LIMITI ALL’INGRESSO DELLE FONTI COMUNITARIE NELL’ORDINAMENTO INTERNO
Nonostante l’art. 11 della Costituzione italiana consenta una cessione di sovranità in favore delle istituzioni
comunitarie, esistono dei limiti costituzionali che anche le leggi di esecuzione dei trattati e le fonti
comunitarie non possono superare. Tali limiti includono il rispetto dei principi fondamentali della
Costituzione italiana e dei diritti inviolabili dell’uomo. Se le leggi di esecuzione dei trattati comunitari
possono essere controllate dalla Corte Costituzionale, lo stesso non può avvenire per le fonti comunitarie,
poiché non sono considerate “atti dello Stato” o delle regioni ai sensi dell’art. 134 della Costituzione.
Un punto delicato riguarda la protezione dei diritti fondamentali, un tema che è stato riconosciuto e
affrontato anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Quest’ultima ha cercato di colmare la lacuna
nel diritto comunitario, integrando le disposizioni scritte con i principi costituzionali comuni degli Stati
membri, e facendo riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Sebbene la Corte di Giustizia abbia sviluppato un sistema autonomo di protezione dei diritti fondamentali,
basato sui trattati e sulle tradizioni costituzionali degli Stati membri, la coincidenza tra i principi
costituzionali degli Stati membri e i principi generali del diritto comunitario non è sempre pienamente
garantita.
IL CONTROLLO SULLA COSTITUZIONALITÀ DELLE FONTI COMUNITARIE
Le recenti modifiche dei trattati comunitari (come quelle introdotte dall’Atto unico europeo del 1986 e dal
trattato sull’Unione Europea del 1992) hanno ribadito l’obbligo per le istituzioni comunitarie di rispettare i
diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dai
principi comuni delle Costituzioni degli Stati membri.
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Tuttavia, la giurisprudenza della Corte di Giustizia non ha ancora risolto del tutto il problema della
compatibilità tra le norme comunitarie e i principi costituzionali nazionali, in particolare riguardo ai principi
irrinunciabili della Costituzione italiana.
Questo scenario solleva un problema importante per il sistema giuridico italiano: la Corte Costituzionale
non ha competenza diretta per controllare la costituzionalità dei regolamenti e delle altre fonti comunitarie,
ma potrebbe esserci un controllo “diffuso” da parte dei giudici comuni, che potrebbero decidere di non
applicare le disposizioni comunitarie che risultano in contrasto con i principi fondamentali della
Costituzione italiana.
CONCLUSIONE
In sintesi, l’integrazione delle norme comunitarie nell’ordinamento italiano ha portato a un’evoluzione
significativa, ma non priva di difficoltà. La crescente preminenza del diritto comunitario ha reso
necessario un adattamento delle leggi nazionali, ma i limiti imposti dai principi costituzionali italiani restano
un tema cruciale, soprattutto per quanto riguarda la protezione dei diritti fondamentali.
97 CAP. XII – FONTI EUROPEE
Nel sistema giuridico dell’Unione Europea, si distingue tra diritto convenzionale e diritto derivato. Questi
due tipi di diritto provengono da fonti diverse, ma interconnesse. Le fonti del diritto convenzionale sono i
trattati che hanno istituito e sviluppato l’Unione Europea. Questi trattati disciplinano gli organi dell’Unione, i
loro poteri normativi e il processo attraverso cui vengono adottati gli atti normativi che costituiscono il
diritto derivato. I trattati dell’UE sono considerati la “Costituzione” dell’Unione Europea, in quanto hanno
una superiorità gerarchica rispetto agli atti normativi derivati e vengono interpretati e controllati dalla Corte
di Giustizia dell’Unione Europea. Quest’ultima ha giurisdizione esclusiva per l’interpretazione del Trattato
e del diritto derivato, garantendo il rispetto della loro validità e legittimità.
TRATTATI E DIRITTI FONDAMENTALI
L’importanza costituzionale dei trattati è stata rafforzata con il Trattato di Maastricht, che ha incluso un
esplicito richiamo ai diritti fondamentali, come quelli garantiti dalla Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo e dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri. La Corte di Giustizia ha un ruolo di controllo
costituzionale, assicurando che il diritto derivato rispetti questi diritti fondamentali. Questo controllo è
tipico di una corte costituzionale, in quanto la Corte di Giustizia verifica che le normative adottate a livello
dell’Unione non siano in contrasto con i principi fondamentali sanciti dai trattati.
LE FONTI DEL DIRITTO DERIVATO
Le principali fonti del diritto derivato dell’Unione Europea sono i regolamenti, le direttive e le decisioni.
1) I regolamenti UE: Questi atti normativi sono vincolanti per tutti gli Stati membri e hanno una
portata generale, cioè sono direttamente applicabili in ciascun ordinamento nazionale, senza
necessità di trasposizione da parte degli Stati membri. I regolamenti impongono la stessa disciplina
in tutti gli Stati membri, senza che ci sia discrezionalità nella loro applicazione. La loro diretta
applicabilità è una caratteristica fondamentale che li distingue dalle direttive, e ciò significa che non
è necessario un atto normativo nazionale per darvi attuazione. In altre parole, i regolamenti europei
prevalgono direttamente sugli ordinamenti nazionali.
