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LUCE
(...) Nell'architettura del seicento romano la luce diventa sinonimo formale di struttura, di energia.
Una mensola ha un punto luminoso e rivela il suo sforzo per una piccola area brillante come una
gamba caravaggesca per una sezione improvvisa del ginocchio. Il Barocco romano frattura così lo
spazio architettonico strutturalmente e coincidentemente per luce e ombra. (...) (L.M., Discontinuità
dello spazio in Caravaggio, 1951) (...) Ma ebbi subito chiaro che la non materia, cioè lo spazio, e
la materia erano soggette, nel mondo reale, a una sostanza che alterava i loro rapporti astratti. Una
sostanza da cui, di fatto, ambedue avevano vita sensibile: la luce. (…) ! (L.M., Spazi-luce
nell'architettura religiosa, 1962)
Il suo primo capolavoro è datato 1933 sotto il nome di Casa del Balilla di Trastevere. Questo
singolo episodio apre una nuova e ricca stagione in cui si costruiranno grandi complessi e si
avvieranno decine di cantieri in tutto il paese.
Nella prima Casa del Balilla della capitale, Moretti definisce con chiarezza e organicità la sua idea
di “casa” come sintesi di struttura sociale e di scenario rituale del fascismo. Ben diverso dai suoi
predecessori è l’uso che fa Moretti del cemento armato: l’ossatura di cemento armato, oltre
all’esigenza funzionale di creare ulteriori spazi per le esercitazioni ginniche, è allo stesso tempo un
oggetto plastico contrapposto, in un attento gioco di pesi, a superfici piene e vetrate. È una matrice
costruttiva che diviene struttura formale. Siamo testimoni di un attento studio funzionale, di una
sorprendente articolazione plastica degli interni e di un intelligente proporzionamento delle parti.
Una volta scomposte le funzioni e rese riconoscibili nella disposizione dei volumi, Moretti
organizza la casa in parti chiaramente individuabili, “fuse tuttavia in un insieme intero ed intese
come sequenza ininterrotta”. Con la casa di Trastevere si passa quindi dall’assemblaggio di singoli
nuclei al loro collegamento, basato su relazioni e corrispondenze secondo un preciso ordine
spirituale e sottolineato da elementi formali come le vetrate che svuotano e saldano gli angoli, come
le scale e le gallerie che sottolineano la fluidità dello spazio, come le palestre sovrapposte che,
specchiandosi nella piccola piscina all’aperto, si moltiplicano scenograficamente.
Moretti, grazie ad un intelligente uso dei materiali, riesce a trovare un compromesso tra la struttura
intelaiata di tradizione prettamente nordeuropea e la struttura muraria, elemento così radicato nella
tradizione architettonica italiana, arrivando all’importante risultato dell’italianizzazione del
razionalismo europeo. Il gioco dei ritmi e la prevalenza dei pieni sui vuoti permettono la
decodificazione di un nuovo linguaggio architettonico che sarà di spunto per tutti gli architetti che si
cimenteranno nella progettazione di opere durante il periodo fascista. Moretti sfrutta a pieno
l’obbiettivo dell’economia autarchica nel settore edile sfruttando al massimo i materiali italiani di
spicco tra cui marmi, pietre e graniti.
Questa Casa, situata in un quartiere storico di Roma, caratterizzata dalla complessità di forme mista
alla trasparenza ed alla alternanza dei pieni e dei vuoti, rende questo esperimento la Casa del Balilla
per eccellenza. L’interno della struttura è visibile da ogni lato, il grande uso di vetro rende il
complesso totalmente trasparente. L’unica parte caratterizzata da volumi pieni e massicci è
l’ingresso principale. Nonostante l’utilizzo di materiale pieno e pesante la percezione è comunque
quella di un volume svettante e slanciato in tutta la sua altezza, su cui è incisa la scritta che
rivendica l’appartenenza dell’edificio all’ONB (Opera Nazionale Balilla).
Moretti qui mette in atto quello che verrà poi chiamato “lo svuotamento dell’angolo”,
smaterializzando quello che è lo spigolo dell’edificio tramite l’uso di grande vetrate a tutta altezza,
che rendono il prospetto, se possibile, ancora più trasparente. Sul retro invece un’intera parete
completamente vetrata è interrotta solamente dalla presenza di pilastri portanti che creano un
pattern regolare a griglia, ma non compromettendo assolutamente il movimento di facciata creato
dal gioco di chiaroscuri dei pieni e dei vuoti, enfatizzato anche dalla presenza di piccole balaustre di
metallo, che poste a distanze regolari, scandiscono l’altezza di ogni singola finestra.
È facile leggere dall’esterno quale tipo di funzione si svolge all’interno dell’edificio, anche per i
profani dell’architettura. Il linguaggio creato dai pieni e dai vuoti che ritmicamente definiscono la
facciata in suggestivi chiaroscuri, rende semplice capire che a diverso tipo di finestratura
corrisponde una diversa funzione dell’ambiente che lo ospita. La funzionalità è la chiave di lettura
per l’architettura dell’ONB: i volumi sono legati tra loro in modo fluido e scorrevole dove il
movimento viene creato nonostante le forme che compongono ogni singola parte del complesso
siano semplici e pure.
