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In sintesi, l’Incarnazione è il mistero di un Dio che ama fino a diventare uno di noi, e
che rende possibile all’uomo diventare pienamente se stesso solo in relazione con
Lui.
3.2 Parole, gesti, salvezza
I Vangeli mostrano un Gesù che parla con autorità, guarisce, perdona e compie
segni. La sua missione culmina nel dono gratuito della salvezza, realizzato nella
Pasqua. L’agire di Gesù rivela il volto del Padre e anticipa il dono dello Spirito.
Nei Vangeli, Gesù non si presenta semplicemente come un maestro di morale, un
profeta o un fondatore religioso tra i tanti. Fin dalle prime pagine, emerge come un
uomo il cui dire e il cui agire sono dotati di una potenza unica, che non deriva da
un’autorità ricevuta da altri, ma che scaturisce da sé. È significativo che già nel
Vangelo di Marco – il più antico – si dica che “insegnava loro come uno che ha
autorità, e non come gli scribi” (Mc 1,22). Questa autorità non è autoritarismo, ma è
la forza interiore della verità vissuta, che proviene dall’unione profonda tra ciò che
Gesù dice, fa e è.
I gesti e le parole di Gesù costituiscono un linguaggio unitario, una rivelazione
progressiva dell’identità del Figlio e del mistero del Padre. Non si tratta
semplicemente di miracoli o discorsi edificanti: ogni gesto di Gesù – la guarigione di
un lebbroso, il perdono alla peccatrice, il pane spezzato per le folle – è un atto
salvifico, un segno che manifesta visibilmente il Regno di Dio in mezzo agli uomini.
Il linguaggio simbolico e sacramentale dell’agire di Gesù non è mai astratto: è
sempre inserito nella vita concreta, nelle relazioni, nelle situazioni di sofferenza, di
esclusione, di peccato. Egli non scinde mai la verità dalla misericordia: nei suoi
incontri, la verità è sempre finalizzata alla liberazione dell’uomo. Pensiamo
all’episodio dell’adultera (Gv 8,1-11): Gesù non nega la verità della colpa, ma va
oltre il giudizio, offrendo una possibilità nuova, una strada di risurrezione.
Tutti i Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) mostrano Gesù che guarisce malati,
esorcizza indemoniati, ridona vita e speranza. Questi gesti non sono magie né
semplici atti di compassione: sono segni escatologici, ovvero anticipazioni concrete
della salvezza definitiva che Egli è venuto a portare. Essi indicano che in Gesù Dio
è all’opera, e che la sua presenza inaugura un mondo nuovo: la logica del Regno.
La salvezza portata da Gesù non si limita a un piano individuale o spiritualista:
coinvolge la totalità dell’essere umano, corpo e spirito, e mira alla sua piena
liberazione dal male, dal peccato e dalla morte. In questo senso, la salvezza è sì un
dono gratuito, ma anche un cammino relazionale: richiede l’apertura del cuore,
l’ascolto, la sequela. Gesù non impone la salvezza: la propone, la offre, l’annuncia.
Essa diventa realtà per chi, nella fede, riconosce in Lui il Salvatore.
Il culmine di tutta la missione di Gesù si realizza nel mistero pasquale – cioè nella
sua passione, morte e risurrezione – che è l’atto supremo dell’amore gratuito del
Padre per l’umanità. Tutta la vita pubblica di Gesù è orientata a questo evento
centrale. La croce, che umanamente è segno di fallimento, viene assunta da Cristo
come luogo di dono totale, offerta redentrice, rivelazione dell’amore assoluto di Dio.
È attraverso la Pasqua che si compie il vero significato dei suoi segni e parole. Lì,
nella sua morte e nella sua risurrezione, si rivela in pienezza il volto del Padre, che
non abbandona il Figlio, ma lo risuscita. E in questo stesso atto, il dono dello Spirito
viene promesso e anticipato: lo Spirito che guiderà la Chiesa, che renderà attuale
nel tempo l’opera salvifica di Cristo.
In definitiva, le parole e i gesti di Gesù non sono solo memoria di un passato
glorioso: sono evento sempre attuale, che interpella oggi l’uomo moderno e
postmoderno, chiamandolo alla fede, alla libertà, alla speranza. Nel volto umano di
Gesù si riflette l’invisibile volto del Dio vivente, e nei suoi gesti si annuncia e si
rende presente una salvezza universale, capace di trasformare la storia.
3.3 Il pensiero di Dio vs. il pensiero degli uomini
Gesù si pone in contrasto con le attese mondane di potere e prestigio: la sua logica
è quella della croce, della kenosi, dell’amore che si dona senza misura.
Uno degli snodi centrali del messaggio cristiano, che attraversa l’intera vita e
missione di Gesù, è il radicale contrasto tra la logica di Dio e la logica del mondo.
Questo tema emerge in modo particolarmente forte nei racconti evangelici che
narrano le reazioni degli apostoli davanti all’annuncio della passione: quando Gesù
comincia a parlare apertamente della sua futura sofferenza, morte e risurrezione,
Pietro lo prende da parte e tenta di dissuaderlo. La risposta di Gesù è di un rigore
sorprendente: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma
secondo gli uomini” (Mc 8,33).