2) Le direttive UE: Le direttive sono vincolanti per gli Stati membri solo riguardo al risultato da
raggiungere, ma lasciano una certa discrezionalità agli Stati membri in merito alla forma e ai mezzi
per raggiungere tale risultato (art. 288.3 TFUE). In pratica, gli Stati membri devono conformarsi agli
obiettivi fissati dalla direttiva, ma possono scegliere il metodo per attuarla, che può essere una legge,
un regolamento o altri provvedimenti amministrativi. Talvolta, le direttive sono molto dettagliate per
limitare la discrezionalità degli Stati e ottenere un’applicazione uniforme.
3) Le decisioni UE: Le decisioni sono atti normativi che si rivolgono a destinatari specifici, come uno
Stato membro o una persona giuridica determinata, come una società commerciale. A differenza dei
regolamenti, le decisioni sono vincolanti per i destinatari specifici e sono direttamente
applicabili. Le decisioni non sono generalmente considerate una fonte primaria del diritto, ma sono
atti che applicano le norme generali dell’Unione a casi specifici.
EFFETTO DIRETTO E AUTONOMIA NORMATIVA
Un altro aspetto importante è il concetto di “effetto diretto”. L’effetto diretto riguarda la capacità di una
norma del diritto dell’Unione Europea di creare diritti e obblighi direttamente per i singoli cittadini, senza
necessità di un intervento da parte degli Stati membri. Ciò si applica in particolare alle norme che sono self-
executing, ossia che possono produrre effetti giuridici immediati nell’ordinamento nazionale senza bisogno
di una legge nazionale di attuazione. Il riconoscimento dell’effetto diretto di una norma è stabilito dalla
Corte di Giustizia, che ha il compito di determinare quali disposizioni abbiano questo carattere.
L’“effetto diretto” del diritto dell’Unione Europea rappresenta uno degli strumenti fondamentali per
garantire la prevalenza del diritto europeo sul diritto nazionale. Questa dottrina consente a determinate norme
dell’Unione di produrre effetti giuridici immediati nell’ordinamento nazionale, senza che sia necessario un
intervento del legislatore nazionale. In particolare, l’effetto diretto serve a proteggere i diritti dei cittadini e a
garantire l’effettiva applicazione del diritto europeo, anche quando uno Stato membro non adempie
correttamente ai suoi obblighi di attuazione.
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COMPONENTE SANZIONATORIA E DI GARANZIA
L’effetto diretto ha una doppia funzione:
1) Sanzionatoria per lo Stato inadempiente: Se uno Stato membro non attua correttamente o
tempestivamente una norma europea, i cittadini possono invocare direttamente tale norma davanti ai
giudici nazionali. Lo Stato, quindi, non può sottrarsi alle obbligazioni europee con l’argomento di
non aver ancora attuato la norma.
2) Garanzia per i singoli: I cittadini possono far valere i diritti garantiti dal diritto europeo anche
contro uno Stato che non ha adempiuto ai suoi obblighi, utilizzando la norma europea direttamente
davanti ai giudici nazionali. Questo meccanismo tutela i diritti dei singoli, evitando che l’inerzia
dello Stato impedisca l’applicazione delle normative europee.
LE QUATTRO POSSIBILITÀ DI APPLICAZIONE DELL’EFFETTO DIRETTO
Quando si combina il concetto di “diretta applicabilità” (tipica di alcuni atti dell’UE) con quello di “effetto
diretto” (che riguarda le singole norme), si possono avere quattro scenari distinti:
1) Norme direttamente efficaci (self-executing) espresse da atti direttamente applicabili: Questo è
il caso tipico dei regolamenti UE. Una volta che un regolamento entra in vigore, le sue disposizioni
producono effetti giuridici immediati nell’ordinamento nazionale, senza necessità di intervento da
parte del legislatore nazionale. Queste norme sono considerate auto-esecutive e si applicano
direttamente.
2) Norme non direttamente efficaci espresse da atti direttamente applicabili: Alcuni regolamenti
UE forniscono un quadro normativo che deve essere ulteriormente attuato da altri regolamenti o da
normative nazionali. In questi casi, le norme non sono direttamente efficaci fino a quando non
vengono adottati altri atti legislativi.
3) Norme direttamente efficaci (self-executing) espresse da atti non direttamente applicabili: Un
esempio comune sono le direttive UE o disposizioni specifiche dei trattati. Sebbene le direttive non
siano generalmente direttamente applicabili (perché devono essere trasposte nei diritti nazionali),
alcune disposizioni possono essere interpretate dalla Corte di Giustizia come direttamente efficaci.
Ad esempio, il divieto imposto dai Trattati UE agli Stati membri di creare ostacoli alla libera
circolazione delle persone e delle merci può essere considerato direttamente applicabile da parte dei
cittadini, senza necessità di attuazione nazionale.
4) Norme non direttamente efficaci espresse da atti non direttamente applicabili: Questo scenario
riguarda principalmente le direttive UE. Le norme contenute nelle direttive, di solito, non creano
diritti azionabili direttamente dai singoli, in quanto richiedono l’attuazione da parte del legislatore
nazionale. Tuttavia, se uno Stato membro non adempie a questo obbligo, può essere chiamato a
risarcire i danni derivanti dall’inadempimento. In altre parole, lo Stato inadempiente può essere
responsabile per il danno subito dai cittadini a causa d
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