini etnica
▪ Condizione religiose e personali
▪ Opinioni politiche e sindacali
▪ Handicap
▪ Lingua
▪ Età
▪ Orientamento sessuale
È un elenco chiuso , analitico.
Che cos’è la Discriminazione: trattare in maniera diversa due soggetti, in una situazione uguale, sulla base di
elementi discriminatori.
Se il datore di lavoro pone in essere un licenziamento di questo tipo è sottoposto alla tutela reale forte.
Quindi il lavoratore impugna il licenziamento e, nel caso il giudice accerti che quel licenziamento è
effettivamente discriminatorio, condannerà il datore al reintegro sul posto di lavoro e ad un risarcimento del
danno. Lo condannerà al versamento d’indennità che è pari a tutte le mensilità di retribuzioni non
corrisposte al lavoratore dal momento del licenziamento illegittimo fino all’effettiva reintegrazione in
servizio, con un minimo di 5 mensilità.
Sanzione severa anche dal punto di vista operativo: pensare ai tempi della giustizia.
La base di calcolo è la retribuzione globale di fatto.
Una cosa importante è che starà al lavoratore portare le prove di questa discriminazione, la situazione si
rovescia. Se voglio contestare la natura del licenziamento, è il lavoratore che deve portare in giudizio degli
elementi che convincano il giudice del fatto che la vera ragione del licenziamento è discriminatorio. Essendo
molto difficile sono previste delle agevolazione temporanee, cioè è sufficiente che il lavoratore porti degli
elementi presuntivi precisi e coincidenti temporali, cioè elementi che anche se non sono la prova precisa,
siano tali da configurare una presunzione.
Quando il lavoratore riesce a portare un numero sufficiente di prove che almeno portino alla presunzione,
allora il giudice chiederà al datore di lavoro, di portare la prova contraria, cioè la prova di assenza di
discriminazione. Questa prova è difficilissima, è la prova di un fatto negativo.
Come si prova un fatto negativo?
La prova si trova con la presunzione di fatti positivi contrari. In questi casi si dice che c’è una parziale
inversione dell’onore della prova, vi è una prova agevolata per il lavoratore.
Se non vi è interesse del lavoratore a rientrare in servizio, magari dopo molti anni, può farlo?
Esiste una via d’uscita prevista dal legislatore. Anzitutto, il datore di lavoro nel momento in cui ha una
condanna alla reintegrazione, deve invitare il dipendente a riprendere il servizio, se il dipendente non si
presenta il rapporto di lavoro è risolto. In alternativa il lavoratore, che non abbia ripreso servizio entro 30
giorni, può richiedere un’ indennità sostitutiva della reintegrazione pari a 15 mensilità, in aggiunta al
risarcimento comunque liquidato dal giudice.
L’accettazione dell’indennità determina la risoluzione del rapporto di lavoro. La decisione spetta al
lavoratore, non al datore di lavoro.
Vale la stessa disciplina sanzionatoria e la stessa conseguenza per :
2. Licenziamento per maternità o per paternità: lavoratore/ lavoratrice in concedo e interviene un
licenziamento che ha come motivo, magari non palese, ma legato a questa condizione. Viene assimilato con
la disciplina ma con una variante, perché ci sono dei periodi di presunzione (limitati al tempo massimo di
concedo previsto della legge, 5 mesi).
3. Licenziamento per causa di matrimonio: licenziare le lavoratrici che si sposavano, era una misura di cautela
all’eventuale maternità.
4. Licenziamento per motivo illecito determinante: stiamo parlando di un licenziamento che è motivato da un
motivo illecito determinate, quindi è l’unico motivo che ha portato al licenziamento (non è un motivo
discriminatori).
Es: licenziamento ritrosivo, licenziamento adottato sulla base di un comportamento lecito del lavoratore che
determina, come reazione, il licenziamento dello stesso. Ad esempio lo è: sono un lavoratore che ha forti
crediti per redistribuzioni non corrisposte richiedo in giudizio il pagamento di questa retribuzioni e il datore
di lavoro mi licenzia. Il motivo è illecito ma non è discriminatorio ma è comunque nullo.
Nel licenziamento per motivo illecito, il lavoratore, non beneficia dell’agevolazione probatoria che invece ha nel caso
di licenziamento discriminatorio. In questo caso, al giudice, occorre provare anche l’intento del datore di lavoro, cioè
l’elemento soggettivo.
