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L’articolazione linguistica

Il concetto di articolazione linguistica si riferisce alla straordinaria capacità del linguaggio umano di combinare unità minime,

come fonemi e morfemi, in sequenze sempre più complesse che producono significati articolati e coerenti. Questa

caratteristica distingue radicalmente la comunicazione umana da quella animale, dove i segnali sono spesso rigidi e limitati a

funzioni specifiche. L’articolazione linguistica consente invece una creatività espressiva illimitata, rendendo possibile la

costruzione di discorsi articolati, testi narrativi complessi e argomentazioni strutturate.

In termini di progettazione didattica inclusiva, comprendere l’articolazione linguistica permette di modulare i materiali e le

attività in base alle competenze degli studenti. Per esempio, si possono costruire esercizi che gradualmente passano da unità

linguistiche semplici a strutture più complesse, oppure utilizzare strumenti digitali e simbolici che rendono accessibili concetti

articolati anche a chi ha difficoltà comunicative. L’articolazione linguistica diventa quindi un elemento chiave per creare

percorsi di apprendimento personalizzati, stimolanti e capaci di promuovere la partecipazione attiva di tutti gli studenti.

La linguistica del carattere

Secondo Wilhelm von Humboldt, ogni lingua non è semplicemente un insieme di regole grammaticali e vocaboli, ma riflette in

profondità il carattere, la visione del mondo e le abitudini cognitive di chi la parla. La cosiddetta linguistica del carattere

studia proprio le proprietà specifiche delle lingue e il loro effetto sul pensiero, sulla percezione della realtà e sulle pratiche

culturali. Humboldt osservava che la struttura stessa di una lingua guida il modo in cui i parlanti organizzano l’esperienza e

concettualizzano il mondo circostante, influenzando non solo la comunicazione, ma anche la formazione del pensiero.

Ad esempio, lingue come il tedesco, con la loro complessa organizzazione sintattica e la possibilità di costruire parole

composte molto lunghe, tendono a favorire una visione analitica e dettagliata delle relazioni logiche tra elementi della realtà.

Il giapponese, al contrario, con l’uso di marcatori di rispetto, di forme verbali contestuali e di livelli di cortesia, orienta il

pensiero verso relazioni sociali e gerarchie culturali, evidenziando come il linguaggio non solo trasmetta informazioni, ma

anche codifichi valori e norme sociali. Lingue flessive o agglutinanti, con strutture diverse per esprimere il tempo, il genere, la

modalità e l’aspetto, condizionano i parlanti a percepire il mondo in termini di relazioni e processi piuttosto che di oggetti

isolati, influenzando così la cognizione quotidiana e la costruzione di significato.

Questa prospettiva ha implicazioni fondamentali per l’educazione inclusiva e la mediazione linguistica. Comprendere la

linguistica del carattere significa riconoscere che la traduzione e l’apprendimento di lingue straniere non sono semplici

trasposizioni di parole, ma processi complessi di mediazione culturale e cognitiva. Tradurre un testo o spiegare un concetto

non significa solo sostituire parole, ma trasmettere strutture di pensiero, modelli interpretativi e sfumature culturali. In

contesti scolastici plurilingui, questo approccio permette agli insegnanti di adattare le strategie didattiche alle diverse

competenze linguistiche, favorendo la comprensione e l’inclusione di studenti che portano con sé background culturali e

cognitivi differenti.

Inoltre, la linguistica del carattere stimola una valorizzazione della diversità linguistica, incoraggiando a vedere le differenze

tra lingue non come ostacoli, ma come ricchezze cognitive e culturali. Nel contesto della CAA, ad esempio, riconoscere le

specificità di ciascun codice simbolico o linguaggio aumentativo consente di progettare sistemi comunicativi più efficaci e

personalizzati, che rispettino le modalità di pensiero e le strategie interpretative degli utenti. La lingua diventa così non solo

uno strumento di espressione, ma un vero e proprio veicolo di mediazione tra persone, culture e esperienze diverse.

Le filosofie della traduzione: da Humboldt e Schleiermacher fino a Umberto Eco

La traduzione è strettamente connessa alla riflessione sulla diversità linguistica. Humboldt sostiene che tradurre significa

rendere accessibile un mondo linguistico e culturale a un altro, senza ridurre la ricchezza e la specificità della lingua originale.

Friedrich Schleiermacher introduce due strategie fondamentali nella traduzione: avvicinare il lettore al testo originale

preservando le strutture linguistiche e culturali, oppure adattare il testo alla lingua e alla cultura del lettore.

Umberto Eco riprende e amplia queste idee nella sua teoria di “dire quasi la stessa cosa”. Secondo Eco, ogni traduzione è

inevitabilmente interpretativa e comporta decisioni su quali elementi conservare, adattare o reinterpretare. La traduzione

diventa così una pratica ermeneutica, che richiede sensibilità linguistica, culturale e semiotica. L’incontro tra lingue diverse

non è mai neutro, ma genera nuovi significati, nuove sfumature e possibilità interpretative, mostrando l’intrinseca dinamicità

della comunicazione plurilingue. 10

Il plurilinguismo da Dante alla discussione sul plurilinguismo europeo

Il plurilinguismo ha una lunga tradizione storica. Dante, nella sua riflessione sul volgare, affronta la coesistenza tra lingue

diverse e la scelta linguistica come atto culturale e intellettuale. In epoca moderna, il dibattito sul plurilinguismo si concentra

sull’integrazione delle lingue e sulla valorizzazione della diversità linguistica come risorsa sociale e culturale.