In queste parole si coglie lo scontro tra due modi opposti di concepire la realtà, la
salvezza e persino Dio stesso. Il pensiero umano, segnato dal desiderio di
affermazione, sicurezza, potere, tende a rifiutare tutto ciò che odora di debolezza,
fallimento, sofferenza. La croce, nella mentalità del mondo, rappresenta il non-
senso, la sconfitta, l’assurdità. Ma per Dio, proprio lì si rivela il vertice dell’amore,
cioè il dono totale di sé per l’altro.
Gesù, lungi dall’adeguarsi alle attese messianiche trionfaliste del suo tempo – che
attendevano un liberatore politico, un re vittorioso e potente – si presenta come il
Servo sofferente, descritto da Isaia (Is 53), che “non ha apparenza né bellezza per
attirare i nostri sguardi” e che porta su di sé il peccato del mondo. Questa è la
logica della kenosi – parola greca che significa svuotamento – ossia
l’abbassamento volontario del Figlio di Dio, che “pur essendo di natura divina…
spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo” (Fil 2,6-8).
Questa auto-spoliazione di Cristo non è debolezza, ma è la forma più alta di
potenza, perché è potenza d’amore. Gesù non impone, ma si dona. Non domina,
ma serve. La sua regalità è una regalità che si consuma nel servizio e
nell’umiliazione, e proprio per questo è credibile, autentica, libera da ogni interesse.
Il trono su cui Gesù viene innalzato non è quello dorato di un palazzo, ma la croce,
su cui si legge – con ironia tragica ma verità profonda – “Gesù Nazareno, re dei
Giudei”.
Questa opposizione tra il pensiero di Dio e quello degli uomini non è solo storica,
ma riguarda ogni epoca e ogni cuore umano. Ancora oggi, anche tra i credenti,
permane la tentazione di modellare Dio a propria immagine, secondo i propri criteri
di successo, utilità, efficacia. Ma il Dio rivelato da Cristo sovverte ogni logica
umana: non salva “dall’alto”, ma “dal basso”; non agisce con la forza, ma nella
debolezza della croce.
È proprio questo paradosso – la forza nella debolezza, la gloria nella croce, la vita
che nasce dalla morte – a costituire lo scandalo e la novità del cristianesimo. Come
afferma san Paolo: “Noi predichiamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei,
stoltezza per i pagani; ma per quelli che sono chiamati, potenza di Dio e sapienza
di Dio” (1Cor 1,23-24).
Accogliere questa logica richiede una conversione profonda del pensiero e del
cuore, un passaggio da una visione umana e calcolatrice a una visione teologale e
donativa. Solo chi è disposto a seguire Cristo sulla via della croce – rinunciando a
sé stesso, perdendo la propria vita per amore – potrà partecipare della sua
risurrezione.
In questo senso, la kenosi di Cristo diventa modello antropologico e spirituale per il
credente: l’uomo non si realizza trattenendo, ma donando; non dominando, ma
servendo. Così, il pensiero di Dio – che ai nostri occhi può apparire debole,
irrazionale, persino fallimentare – si rivela come la via autentica alla vita piena.
4. Pasqua, Pentecoste e comunità
4.1 La Pasqua come evento fondante
La risurrezione di Cristo è il cuore della fede cristiana. Non è solo un evento del
passato, ma principio attivo di vita nuova nel presente. È l’evento che dà senso alla
morte e inaugura un’esistenza escatologica.
La risurrezione di Cristo rappresenta il cuore pulsante della fede cristiana, il
fondamento su cui si regge tutta la realtà teologica, spirituale ed esistenziale della
Chiesa. Non si tratta semplicemente di un evento che appartiene al passato, come
una narrazione storica da ricordare o studiare. La risurrezione è un principio attivo
di vita nuova, che irrompe nel mondo e nel cuore dei credenti, trasformando ogni
aspetto dell’esistenza umana e aprendo la via a una nuova dimensione di vita,
quella escatologica, che si proietta oltre la morte e il peccato.
La risurrezione come evento pasquale
L’evento della risurrezione di Gesù non è solo una manifestazione miracolosa di
potenza divina, ma un atto salvifico universale. Con la sua risurrezione, Cristo non
solo ha vinto la morte per sé, ma ha inaugurato una nuova creazione, una realtà
nuova che riscatta e rinnova l’intera esistenza umana. La morte non ha più l’ultima
parola. La risurrezione è il grande “sì” di Dio alla creazione, al mondo, e soprattutto
all’uomo che, grazie a questo gesto di amore infinito, può accedere alla vita eterna.
Questa verità è proclamata con forza nelle Scritture, dove la risurrezione viene
continuamente presentata come l’inizio di una nuova era. San Paolo, nella Lettera
ai Romani, sottolinea l’aspetto universale e trasformante della risurrezione, dicendo
che “Cristo è risuscitato dai morti come primizia di coloro che sono morti” (Rm
8,23). In altre parole, Gesù, risorgendo, apre un cammino per tutti gli esseri umani,
segnando l’inizio di una vita che trascende la morte e l’esistenza terrena. La
risurrezione è per i cristiani la garanzia della nostra risurrezione.
La risurrezione e il senso della morte
L’evento pasquale non si limita a conferire significato alla morte di Cris