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Il coraggio di abitare le case coloniche
Art 2 : le case coloniche appartengono a chi ha il coraggio di abitarle
Art 3 : il bestiame appartiene a chi ha il coraggio di ripulirli ogni giorno la stalla
Art 4 : i boschi appartengono a chi ha il coraggio di vivere in montagna
Bisogna inoltre recuperare anche tutte le ricchezze che per secoli sono partite dalla terra verso i salotti cittadini. Bisogna buttarle ai piedi dei contadini, supplicarli di perdonarci, ma anche per questo è già tardi.
Nel dicembre dello stesso anno il libro viene ritirato dal commercio per disposizione del Sant'Uffizio, perché ritenuta "inopportuna" la lettura. Nel dicembre del 1960 è colpito dai primi sintomi del male (linfogranuloma) che sette anni dopo lo portò alla morte. Nel 1963 arriva da Firenze a Barbiana, la giovane professoressa Adele Corradi, incuriosita dal metodo didattico di Don Milani: "Chissà perché ero messa in testa che volevo vedere quella scuola. Il fatto è"
Che li vedevo realizzato veramente qualcosa di molto interessante. Lì non esisteva la logica di dire "Oggi facciamo italiano, oggi geografia, oggi storia": non c'era un programma definito, ma semplicemente Don Milani aveva uno scopo ben definito, un punto di partenza e sapeva dove voleva arrivare"
Il primo ottobre 1964 insieme a don Borghi scrisse una lettera a tutti i sacerdoti della Diocesi di Firenze a seguito della rimozione da parte del Cardinale Florit del Rettore del Seminario Mons. Bonanni. Tra il 1964 - 1965 Don Milani manda due bimbe in Inghilterra per la prima volta. Nel 1965 arriva a Barbiana anche un dirigente del Partito Comunista Pietro Ingrao. Nel febbraio dello stesso anno, Don Milani legge su un quotidiano la lettera di un gruppo di cappellani militari che criticano aspramente la renitenza alla leva, definendo l'obiezione di coscienza "estranea al Comandamento cristiano dell'amore e espressione di viltà"
priore non può accettare il fatto che i cappellani predichino ai soldati l'ubbidienza agli ordini del superiore, quegli stessi ordini che causano bombardamenti, rappresaglie, sofferenze ai civili. Scrive allora una lettera con i suoi ragazzi a quel gruppo di cappellani militari toscani, come risposta alle loro affermazioni.La lettera viene pubblicata dal quotidiano "Rinascita": "Il priore afferma che l'obbedienza non è più una virtù e reclama il diritto all'obiezione di coscienza". Il messaggio non passa inosservato: a Barbiana arrivano critiche, intimidazioni e addirittura minacce di morte. La quarta sezione del tribunale diRoma cita ingiudizio don Lorenzo Milani con l'accusa di "incitamento alla diserzione e alla disubbidienza militare", con una pena prevista fino a 10 anni di reclusione. Il cardinale di Firenze minaccia di sospendere Don Minali. Al processo, che si svolse a Roma, non può essere presente a causa della sua grave malattia. Invia allora ai giudici un'autodifesa scritta. Il 15 febbraio 1966, il processo in prima istanza si conclude con l'assoluzione, ma su ricorso del pubblico ministero, la Corte d'Appello quando don Lorenzo è già morto modifica la sentenza di primo grado e condanna lo scritto. Nel luglio 1966 insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana inizia la stesura di Lettera a una professoressa. L'idea della lettera nasce dalla bocciatura di uno dei ragazzi della scuola ad un esame esterno di diploma: si apre così un'aspra polemica contro il fenomeno delle bocciature e degli abbandoni, frutto."Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che nel vostro senso io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati oppressi da un lato, privilegiati oppressori dall'altro: gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri"
Dell'incapacità delle istituzioni di garantire un servizio scolastico per tutti. Simbolo di queste posizioni è la professoressa e la sua scuola classista, cieca e insensibile di fronte agli alunni disadattati e condizionati da problemi economici-famigliari. Don Lorenzo muore a Firenze il 26 giugno 1967 a 44 anni.
Aspetti e fondamenti del metodo di Don Milani
Don Lorenzo è un convertito. La molla che lo spinge è la fede.
- Don Lorenzo Milani è un convertito che custodisce nel cuore, fino all'ultimo istante della sua vita, il fuoco della prima folgorazione. Sarebbe un errore pensare che la sua contestazione alla Chiesa sia fatta in nome di una certa modernità. Don Lorenzo sembra non conoscere crisi di vocazione. È sicuro della sua consacrazione totale al Signore e del suo celibato. Scrive: "Neanche un attimo della mia vita da che son cristiano (venti anni) l'ho perso a desiderare una famiglia mia con cui sfogare il"
Dispiacere dell'apostolato, o del cozzare degli ideali contro il muro della realtà". La forza della Parola.
C'era in don Lorenzo un'attenzione rigorosa alla Parola di Dio. Il Nuovo Testamento è il libro che tiene sempre sulla cattedra, come segno di contestazione verso un insegnamento da lui considerato giustamente molto approssimativo e insufficiente. Ai suoi figlioli in regalo di nozze ha sempre dato la sinossi del P. Lagrange. E anche a Barbiana la scuola aveva alla fine questo scopo: rendere possibile l'ascolto della Parola.