Barbara Cassin evidenzia come la traduzione e il confronto tra lingue siano strumenti di arricchimento culturale e dialogo

etico, poiché ogni lingua porta con sé una visione del mondo unica. Tullio De Mauro sottolinea l’importanza della formazione

linguistica e della conoscenza di più lingue per garantire inclusione, cittadinanza attiva e partecipazione democratica. Jürgen

Trabant analizza il plurilinguismo come fenomeno dinamico legato alla globalizzazione, all’integrazione europea e agli scambi

culturali, evidenziando che la diversità linguistica deve essere gestita come risorsa e non come ostacolo.

Sintesi e implicazioni

Il percorso dalla filosofia della diversità delle lingue di Humboldt fino al dibattito contemporaneo sul plurilinguismo europeo

mostra come la lingua sia strumento di pensiero, pratica sociale e manifestazione culturale. La valorizzazione della diversità

linguistica, della dimensione dialogica, della traduzione e del plurilinguismo è fondamentale per l’educazione inclusiva, la

progettazione didattica e la costruzione di società aperte e partecipative. Comprendere le lingue come sistemi viventi e

dinamici permette di promuovere la comunicazione interculturale, l’apprendimento multilivello e la capacità di mediare tra

mondi culturali differenti, rendendo il linguaggio non solo uno strumento tecnico, ma un vero motore di identità, conoscenza

e dialogo. 11

La filosofia pragmatica del linguaggio

La svolta delle Ricerche filosofiche di Wittgenstein

Ludwig Wittgenstein, nella sua fase matura, introduce una prospettiva rivoluzionaria sul linguaggio attraverso le Ricerche

filosofiche, pubblicate nel 1953. In contrasto con le sue opere precedenti, in cui il linguaggio era concepito come un sistema

logico di corrispondenze tra parole e realtà, in questa fase Wittgenstein sostiene che il significato di un termine emerga dal

suo uso concreto all’interno di un contesto sociale e comunicativo. Il linguaggio diventa quindi un’attività pratica,

intrinsecamente legata alle azioni e ai comportamenti umani, e il significato si costruisce in relazione alle regole condivise di

un determinato "gioco linguistico". Parlare, descrivere, comandare, raccontare o chiedere informazioni non sono più semplici

operazioni cognitive, ma atti sociali che creano e strutturano senso.

Questa prospettiva ha profonde implicazioni per la comunicazione inclusiva. In contesti scolastici multiculturali o con studenti

con bisogni speciali, non si può dare per scontata la comprensione di un messaggio: ogni parola, ogni frase deve essere

interpretata alla luce delle esperienze e dei codici cognitivi dell’interlocutore. Per esempio, nell’insegnamento a bambini con

disturbi dello spettro autistico, l’interpretazione dei segnali verbali e non verbali segue regole molto diverse rispetto a quelle

della maggioranza. Il riconoscimento del linguaggio come fenomeno situato permette agli insegnanti di adattare strategie

comunicative, modulare l’uso di istruzioni, immagini, simboli e supporti tecnologici, e creare percorsi che valorizzino la

diversità cognitiva e culturale.

La teoria degli atti linguistici di Austin

John L. Austin, a partire dagli anni Cinquanta, sviluppa la teoria degli atti linguistici, ponendo l’accento sulla dimensione

performativa del linguaggio. Per Austin, parlare significa fare, e ogni enunciato contiene simultaneamente diversi livelli di

azione: l’atto locutorio, ossia la semplice produzione di suoni o simboli; l’atto illocutorio, cioè ciò che il parlante realizza nel

dire qualcosa, come promettere, ordinare o invitare; e l’atto perlocutorio, ossia l’effetto che le parole producono sul

destinatario, come convincere, commuovere o stimolare riflessione.

Questa prospettiva è particolarmente rilevante nella progettazione di contesti educativi inclusivi e digitali. Ad esempio,

nell’uso di piattaforme di e-learning o applicazioni didattiche per studenti con disabilità comunicative, le parole pronunciate o

scritte non si limitano a trasmettere informazioni: hanno la funzione di stimolare interazioni, incoraggiare risposte, orientare

comportamenti. In un contesto di comunicazione aumentativa alternativa (CAA), il messaggio non verbale generato da

simboli, immagini o dispositivi tecnologici assume lo stesso valore performativo di una frase parlata: l’atto comunicativo è

completo solo quando produce una reazione significativa nell’interlocutore. Gli insegnanti e i progettisti didattici devono

quindi considerare non solo ciò che viene detto, ma anche come viene interpretato e quali effetti genera sul destinatario.

L’ironia come rovesciamento di prospettiva nella concezione teorica di Tommaso Russo Cardona

Tommaso Russo Cardona arricchisce ulteriormente questa prospettiva introducendo l’ironia come strumento di riflessione

critica e di rovesciamento dei significati apparenti. L’ironia, secondo Cardona, non è solo un artificio retorico o comico, ma un

meccanismo che permette di mettere in discussione convinzioni, stereotipi e significati dati per scontati. In contesti educativi,

sociali o digitali, l’ironia può essere utilizzata per stimolar

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/05 Filosofia e teoria dei linguaggi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher arriprz di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Semiotica e comunicazione inclusiva e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica Guglielmo Marconi di Roma o del prof Fortuna Sara.
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