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L'empatia
L'empatia ha un'etimologia greca che vuol dire "dentro la sofferenza o dentro il sentimento". Tendenzialmente quando pensiamo all'empatia pensiamo alla capacità di leggere l'emozione dell'altro e di sperimentarla in maniera vicaria. L'empatia è la capacità di comprendere le emozioni che l'altro sta provando e di viverle a propria volta, capendo le sue ragioni e le sue intenzioni, provare empatia per qualcun altro è creargli uno spazio nella nostra mente pronto per accoglierlo. Si può descrivere l'empatia come provare un'emozione uguale o simile della persona con cui stiamo interagendo con la consapevolezza che è qualcosa che scaturisce dall'altro. Nello studio dell'empatia, gli studiosi hanno alternato il focalizzarsi su due componenti: fino agli anni '50 tendenzialmente vi è stato un approccio che considerava l'empatia principalmente come.l'abilità di partecipare e condividere le emozioni dell'altro e quindi l'empatia, in questa cornice, veniva percepita come un processo di attivazione emotiva involontaria e innata implicata nella partecipazione dei vissuti dell'altro. Secondo questo approccio, empatizzare con qualcuno significa partecipare/condividere l'emozione dell'altro, anche in modo vicario. Dagli anni '60 in poi, ci si è spostati su una lettura in maniera cognitiva cioè la capacità di comprendere il punto di vista dell'altro. È la capacità di sapersi decentrare cognitivamente per mettersi nei panni dell'altro per poter comprendere il modo di valutare dell'altro e di comprendere e valutare diverse situazioni. Significa comprendere i suoi pensieri, le sue intenzioni, riconoscere le sue emozioni e riuscire a vedere la situazione che lui sta vivendo secondo la sua prospettiva. L'esperienza affettiva è presente inQuesto secondo approccio viene subordinata alla capacità di comprendere le emozioni degli altri. Negli anni '80 si arrivano a degli approcci che considerano entrambe le prospettive: l'empatia viene considerata come un'esperienza primariamente affettiva in cui però i processi cognitivi giocano un ruolo fondamentale, per cui la persona empatica è una persona che comprende ma che condivide e partecipa allo stato emotivo dell'altro. Le due dimensioni affettiva e cognitiva non sono giustapposte ma entrambe determinanti e co-occorrenti al fine di generare una risposta empatica. Questa è una base disposizionale di comportamenti cooperativi, prosociali e di aiuto.
Ci sono tre principali componenti: affettiva, cognitiva e fisiologica. Giacomo Rizzolatti, La scoperta dei neuroni specchio si deve al gruppo di ricerca guidato da che, tra gli anni '80 e '90, durante un esperimento condotto per studiare il ruolo della corteccia premotoria del macaco.
osservò un'attivazione neuronale inaspettata. Collocati degli elettrodi nella corteccia frontale del macaco, mentre uno sperimentatore prese una banana da un cesto, iniziò ad attivarsi una particolare popolazione di cellule neuronali della scimmia. Vittorio Gallese intenta ad osservare l'azione. Sottolinea per primo il ruolo dei neuroni specchio sia nella comprensione delle emozioni delle altre persone sia nell'entrare in empatia con esse. Sono diverse le evidenze empiriche che testimoniano un legame tra i neuroni specchio e questa capacità; queste prove sono state raccolte con l'uso di varie metodologie, dal neuroimaging allo studio di pazienti con lesioni cerebrali in aggiunta ai vari studi sperimentali o osservativi di psicologia sociale. "I neuroni specchio si attivano quando vediamo gli altri esprimere le proprie emozioni come se fossimo noi stessi a porre in atto quelle espressioni facciali. Per mezzo di questa attivazione, i neuroni specchio ci permettono di comprendere e di entrare in empatia con gli altri."inviano anche dei segnali ai centri cerebrali emozionali del sistema limbico, facendo sì che noi stessi proviamo quel che provano le persone che abbiamo davanti”. In base a questi studi sperimentali Iacoboni ha permesso di meglio chiarire le basi neurali dell’empatia: “i neuroni specchio producono un’imitazione interna, o simulazione, dell’espressione facciale osservata. Attraverso l’insula, inviano dei segnali al sistema limbico che produce la sensazione dell’emozione osservata”. (Iacoboni, 2008). Tra gli approcci multidimensionali vi è il modello multidimensionale di Feshbach, che dedica l’attenzione a tre aspetti in particolare: - Risvolti sociali dell’empatia - Misure adeguate del costrutto - Programmi specifici di training L’empatia è costituita da 3 componenti che coincidono con altrettante abilità che, agendo in modo integrato, generano comportamenti empatici: 1. Capacità di decodificare glistati emotivi altrui, quindi comprendere gli indici facciali e situazionali per capire le emozioni che l'altro sta provando (cognitiva). 2. Capacità di assumere il ruolo e la prospettiva di un altro (cognitiva). 