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In America invece l’espansione dello stile palladiano si deve al “Book of architecture” di
Gibb, che descriveva uno stile particolarmente adatto alle abitazioni dei proprietari
terrieri della Virginia. Sulla scia di questi insegnamenti lavorarono Robert Morris e Peter
Harrison. Il primo con due ville, riferibili ad altrettanti lavori palladiani: villa Pisani per
Drayton Hall e Villa Saraceno per Mount Clare. E il secondo con la biblioteca di
Redwood, primo edificio pubblico americano a basarsi sulla formula palladiana della
chiesa-tempio, con un portico dorico, un ampio timpano, un fregio classico e una cupola.
Altro gentiluomo interessato alla materia fu Thomas Jefferson, un personaggio dalle
molte sfaccettature che si dedicò tra le altre cose anche all’architettura. Il suo primo
progetto fu la sua villa a Charlottesville, detta Monticello, in chiaro collegamento a Villa la
Rotonda anch’essa costruita in cima alla collina, o con le parole di Palladio: “sopra un
monticello”. La struttura era in mattoni, con portici di legno a due piani e elementi in
pietra bianchi che evidenziano colonne e i dettagli classicheggianti. Suo è anche il
Municipio di Richmond, per il quale dispose tre ambienti, sedi del potere legislativo,
esecutivo e giudiziario, attorno a un atrio centrale, in cui una statua di George
Washington è illuminata da un lucernario. All’esterno il portico ionico era profondo tre
colonne e sosteneva una trabeazione e un grande timpano. Degno di nota è infine il
College della Virginia. Seguendo il modello del nuovo ospedale parigino, di cui Jefferson
era un sostenitore, pensò ad una struttura a padiglioni che potesse favorire un ambiente
salubre e una distribuzione razionale delle funzioni. I volumi, cinque per lato, erano
collegati da un percorso coperto e si distribuivano ad U attorno ad uno stretto prato.
Ciascuna stecca presentava blocchi con colonnati di ordini diversi (sempre dorico e
ionico con un solo corinzio) riferibili a opere palladiane, alle terme di Diocleziano e al
Tempio della Fortuna Virile. Al lato sud aperto corrisponde la rotonda sul lato nord,
costruita sul modello del Pantheon, con all’interno una biblioteca e un planetario, e una
cupola dipinta di azzurro cielo con l’oculo aperto a rappresentare il sole. Inizialmente
l’edificio doveva essere sferico per staccarsi dalla stereometria degli altri padiglioni ma
poi il progetto venne abbandonato.
Enciclopedia breve dei Teatri permanenti
Prima dei teatri permanenti spesso si usavano teatri di verzura o si allestivano i cortili dei
palazzi, come quello di Palazzo Porto di Serlio che, con il suo successo costituì la base
per la nascita dell’Accademia Olimpica, un’associazione di cittadini che promuoverà la
costruzione del palladiano Teatro Olimpico, primo teatro permanente al chiuso.
Quest’ultimo presenta una cavea ellittica, preferita al cerchio per la dimensione del lotto,
e una scena che imita una facciata di un palazzo anticheggiante, con il tema palladiano di
colonne a intervallare le tre aperture, le statue, poste sopra le colonne e nelle finestre a
edicola al primo piano, che avrebbero dovuto rappresentare ogni membro
dell’Accademia. Scamozzi aggiunse le strade in prospettiva come fondale della scena,
forzando l’acquisto di altri terreni per allargare la struttura; allargò inoltre le aperture di
fianco l’arcone centrale per enfatizzare meglio la strada retrostante; e aggiunse due muri
laterali al palco. Sulla scia di questo intervento Scamozzi progettò il Teatro di Sabbioneta,
per Vespasiano Gonzaga, duca della cittadina padana. Questa struttura, in bilico tra
tradizione e innovazione, è uno tra i primi esempi di teatro moderno, il primo stabile
europeo, inserito in un edificio appositamente costruito. Presenta inoltre elementi
innovatori come la facciata autonoma, il diversificato sistema di ingressi, la forma
mistilinea della cavea, l’orchestra inclinata e il retropalco con i camerini. Mantiene però il
tema palladiano del peristilio sopra la platea, corinzio coronato da statue, e il fondale
prospettico con una città; la balaustra dipinta evoca l’idea del cortile-teatro, e le vedute
dell’urbe, incorniciate da due illusionistici archi trionfali, evocano il mito romano. Il
prospetto è diviso da una fascia marcapiano con la scritta latina: “Quanto fu grande
Roma ce lo dicono le sue rovine”. La parte bassa è segnata da finestre inginocchiate con
cornici bugnate, diverse dalle superiori a edicola con timpani curvi, interrotti da una
nicchia ellittica, e triangolari, scandite da paraste sotto una trabeazione dorica.
Simile ma anche innovativo è il Teatro Farnese di Parma. Voluto da Ranuccio I, duca di
Parma e Piacenza, per celebrare la sosta in città di Cosimo de’ Medici, venne inaugurato
per l’unione del figlio di Ranuccio con Margherita, figlia di Cosimo, ma causa del costo
delle serate cadde in rovina. Fu distrutto dalle bombe alleate e ricostruito negli anni ‘60.
