Difetti materiali della cosa
È una tematica complessa che ha da sempre costituito un problema particolarmente grave per la ricostruzione dei contenuti della disciplina del contratto di vendita.
Qual è il problema?
Conseguire la proprietà e il possesso della cosa acquistata è di fondamentale importanza. Se conseguo la proprietà ed il possesso attraverso la consegna della cosa acquistata, inizio ad usarla e nell’utilizzo emergono difetti materiali che ne pregiudicano l’utilità non consentendone l’uso in tutti gli scopi cui è destinata, rivelandosi inidonea all’uso che dovrei farne o fornisce prestazioni inferiori. Cosa accade in queste ipotesi?
Come fare in questi casi?
Si può immaginare che un compratore, a fronte della scoperta dei vizi, possa avanzare dei diritti nei confronti del venditore?
La problematica che risiede nel caso è data dalla natura della prestazione cui è tenuto il venditore: un mero DARE. Questo era l’approccio rigidissimo utilizzato dai romani, rispondente al brocardo latino caveat emptor, ossia 'stia in guardia il compratore'.
Ciò che ne è della cosa nel corso del suo utilizzo non interessa al venditore. Questa era la visione dei romani, che ritenevano che il compratore dovesse essere cauto quando guarda la cosa, perché se si fosse rivelata priva di determinate caratteristiche materiali, che sperava possedesse, il relativo rischio è a suo carico. Il venditore non rispondeva dei vizi materiali che la cosa poteva presentare dopo la consegna. Una volta che il dare materiale e giuridico si è esaurito, il venditore è liberato dall’obbligazione.
Questo a meno che:
- Il venditore, in occasione della stipulazione del contratto, non abbia esplicitamente promesso che la cosa ha una determinata particolarità; in questo caso di 'promissio', in relazione a una specifica qualità, che poi si scopre essere assente, il compratore può chiedere il risarcimento solo per violazione della promessa.
- Dolo del venditore: ulteriore ipotesi è nel momento della stipulazione del contratto, ovvero sapeva benissimo dei vizi della cosa, ed era intenzionato a frodare il compratore.
Sostanzialmente, nell’impostazione romanistica, era interamente a carico del compratore il rischio legato ai vizi materiali della cosa scoperti successivamente alla stipulazione del contratto.
Primi cambiamenti
I primi a compiere un passo in avanti in materia sono i romani stessi: a Roma c’erano due categorie di beni mobili di grande importanza economica, gli animali e gli schiavi. Entrambi venivano compravenduti in spazi dedicati con persone acquirenti presenti e in presenza della cosa offerta in vendita; i venditori arrivavano nelle piazze con il bestiame e gli schiavi, venivano esaminati dai compratori che poi li compravano.
Questi 'contratti' erano assoggettati alla magistratura degli edili curuli, e nella prospettiva della protezione degli acquirenti, che si trovavano spesso frodati dai venditori, si ritiene necessario ideare una disciplina apposita. Infatti, agli acquirenti erano spesso tenute nascoste malattie o difetti fisici dei capi di bestiame o degli schiavi che chiaramente ne influenzavano la loro integrità fisica e di conseguenza il valore (es. donne che si scoprivano sterili, schiavi che avevano propensione alla fuga etc).
Accade che si sente l’esigenza di proteggere il compratore. I rimedi previsti dal nostro legislatore, elencati dall’articolo 1490 c.c. e ss, vengono definiti dai commentatori e dottrina rimedi 'edilizi'. In cosa consistevano? Imponevano obblighi informativi pre-contrattuali corredando i capi di bestiame e gli schiavi di un cartello informativo recante i vizi occulti di cui erano affetti e di cui erano a conoscenza, così da consentire agli acquirenti di essere informati il più possibile sulle caratteristiche dei beni acquistati.
In più, gli edili curuli arricchiscono lo spettro dei rimedi esperibili dal compratore stabilendo che, se uno schiavo o animale, dopo la consegna, si rivela senza una qualità indispensabile non indicata nel cartello, il compratore può chiedere, a sua scelta, la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. Ha a disposizione l’actio estimatoria, con cui si chiede una riduzione del corrispettivo (quindi una parziale restituzione dell’ammontare già pagato) da ridursi in misura proporzionale all’impatto del vizio sul valore di mercato dell’animale, o in alternativa l’actio redibitoria, con cui si fa caducare l'affare, quindi si ha restituzione dell’animale o schiavo e restituzione del prezzo.
Estensione del modello romano
Vengono così introdotti due rimedi contrattuali, uscendo dal diritto romano classico, riconoscendo che la presenza di determinate caratteristiche del bene entra nel rapporto contrattuale. Questa innovazione viene introdotta in un mercato particolare: schiavi e animali, beni infungibili, cioè è inconcepibile la sostituzione, significa che per beni di questo tipo non esistono dei beni identici, all’interno del genere. Altrettanto vale per la riparazione, non possono essere riparati o eliminati i difetti degli schiavi.
Ciò spiega il motivo per cui in questo momento storico, a Roma, nei mercati degli animali e schiavi non viene in mente a nessuno di prevedere che i compratori possano richiedere la riparazione o sostituzione del bene, perché entrambe non sono compatibili con le caratteristiche di quei beni.