3. Capacità di rispondere affettivamente alle emozioni provate da altri (emotivo-affettiva). I limiti di questo modello sono il fatto di considerare la parte affettiva subordinata a quella cognitiva. Il modello di Hoffman (2000) sostiene che l'empatia si manifesta in forme semplici, fin dai primi giorni di vita e nelle prime manifestazioni empatiche è la parte affettiva ad avere una maggior rilevanza (per esempio, pianto neonatale). Procedendo con la crescita e il consolidamento di tutte le abilità cognitive, la componente cognitiva assume un'importanza crescente e si va ad integrare con quella affettiva, permettendo al bambino di arrivare ad assumere forme più evolute di empatia. Lo step ulteriore che fa Hoffman è quello di considerare l'empatia come un processo dinamico e complesso, che coinvolge sia la dimensione cognitiva che quella affettiva.diconsiderare anche la componente motivazionale dell'esperienza empatica, quindi diconsiderare che l'empatia molto spesso è l'origine di quel processo che ci porta a prenderci cura dell'altro. Il modello di Hoffman considera il processo che si attiva nell'individuo nel momento in cui si osserva una persona sperimentare un'emozione. Le forme di sviluppo dell'empatia seguono anche l'andamento dello sviluppo e della crescita dell'individuo: - Stadio 0: il neonato non si percepisce come separato dall'altro: è come se la stesse percependo sulla sua pelle, la risposta è un pianto/riso in reazione all'altra persona. distress empatico egocentrico, - Stadio 1 (6 mesi - 1 anno): parliamo di il bambino distingue sé e l'altro ma non attua comportamenti per consolare l'altro ma per attenuare il proprio stato d'angoscia. Il bambino osservatore di fronte ad un bambino che piange, tendeinnanzitutto a cercare conforto per sé, ma prova anche sollievo se l'altro bambino interrompe la sua sofferenza. Distress empatico quasi egocentrico. - Stadio 2 (2 anni): parliamo di nei bambini si fachiara la distinzione tra il proprio stato interno e quello altrui, quindi i bambini in questo stadio diventano capaci di mettere in atto dei comportamenti d'aiuto che però sono messi in atto a partire dalla propria esperienza. Quindi un bambino mette in atto dei comportamenti di consolazione che sono adatti per sé stesso, non in base ai bisogni dell'altro. - Stadio 3 (dai 3 anni ai 9 anni): si inizia ad entrare nella fase dell'empatia vera e propria, empatia in risposta alla situazione di un altro. Si parla di in cui il bambino diventa grazie al consolidamento delle sue abilità cognitive, capace di comprendere le cause, le conseguenze e i correlati delle emozioni appartenenti all'altro. Il bambino riesce ad empatizzare in maniera piùprofonda con i sentimenti dell'altro, grazie alla competenza linguistica e la capacità di decentramento. distress empatico oltre la situazione, - Stadio 4 (dai 9 anni e in adolescenza): si parla di riusciamo a rappresentarci la condizione dell'altro, per cui ci si immagina la situazione nella sua complessità e le conseguenze future pur non avendo vissuto la medesima situazione. Martedì 23/11/2021 Hoffman va ad interrogarsi rispetto al cosa accade nel momento in cui si viene a contatto con una persona che si trova a vivere uno stato di disagio e su come rispondiamo a questo disagio. Nel momento in cui veniamo a contatto con una persona che soffre sperimentiamo emozioni negative vicarie congruenti con quelle della persona e questo genera tendenzialmente un distress empatico che porta all'attivazione di comportamenti volti a sostenere la persona nello stato di disagio, quindi comportamenti prosociali. Il mettere in atto comportamenti prosociali però per.farci stare meglio può portare anche ad un sollievo per la vittima, quindi non basta mettere in atto qualcosa ma è necessario mettere in atto qualcosa che allevia lo stress altrui. Può accadere che la persona sperimenti la sofferenza dell'altro su di sé ma scelga di non intervenire e questo può accadere in molte situazioni, per esempio: - Quando ci sono tante persone in una scena, per la diffusione di responsabilità - Per calcoli egoistici, pensiamo che è meglio che intervenga qualcun altro perché questo ci può tutelare da conseguenze negative - Per la percezione di sé come una persona incapace di aiutare - Chi sperimenta un sovraccarico di emozioni negative, quindi lo stato di sofferenza dell'altra persona può provocare un tale malessere che mi rende incapace di prestare aiuto (sono talmente sopraffatto dall'emozione altrui che la sperimento su di me a livelli elevati che quasi ho bisogno di essere soccorso io) Successivamente,Hoffman si interroga sul come nasce la risposta empatica. Secondo lui, visono delle forme più primitive che sono quelle dei primi stadi, per cui la risposta empatica si basa su:- Mimesi o imitazione motoria, nei primi mesi, per esempio imitazione dell'espressione facciale di gioia o rabbia delle madri
- Per condizionamento classico, ossia nei primi anni, quando il bambino sperimenta una condizione di distress mentre osserva qualcun altro che prova la stessa esperienza
- Per associazione diretta, ossia l'esperienza della vittima evoca un'esperienza analogavissuta dal testimone (per esempio, il testimone vede una vittima che piange perché si è tagliata, questo evocherà analoghe esperienze vissute e provocherà distress)
- Associazione mediata: compare con il linguaggio,