L’opera venne affidata a Giovan Battista Aleotti, detto l’Argenta, che lo pose al primo
piano del Palazzo della Pilotta, nella sala d’armi da cui riprende la dedicata a Bellona, dea
della guerra. La platea, organizzata per essere riservata al pubblico o diventare arena, è
sovrastata da una cavea ad U, su cui si imposta un loggiato a serliana ionica. Al centro
della cavea, sopra il corridoio che unisce l’ingresso alla platea, era in origine allestito il
palco d’onore per i duchi, che anticipava l’adozione del cosiddetto palco reale. La
notevole profondità del palcoscenico, con quinte piatte e tre ordini di scenografie dipinte
scorrevoli su binari, gallerie superiori per il movimento e sottopalco attrezzato, permise
di realizzare le prime scene mobili della cultura teatrale. Lo spazio intorno al
palcoscenico e sotto il piano di scena nascondeva infatti le macchine necessarie alla
“maraviglia” del teatro barocco, appositamente inventate da Aleotti. La struttura era in
abete rosso del Friuli, ricoperto di stucco dipinto per simulare il marmo e riccamente
decorato: materiali caratteristici delle architetture effimere, quale doveva essere.
Passi in avanti nella formulazione tipologica dei teatri furono effettuati con il lavoro di
Antonio Galli da Bibbiena nel ‘700, prima con il Teatro Scientifico di Mantova e poi con il
Teatro Comunale di Bologna. In entrambi sulla platea a campana si affacciano quattro
ordini di palchetti, nel primo caso lignei e nel secondo in muratura, che arrivano a
toccare i soffitti riccamente decorati. Le scene fisse sono progettate e affrescate dal
Bibbiena, abile pittore, mentre unico nel suo genere è il palco basculante bolognese. Il
primo fu realizzato per volere del rettore dell’Accademia dei Timidi, nell’area in cui
sorgeva il palazzo dei duchi Gonzaga, per ospitare adunanze scientifiche, in linea con le
finalità dell’Accademia e lo spirito illuministico dell’epoca. Fu completato anni dopo con
la facciata del Piermarini in un sobrio gusto neoclassico, con coppie di paraste di ordine
gigante ionico che intervallano finestre e sorreggono una trabeazione. Il secondo venne
costruito su Palazzo Bentivoglio, dopo l’incendio che nel 1745 distrusse il Teatro
Malvezzi e rimase incompiuto per molto tempo; la facciata di Umberto Rizzi è del 1933.
Ultimo esempio è il Teatro della Scala, costruito per volere di Maria Teresa d’Austria, dopo
che un incendio distrusse il Teatro Regio, nell’area della chiesa di Santa Maria della Scala.
Finanziato con i fondi dell’aristocrazia milanese, il teatro in linea con le idee illuministe
dell’epoca doveva essere un edificio pubblico prestigioso, destinato ad eventi di valore
educativo, sul modello di quello greco, da cui differiva visto che il suo utilizzo non era
rivolto all’intera comunità. Piermarini progettò un edificio capace di risolvere problemi
tecnici e di distribuzione, unendo alla sala luoghi di svago e funzionali, in un complesso
inserito armonicamente nel contesto urbano, con uno stile classico associato a una
rigorosa funzionalità. La pianta occupa un’area trapezoidale, per un terzo destinata al
teatro e gli altri due a edifici di servizio e un piazzale interno. L’interno ospita al piano
nobile il Ridotto, un salone in cui gli spettatori potevano incontrarsi e svagarsi, affiancato
da diverse salette di gioco dove oggi è allestito il Museo del Teatro; mentre in
corrispondenza dell’attico si trova il Ridottino, per i borghesi. Per la sala invece
Piermarini scelse una pianta a ferro di cavallo in modo da contenere un maggior numero
di spettatori e garantire la migliore acustica e visibilità anche dai palchi laterali; riservò
inoltre grande attenzione alla sonorità, progettando la sala come una grande cassa
armonica, abbassando la curvatura del soffitto con bacchette di legno appese alle
capriate, rivestite poi di intonaco. Anche i palchi, rispettano tutte le regole per garantire
la migliore propagazione dei suoni: i cinque ordini sono infatti distribuiti a raggiera
intorno alla cavea ovale e sono costruiti in legno, agganciati alle pareti laterali della platea.
Distrutto e ricostruito dopo il ‘45, le aggiunte moderne sono di Mario Botta.
La facciata molto rigorosa, semplice e con uno stringente rapporto proporzionale,
(l’altezza corrisponde alla metà della larghezza) venne progettata per essere vista di
scorcio, dato che il teatro si trovava su una via stretta; cosa che oggi, a causa della nuova
sistemazione dello spazio antistante, rende la facciata un po’ piatta perdendo l’effetto
ritmico degli aggetti e rientranze. L’architetto inserì anche un portico, in corrispondenza
del quale sia apre un terrazzo, per l’accesso delle carrozze in modo che gli spettatori
potessero entrare a teatro senza uscire allo scoperto, soluzione largamente ripresa in tutta
Europa; gli altri ingressi erano originariamente laterali e non nel portico centrale.
Il fronte presenta una tripartizione sia verticale, con il settore centrale aggettante, sia
orizzontale con il susseguirsi dei tre ordini: il piano terreno è bugnato e di colore più
scuro, come gli elementi strutturali; il piano nobile è il più elegante, con le grandi porte-
finestre timpanate alternate alle coppie di colonne corinzie e ai festoni in stucco. In alto
l’attico, la cui altezza è la metà del primo piano, mantiene la medesima scansione di
finestre e coppie di paraste; sopra il timpano centrale chiude la composizione, con
bassorilievi in stucco di Giuseppe Franchi, disegnati da Piermarini.
Barocco Romano
Il barocco romano è appannaggio di tre figure che lavorarono su importanti opere con
uno stile preciso, rielaborando a modo proprio i riferimenti classici. Insieme lavorarono
su Palazzo Barberini, ultimo di una serie di stratificazioni c