Scrive in Esperienze pastorali: "È tanto difficile che uno cerchi Dio se non ha sete di conoscere. Quando con la scuola avremo risvegliato nei nostri giovani operai e contadini quella sete sopra ogni altra sete e passione umana, per portarli poi a porsi il problema religioso sarà un giochetto. Saranno simili a noi, potranno vibrare di tutto ciò che fa noi vibrare. Tutto il problema si riduce qui,
perché non si può dare che quel che si ha. Ma quando si ha, il dare viene da sé, senza neanche cercarlo, purché non si perda tempo"
Ma in don Milani c'è anche una forte dimensione etica: il Gesù di don Lorenzo è in opposizione radicale a tutti i falsi valori del mondo. Scrive a don Ezio Palumbo: "Ecco dunque l'unica cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di Dio), mirare in alto (per noi e per gli altri) e sfottere crudelmente non chi è in basso ma chi mira basso... La gente viene a Dio solo se Dio ce la chiama. E se invece che Dio la chiami il prete (cioè l'uomo, il simpatico, il ping pong) allora la gente viene all'uomo e non a Dio".
Possedere la parola. È la lingua che fa eguali.
La lingua, il possesso della lingua è un elemento fondamentale per arrivare all'eguaglianza degli uomini: "Perché è solo la lingua
Che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l'espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli. La cultura vera, quella che ancora non ha posseduta nessun uomo, è fatta di due cose: appartenere alla massa e possedere la parola."
Guido Crainz in Autobiografia di una repubblica scrive che la Lettera ad una professoressa è il più importante testo di culto della contestazione studentesca del 1968. Certo è difficile trovare operazioni culturali così rigorose e incisive come quella di Barbiana che fa della lingua e del suo possesso l'elemento fondamentale dell'uguaglianza umana.
Non si tratta solo di denunciare la dispersione scolastica di cui è colpevole un processo educativo che prescinde da quelle che sono le condizioni di partenza degli alunni. La tesi di Barbiana è molto più profonda: è guidata da due convinzioni di fondo: la forza della parola e la fiducia nell'uomo.
di ogni uomo che ha in sé ricchezze infinite e deve esser messo in condizione di esprimerle. La parola alla quale fa riferimento la Lettera ad una professoressa è prima di tutto quella che Dio stesso ha pronunciato nel cuore dell’uomo, di ogni uomo, e che non può esser ridotta al silenzio. Non valorizzare al meglio il fattore umano è spreco della risorsa più importante. A Barbiana è anche esaltata la conoscenza delle lingue straniere come estensione evidente della conoscenza della parola. Si approfittava di ogni occasione per confrontarsi con persone di madrelingua ed era cercata in ogni modo l’opportunità di andare all’estero non solo per imparare le lingue ma per conoscere ed avvicinare una cultura diversa. Si può obbiettare che certe espressioni della scuola di Barbiana, pur importanti e sorprendenti, risalgono agli anni ’60, ma il mutamento che è intervenuto con la diffusione dei media, dei social
e in grado di utilizzare gli strumenti della comunicazione ed elaborazione informatica e quella parte di umanità che alla rivoluzione digitale non è in grado di accedere. Per questo il richiamo al riscatto degli ultimi come diritto affermato dalla Costituzione a tutela e promozione di una dignità umana altrimenti negata, è divenuto, con il processo di globalizzazione e la competizione fra territori, un elemento essenziale per un paese che se non riesce a valorizzare al massimo il proprio fattore umano incorre nello spreco della risorsa più preziosa e rischia di farne pagare il prezzo alle generazioni successive. Bisogna che ognuno si senta l'unico responsabile di tutto.network e con la omologazione della lingua ha solo in apparenza ridimensionato il problema. Già oggi emerge il problema del divario digitale cioè la distinzione fra quella parte di mondo che conosce ed è in grado di utilizzare gli strumenti della comunicazione ed elaborazione informatica e quella parte di umanità che alla rivoluzione digitale non è in grado di accedere. Per questo il richiamo al riscatto degli ultimi come diritto affermato dalla Costituzione a tutela e promozione di una dignità umana altrimenti negata, è divenuto, con il processo di globalizzazione e la competizione fra territori, un elemento essenziale per un paese che se non riesce a valorizzare al massimo il proprio fattore umano incorre nello spreco della risorsa più preziosa e rischia di farne pagare il prezzo alle generazioni successive. Bisogna che ognuno si senta l'unico responsabile di tutto.
Messi in condizione di potersi esprimere, di poter mettere a disposizione di tutti quello che noi abbiamo ricevuto: è anche appartenere alla massa ed essere consapevoli di questa appartenenza. E appartenenza significa anche farsi carico di tutti. Scrive don Lorenzo in una lettera a Francuccio: "La cultura è una cosa meravigliosa come il mangiare ma chi mangia da solo è una bestia, bisogna mangiare insieme alle persone che amiamo e così bisogna coltivarsi insieme alle persone che amiamo." Quindi mai una cultura elitaria: nella scuola di Barbiana tutti vanno a scuola e tutti fanno scuola: educazione partecipata a tutti e partecipata da tutti. Già la vita di relazione è luogo educativo fondamentale. Ma essa deve diventare partecipazione attiva alla vita di tutti: nella scuola, nella vita pubblica, nella politica, nel sindacato. L'"I care" è il motto di Barbiana. La risposta polemica ai cappellani militari della
Regione Toscana sull'obbiezione di coscienza
La Regione Toscana ha recentemente affrontato il tema dell'obbiezione di coscienza, riconoscendo il diritto dei cittadini di opporsi a determinate pratiche o decisioni sulla base delle proprie convinzioni morali o religiose.
Lettera ai giudici in occasione del processo intentato
In seguito al processo intentato contro di lui (e contro P. Balducci) per apologia di reato, l'autore ha scritto una lettera ai giudici per esprimere la sua posizione e difendere la libertà di espressione. Nella lettera, l'autore argomenta che l'obbedienza cieca non è più una virtù, ma che è necessario mettere in discussione le leggi e le norme che non rispettano i principi fondamentali della giustizia e della moralità.