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ALVAR AALTO
Una di queste esperienze, particolarmente importante e significativa, è quella dell’architettura
Finlandese, in particolar modo la figura di Alvar Aalto. Ancora molto forte è l’influenza del classicismo
e della riflessione teorica dell’illuminismo, ma ciò che caratterizza la sua architettura è, in parallelo a
quella di Wright, una grandissima attenzione ai materiali da costruzione e al contesto naturale.
L’architettura finlandese trae le sue origini dall’architettura scandinava, in cui è molto importante il
rapporto con l’architettura da una parte, e dall’altra un certo tipo di rapporto con la storia. In
Scandinavia, con Alvar Aalto, c’è un rifiuto degli spazi per la comunità come entità astratte, ovvero
come entità che possono essere quantificate (scuola tedesca e Le Corbusier), ma sono entità vive, e di
conseguenza anche il rapporto con la storia è diverso; l’architettura non deve porsi in un luogo a-
storico, come per il movimento moderno, ma l’eliminazione dello storicismo, ovvero degli stili storici,
che era necessaria, non implica l’eliminazione della storia intesa come il tempo per la vita
(natura=luogo della vita, storia=tempo della vita), cioè, se la storia è l’ambito cronologico della vita
dell’uomo, il luogo in cui è immersa non è la città ma la natura. Si comprende quindi che ciò che
interessa l’architettura scandinava è la vita, che da una parte deve affrontare il problema della
coesistenza degli uomini tra di loro (dimensione sociale), e dall’altra la coesistenza degli uomini con la
natura, che non si risolve con dei belvedere da cui osservarla, ma vivendo e interpretando la realtà,
immergendosi nella storia e nella natura. Il risultato di questo approccio è l’architettura di Aalvar Alto,
che è più o meno contemporaneo di Le Corbusier, che riesce a integrare questa visione pragmatica
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dell’architettura che deve rispondere ai problemi reali, con un controllo scientifico dei dati costruttivi
che fa rientrare la sua architettura in rapporto con il movimento moderno.
Biblioteca civica di Viipuri, 1927 e 1930-35
Esempio di questo suo approccio all’architettura è questa biblioteca civica, che costruisce dopo aver
vinto un concorso. In questo caso Aalto ragiona come gli architetti del Bauhaus, individuando delle
funzioni e associando ad ognuna un corpo di fabbrica, e mettendo i corpi di fabbrica in relazione tra
di loro. Le funzioni principali della biblioteca sono la lettura dei libri e una stanza per le conferenze, e
dedica a quest’ultima un corpo di fabbrica, mentre alla sala da lettura e a tutti gli altri spazi un altro
corpo di fabbrica. Al centro, nel punto di connessione tra i corpi di fabbrica, l’ingresso, che determina
un asse trasversale continuo su cui sono organizzate le funzioni. L’interno è di linguaggio cristallino.
La sala di lettura è organizzata con i libri a scaffale aperto, il tutto immerso in una luce che proviene
da una serie di lucernari che vengono progettati appositamente da Aalto, per cui è la luce su cui si
concentra il suo discorso progettuale. Nella sala da conferenze il problema del confort è un altro, e
riguarda l’acustica, e l’obiettivo è quello di realizzare una sala dove sia possibile ascoltare l’oratore da
qualsiasi posizione in maniera omogenea. Per realizzare questa resa acustica omogenea, l’architetto
opera sul soffitto, disegnando un particolarissimo profilo del soffitto in legno, un materiale che ha
caratteristiche assorbente, ma disposto in un certo modo può regolare la riflessione del suono
migliorando il confort uditivo. Se nella sala da lettura la soluzione adottata permette di non avere il
fastidio delle ombre fastidiose per il lettore, in questo modo non ci sono ombre acustiche nella sala
delle conferenze.
Un altro aspetto particolarmente interessante è il fatto che il sistema di illuminazione naturale
funziona anche con la luce artificiale, perché per la prima volta nella storia dell’architettura Alvaar Alto
pone negli stessi lucernari anche l’illuminazione elettrica.
Paimio, sanatorio, 1928 e 1929-33
Questa attenzione alle reali esigenze dei fruitori trova la sua più concreta espressione in questo
edificio, considerato un delle sue più importanti opere. Si tratta di un grande edificio comunitario con
la funzione di ospedale da lunga degenza, per cui è particolarmente importante il confort e la
progettazione di camere dove il malato dovrà passare mesi o anni. Il benessere psicofisico è utile alla
cura, per cui il benessere psicofisico è proprio l’aspetto principale di questo edificio. Si tratta di un
edificio dove si svolge la cura elioterapica delle malattie polmonari, per cui la luce del sole, a cui
venivano sottoposti i malati, avrebbe dovuto migliorare le condizioni dei malati polmonari. Un edificio
completamente immerso in un bosco e conservato in maniera straordinaria. Dal punto di vista
planimetrico Alvar Aalto utilizza lo stesso principio di Gropius per il Bauhaus, ovvero l’individuazione
delle funzioni e l’assegnazione di queste ad un corpo di fabbrica. Troviamo un corpo di fabbrica,
segnato dalla A, a stecca destinato alle camere dei malati, in cui un corridoio disimpegna una batteria
di camere, un corpo di fabbrica laterale appendice, caratterizzato da una serie di balconate in cui i
malati si dispongono per fare le cure. Il corpo B è un locale ad uso collettivo, ovvero ambulatori,
mensa, sale per le operazioni etc. Il corpo E corrisponde alle residenze dei medici, il corpo di fabbrica
C i servizi e il corpo di fabbrica D i garage. La disposizione è apparentemente confusionaria, ma in
realtà gli edifici si adattano all’orografia del terreno, variando anche gli affacci vero il panorama.