Accade che questa novità viene valutata talmente positivamente che nel diritto giustinianeo si pensa di estendere il modello regolatore previsto dagli edili curuli a qualsiasi compravendita, indipendentemente dall’oggetto e dal luogo in cui viene concluso. Si avrà quindi l’obbligo per tutti i venditori di informare i compratori dei vizi conosciuti della cosa venduta e il diritto per il compratore, che scopre il vizio di cui non era stato informato dal venditore, di chiedere la restituzione o riduzione del prezzo.
All’estensione dei rimedi edilizi a qualsiasi contratto di compravendita il diritto giustinianeo non affianca alcuna modifica né adattamento della disciplina prevista per schiavi ed animali, per arginare le problematiche legate alle diverse tipologie di beni cui si applicherà la disciplina edilizia. Si ha quindi un ‘trapianto normativo’ estendendo una disciplina a beni che sino ad allora ne erano rimasti esclusi.
Così consacrato nel diritto giustinianeo il modello regolatore romano, dei diritti spettanti ai compratori a fronte della scoperta di vizi della cosa, transita nel diritto medievale e attraverso il diritto comune si insinua nelle varie tradizioni europee dei codici civili moderni (dal codice napoleonico del 1804, al BGB tedesco del 1901 nonché nel codice civile italiano del 1865), confluenza anche nel codice civile del 1942 grazie all’influenza dei professori di diritto romano che hanno partecipato attivamente alla stesura.
Entra nonostante siano trascorsi 2000 anni e la compravendita regolata dal codice civile sia diversa da quella del diritto romano:
- Per il diritto romano era necessaria la traditio, ora è sufficiente il principio consensualistico;
- Non era contemplata la vendita di cosa generica, tanto meno di cosa futura o altrui;
- Ora la compravendita ha ad oggetto per la maggior parte beni mobili fungibili grazie alla produzione in massa.
Nonostante questi mutamenti il modello degli edili curuli rimane immutato ed entra nel nostro codice civile. Sorgono una serie di problemi interpretativi ed applicativi che portano allo sviluppo di orientamenti giurisprudenziali che, per porre rimedio all’inadeguatezza codicistica, introducono regole che sovvertono alcune opzioni fondamentali legislative al fine di rendere la disciplina più concreta ed attuale, di qui l’auspicio della dottrina di un intervento del legislatore su queste norme datate rispetto alle esigenze attuali; richieste che hanno trovato una relativa soluzione in norme specifiche che però hanno collocazione extracodicem.
Per esempio, in materia di responsabilità del venditore per difetti materiali dei beni, abbiamo la compresenza di norme settoriali adeguate alle esigenze attuali che si contrappongono con le norme arretrate del codice.
Il punto di partenza
Punto di partenza dell’analisi dei rimedi speciali è rappresentato dall’art. 1490 c.c. rubricato ‘Garanzia per vizi della cosa venduta’. Non si parla di obbligazioni, bensì garanzie, quindi una situazione giuridica passiva. La garanzia non impone alcunché al soggetto che ne è gravato, esponendolo a un rischio, ovvero per cui nell’uso della cosa si manifestino vizi materiali non conoscibili, e se si concretizzano potrà essere attivata la garanzia da parte del compratore, in caso contrario il problema non si pone. Ciò che rileva è che il venditore non è tenuto a fare nulla. Se la cosa manifesta un vizio non risponderà a titolo di inadempimento, bensì sulla base di una garanzia.
Una grande differenza tra vendita ed appalto è data dal fatto che l’appaltatore è tenuto sia ad un dare che ad un facere, quindi anche a garantire che quanto è dato abbia determinate caratteristiche. Se produce un’opera che ha difetti sarà inadempiente all’obbligazione di facere. È una situazione diversa quindi dall’obbligazione, in cui il venditore è tenuto ad una prestazione di dare, e non a un facere, e quindi non deve garantire che la cosa sia immune da vizi che impediscano il corretto espletamento della funzione cui è deputato la cosa venduta. Questo modo di leggere il contratto di compravendita è tipico della visione romanistica.
Le chiavi di lettura odierne, delle varie convenzioni prevedono una visione totalmente opposta. Ancora oggi però nel nostro codice il venditore è obbligato solamente a DARE, quindi a trasferire proprietà e possesso. Il tema legato alla garanzia per difetti materiali è legato a una pura assunzione ex lege di rischi. Come conseguenza naturale della stipulazione del contratto di compravendita, sorge in capo al venditore la garanzia, senza la necessità dell’apposizione di una particolare clausola.
Il venditore in quanto tale garantisce, anche se non lo dichiara espressamente, solo per il fatto di vendere, che la cosa oggetto dell’accordo, al momento della stipulazione, è immune da vizi che la rendano inidonea all’uso e ne diminuiscano in maniera apprezzabile il valore di mercato. In quanto vende, il venditore assume su di sé la garanzia del rischio che la cosa possa rivelarsi difettosa. Possono le parti escludere pattiziamente la garanzia o che questa sia dovuta con modalità diverse da quelle previste?
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