Il Jobs Act non cambia sostanzialmente le cose ma adotta una forma più riassuntiva nella sostanza, l’effetto è lo
stesso:
➔ Prevede esplicitamente un elenco di fattori vietati di discriminazione. Aggiunge una norma generale che
dice: il licenziamento è nullo in tutti gli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, è una formula
riassuntiva. Anche il motivo illecito viene compreso, implicitamente , perché il motivo illecito, in generale, è
un caso di nullità.
C’è una differenza nel regime sanzionatorio che sono le basi di calcolo della retribuzione. In questo caso il
riferimento è la retribuzione utile ai fini del trattamento di fine rapporto.
Casi particolari :
1. Licenziamento illegittimo motivato con l’inidoneità fisica o psichica del lavoratore: il licenziamento è
legittimo se non riesco, pur avendo tentato, di riadibire utilmente quel lavoratore all’interno
dell’organizzazione produttiva.
Il licenziamento è illegittimo quando il lavoratore non si rivela inabile al lavoro. In questo caso la legislazione
da una tutela forte al lavoratore licenziato perché, sia nel caso dell’applicazione della legge Fornero sia nel
caso del jobs act, abbiamo la reintegrazione in servizio. Nel caso della legge Fornero abbiamo la cosiddetta
tutela reale debole, con un risarcimento fino a 12 mensilità. Nel jobs act è prevista la tutela reale forte,
questo perché il jobs act considera questo caso un caso molto grave di licenziamento illegittimo e lo associa
al licenziamento illegittimo per disabilità.
2. Per superamento del periodo di comporto ( periodo, definito dai contratti collettivi, durante il quale il
lavoratore può legittimamente assentarsi, a fronte di una malattia, conservando il posto di lavoro).
Se la malattia è lunga è possibile che si superi questo periodo di comporto (generalmente sono 180 giorni).
Al superamento di questi 180 giorni di assenza, il lavoratore torna ad essere licenziabile con una motivazione
“ sui generis”, nel senso che è caso particolare.
Questo caso è disciplinato dall’2110 del Codice Civile che afferma:
➔ quando si supera il periodo di comporto, il lavoratore, è licenziabile con preavviso.
Il periodo di comporto viene calcolato per sommatoria, non devono essere 180 giorni tutti in uno stesso
periodo.
Il licenziamento è illegittimo quando avviene prima della fine del periodo di comporto.
Il jobs act non prevede nulla, per quanto riguarda questo caso di licenziamento illegittimo, però, per via
interpretativa possiamo trovare una soluzione: stiamo licenziando e andando a violare l’art. 110 del c.c., la
violazione di norme imperative comporta la nullità dell’atto (Quindi potremmo andare a dire che anche nel
regime di Jobs act si applica la tutela reale forte).
ORGANIZZAZIONI DI TENDENZA
Sono datori di lavoro, non imprenditori, che svolgono un’attività di natura culturale, d’istruzione, di religione, di culto
o di natura politica o sindacale.
Per queste organizzazioni vige un regime particolare: fino al decreto 23/2015 hanno beneficiato di un regime
agevolato, rispetto agli imprenditori di genere, in materia di licenziamenti illegittimi. In queste organizzazioni era più
semplice licenziale perché, indipendentemente dalla dimensione occupazionale del datore di lavoro, per i lavoratori
assunti prima del 7 marzo 2015 si applica, e si applicava, la legge 604/1966.
Dal 7 marzo 2015, le cose cambiano, perché si applica anche a questi datori di lavoro il decreto 23/2015.
Nel decreto 23/2015, il legislatore ha anche previsto, una agevolazione fiscale e contributiva nel caso di conciliazione
delle controversie in materia di licenziamento. È una misura che dovrebbe incentivare a non andare in giudizio ma a
mettersi d’accordo. L’incentivo è che, è prevista, un’ agevolazione fiscale e contributiva sulle somme definite in sede
di conciliazione. Questo è previsto soltanto per i licenziamenti ai quali viene applicati il regime del decreto 23/2015.
Lezione del 16/11
Vizi formali e procedurali del licenziamento e le conseguenti sanzioni
Per licenziare un lavoratore è necessario seguire una particolare procedura? Si, c’è un generale obbligo di forma
scritta e di informazione dei motivi in forma scritta. Poi ci sono anche delle procedure più specifiche che devono
essere rispettate per la validità l’atto di recesso. Una di queste procedure è il procedimento disciplinare regolato
dall’art. 7 dello statuto dei lavoratori. Esso è quell’insieme di regole ch