Questa organizzazione razionale vede il solarium, realizzato sul tetto, dove i malati possono fare le
cure con il sole. Ciò che è importante è soprattutto la grande accuratezza con cui vengono progettate
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le camere, che sono il massimo della qualità impiantistica che si poteva trovare in Europa, in modo da
garantire il massimo confort psicologico e fisiologico, attraverso impianti di condizionamento,
illuminazione naturale e artificiale, l’uso di colori che garantissero il benessere psichico dei malati, e
alcuni soluzioni straordinari come i lavabo, con una forma apposita per ridurre al minimo il rumore
dell’acqua. Le pareti degli ambienti collettivi venivano dipinti con un giallo che evocavano il sole anche
nei periodi invernali, e a celebre poltrona Paimio, progettata perché possa essere usata per poter stare
ore a prendere il sole, e interamente realizzata in legno di betulla (invece di una struttura in metallo
tubolare, per ridurre i riflessi e il riscaldamento della struttura.
LE CORBUSIER - DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Marsiglia, Unitè d’Habitation, 1946
Durante la Seconda Guerra Mondiale Le Corbusier ha un atteggiamento ambivalente con l’autorità
costituita. La Francia, infatti, venne divisa in due parti, il nord interessato dalla presenza del Terzo
Reich, a sud venne costituita la Repubblica Collaborazionista di Vichy. Le Corbusier si trasferì da Parigi
ai Pirenei, e proporrà di collaborare con le autorità di Vichy soprattutto per quanto riguarda imprese
urbanistiche, come nel caso della ricostruzione di quartieri distrutti da bombardamenti, e cercherà di
intervenire nel progetto di ricostruzione del Porto di Marsiglia, bombardato dagli alleati. Finita la
guerra, Le Corbusier riesce a ritornare sulla scena del dibattito architettonico dell’immediato
dopoguerra, e riuscirà a farsi coinvolgere nel piano di ricostruzione delle periferie francesi, un piano
pubblico intrapreso dal Ministero della Ricostruzione, che gli affida un piano che deve diventare in
qualche modo il modello per tutte le altre città Francesi. La città di Marsiglia viene individuata come
la città che ha più bisogno di una grande ricostruzione, e il ministero nel 1946 incarica Le Corbusier di
costruire un edificio popolare che serva da modello per le altre città francesi. Le Corbusier ha la
possibilità di mettere alla prova non solo le sue riflessioni architettoniche su larga scala (edifici
collettivi), ma in qualche modo di mettere alla prova il suo modello urbanistico, la Ville Radieuse.
L’incarico consiste nella costruzione di un edificio di enormi dimensioni, che possa ospitare 1600
abitati organizzati in 237 appartamenti. L’architetto comprende che è l’occasione di realizzare una
porzione del suo modello ideologico di abitazione collettiva della Ville Radieuse, il Redan. L’edificio lo
chiama Unitè d’Habitation, un’unità che può essere riprodotta molte volte in tutti i contesti, quindi
proponendosi come un modello di architettura residenziale, e di frammento del suo modello
urbanistico. Il fatto che si tratti di un frammento di queste strisce lunghe chilometri (il Redan appunto)
lo si vede dalla stessa organizzazione dell’edificio: i due lati lunghi in una delle estremità sono cechi, e
la scia verticale è idealmente il punto di attacco ad un altro frammento di Redan. Non è l’unico edificio
di questo tipo realizzato, che saranno altrettanti frammenti di questa ideale linea residenziale.
Nell’Unité d’Habitation la qualità spaziale è sottoposta ad una fortissima speculazione intellettuale,
infatti prima di tutto si vuole dimostrare che i 5 punti dell’architettura possono essere validi non solo
per ville, ma anche per edifici a grande scala e di residenze collettive, e in secondo luogo per risolvere
i problemi di residenza collettiva, su cui gli architetti del movimento moderno ragionavano da 20 anni,
bisogna partire da un approccio funzionale, ovvero concepire gli appartamenti come luoghi in cui si
svolgono alcune delle funzioni della famiglia, mentre altre funzioni vengono collettivizzate in altre
parti dell’edificio. Alle funzioni collettive vengono destinate una strada corridoio che occupa due livelli
a metà altezza della sezione dell’edificio, e il tetto giardino. Nel piano mediano vengono concentrati i
negozi e le sale riunione di questa piccola comunità, con una foresteria e un piccolo albergo per gli
ospiti. Nel tetto giardino abbiamo tutta una serie di ambienti comunitari, come l’asilo, la scuola
elementare e una piccola piscina. Il tutto è sopraelevato su poderosi pilastri, che riprendono il tema
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del pilotis, e quindi della sovrapposizione dell’edificio rispetto al piano di campagna, ma che dal punto
di vista formale non sono simili a quelli esili delle ville degli anni ‘20, ma ai pilastri del Padiglione
Svizzero nella città universitaria. L’altra cosa strao