Moretti avrà una grandissima influenza sull’operato di tantissimi giovani architetti che saranno
chiamati da Mussolini a far parte di questo grandissimo progetto di ricostruzione secondo uno stile
nuovo, all’avanguardia e completamente italiano. L’operazione, che durerà circa vent’anni, investirà
non solo la tipologia edilizia delle Case del Balilla, dei collegi o delle accademie ma riguarderà
soprattutto le stazioni ferroviarie, gli stadi e gli aeroporti. Non dimentichiamo che questo periodo
storico oltre a renderci testimoni di immani tragedie ci ha donato personaggi del calibro di
Michelucci, Piacentini, Mazzoni e Minnucci: i più grandi esponenti dell’architettura cosiddetta di
Regime.
Luigi Moretti, Valori della modanatura, in “Spazio”, n.6, dicembre 1951-aprile 1952
Palazzina San Maurizio, Roma, 1961-65
La palazzina sorge alle pendici del Monte Mario, in una zona un tempo lontana dal traffico e, come
Moretti stesso la definisce, ‘‘non ancora scempia di verde’’. Il sito pone il problema di un edificio
visibile essenzialmente dal basso verso l’alto. La committenza inoltre richiedeva un edificio dalla
chiara percezione visiva e di forte impatto. L’aporia viene risolta da Moretti con uno studio formale
di grosso effetto, connesso con i suoi studi sul Barocco e in particolare sulla chiesa di Sant’Ivo alla
Sapienza di Borromini.
Scartata l’ipotesi iniziale di un raddoppio dei corpi di fabbrica, la soluzione proposta vede l’edificio
impostato su una forma tradizionale a pianta rettangolare, con scala centrale e chiostrina quadrata
all’interno; ogni piano è composto da due grandi alloggi con doppio ingresso. All’interno degli
alloggi i corridoi centrali portano alle stanze perimetrali e a tutti gli ambienti necessari per una
residenza signorile: servizi per gli ospiti e per il personale, disimpegni, salotti e camere con servizi
privati.
Al fine di evidenziare il rapporto dell’edificio con la morfologia del territorio, Moretti affida
l’efficacia dell’immagine al gioco dei balconi a sbalzo di forme circolari. Il profilo degli sbalzi dei
vari piani è sempre diverso per evitare sovrapposizioni. Grazie a questo gioco e all’arretramento del
perimetro di chiusura si perde del tutto il senso di una tradizionale facciata, preferendo invece
balconate tondeggianti ed ellittiche che crescono inarrestabili l’una sull’altra al di sopra del
muraglione color ocra di via Romei. Anche il problema della soluzione angolare viene risolto
proponendo il motivo di balconi rigonfi che girano attorno la struttura nascondendo l’angolo
arretrato del muro di chiusura.
Mostrando grande sensibilità per il tema della luce, l’architetto sceglie di sovrapporre e staccare tra
loro i volumi orizzontali individuati dai diversi piani dell’edificio, realizzandoli di un materiale
scabro e granuloso come un’intonacatura bocciardata; il fine è quello di far vibrare luce e ombra,
riprendendo allo stesso tempo il gioco dei chiaroscuri tipici dell’età Barocca. Lo stesso Moretti,
infatti, pensa alla palazzina S. Maurizio come ad ‘‘un tentativo di dare forma a un sentimento di
violenta espansione che dall’interno delle strutture vuole versarsi verso l’esterno: una carica di
energia che dall’interno vuole esplodere verso l’esterno e le sue forze contrarie e contraddittorie’’.
La Casa delle Armi o Accademia della Scherma, opera di un giovane Luigi Walter Moretti, sorge a
Roma, in stato di parziale ma evidente degrado, all’ estremità Sud del Foro Italico, sulla destra
dell’asse che passa sul Tevere per il nuovo Ponte della Musica. Vittima di una damnatio memoriae
per motivi storico-ideologici e di un utilizzo nel corso del tempo per funzioni inattinenti con il
programma originale (da aula bunker per processi terroristici negli anni ’80 a caserma dei
carabinieri), ora in mano al CONI in attesa di essere valorizzato, l’opera è giustamente inserita tra i
prodotti d’eccellenza del razionalismo italiano.
Qui Moretti si destreggia con disinvoltura tra lo spirito classicista del modernismo fascista e le
istanze europee di trasparenza e leggerezza. I due parallelepipedi ben distinti, disposti a L e
connessi quasi deliberatamente da due passerelle in quota all’altezza dei lati corti a Sud-Ovest, sono
di fatto uniformati sia a livello di epidermide, trattata come una membrana di masselli in bianco
marmo di Carrara puntigliosamente levigati, sia nell’altezza della soletta di copertura. Se sul fronte
Sud la facciata si impone come una pura e materica parete marmorea, svoltando sul lato Ovest la
facciata si anima di una breve suggestione zoomorfa ellissoidale, prima di tornare al pacato ritmo di
un ordine di tre file di lunghe e basse bucature. La chiusura del fronte su strada lascia intuire una
opposta grande apertura sul lato della corte: il volume a Sud, che sul fronte stradale presentava la
più assoluta opacità, a Nord si abbandona alla totale trasparenza di una vetrata a tutta altezza
introdotta da un ampio mosaico con figure mitologiche. Mentre nell’altro edificio, seguendo le leggi
michelangiolesche di proporzione che vogliono la distribuzione del peso della facciata in alto,
Moretti descrive in basso una fascia vetrata che, proseguendo anche sul lato Nord, lascia fluttuare la
texture marmorea sovrastante.
Per quanto riguarda il rapporto con il contesto, sul lato corto del primo fabbricato lunghi tagli
orizzontali si contrappongono a Est, in un gioco mimetico, alla Foresteria, la seconda ala che
completa l’ingresso meridionale all’ambizioso progetto del foro Mussolini, pensato