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UNITARIA:
DAL CENTRALISMO ALLA AUTONOMIA
E’ essenziale conoscere la storia dell’istituzione nella quale si
opera, sia come docente che come futuro dirigente, perché tale
conoscenza permette di esplicare l’attività con maggiore
consapevolezza sia tecnica (come) che politica (perché). La
conoscenza della storia dell’istituzione ci aiuta ad acquisire una
maggiore consapevolezza del proprio lavoro.
Entrando in argomento, si tratta di esaminare i provvedimenti più
significativi assunti nel campo scolastico in 150 anni, cercando di
collegarli con i problemi del tempo in cui furono assunti, con i ceti
sociali più significativi e con i risultati prodotti. Tutto questo alla
luce degli orientamenti di una storiografia scolastico-educativa
sempre più avvertita sotto l’impulso di riferimenti storiografici
avanzati grazie alla storiografia annalistica.
17 marzo 1861, è la data della proclamazione del Regno d’Italia,
per effetto di congiunture assai favorevoli e per molto aspetti non
previste. Si trattava a quel punto di dare un assetto organizzativo
al nuovo stato. Si optò per il modello piemontese per cui il sistema
amministrativo, quello giuridico e giudiziario e quello militare, in
uso nel Regno sabaudo furono estesi al nuovo Regno. E’ il
fenomeno della cosiddetta “piemontesizzazione”, di cui parlano
oggi molti libri di storia, confezionati secondo gli indirizzi della
storiografia più recente. Ai miei tempi, secondo la storiografia
ufficiale, non si parlava di “piemontesizzazione”, né tanto meno
dei molti problemi che essa aveva procurato, tra cui il
brigantaggio. A questo processo di organizzazione del nuovo Stato
partecipò anche l’istituzione scolastica che, in conformità con
quanto avvenne in altri settori, si conformò al modello scolastico
piemontese.
Nel 1859 lo Stato sabaudo, per rispondere alle esigenze di
ammodernamento della società piemontese e lombarda, aveva
varato un Decreto-Legge di riforma della scuola che prese il nome
dal Ministro Casati, che riorganizzava la scuola secondo le nuove
necessità. Le caratteristiche del nuovo assetto scolastico, che
riproponeva in parte l’ordinamento dell’istruzione pubblica
piemontese della legge Boncompagni del 1848, erano:
1. Struttura centralistica-piramidale della scuola, secondo il
modello napoleonico;
2. Rigida distinzione tra cultura umanistica e cultura tecnico-
professionale;
3. Obbligo scolastico riferito ai primi due anni della scuola
elementare (1 grado inferiore);
4. Affidamento dell’istruzione elementare ai Comuni.
Si trattava di un’organizzazione funzionale alle scelte ideologiche
e sociali di una classe sociale (la borghesia liberale del tempo)
socialmente molto ristretta, che tale voleva rimanere e che
utilizzava la cultura umanistica come filtro sociale per la propria
riproduzione e come strumento di omogeneizzazione al suo
interno.
Nel 1861, all’indomani dell’Unificazione, il modello piemontese
di scuola fu esteso al nuovo Regno, il che provocò resistenze e
contraddizioni con i sistemi scolastici degli Stati pre-unitari,
alcuni dei quali, come il Granducato di Toscana e i Ducati di
Modena, Parma e Reggio, molto avanzati; non lo erano quelli
dello Stato Pontificio e del Regno di Napoli, dove i Borboni
avevano cancellato molte tracce delle riforme del periodo francese
dei napoleonidi. L’uniformità del modello scolastico per tutto il
Paese era giustificata dalla necessità di avere strumenti efficaci di
diffusione di una cultura nazionale, fatta di alcuni valori–simbolo
come la patria, la nazione, la bandiera, la famiglia, il lavoro, ecc.,
capace di formare il nuovo cittadino italiano. Questo progetto di
formazione del nuovo italiano ebbe vicissitudini diverse a seconda
delle classi dirigenti che se ne assunsero il peso e la responsabilità.
La Destra liberale, negli anni ’60 e per metà degli anni ’70, mostrò
un grande interesse per l’istruzione superiore classica e scarso
interesse per l’istruzione elementare-popolare e quella tecnico-
professionale e per la formazione dei maestri (la Casati aveva
previsto a tale scopo la Scuola Normale, di durata triennale, dopo
l’elementare e dopo i 16 anni, il che creava un vuoto colmato di
fatto dai dispersi delle altre scuole e colmato di diritto
successivamente con il corso complementare triennale dopo la
elementare). Esemplificativo del disinteresse della Destra liberale
per l’istruzione popolare è la polemica sull’equazione
istruzione=delinquenza che contraddiceva uno dei capisaldi del
filantropismo illuministico di Beccaria per cui
progresso/diffusione della cultura era uguale a diminuzione dei
delitti e della criminalità. A spegnere le illusioni sull’importanza
dell’istruzione nella forza di una nazione, suscitate dai successi
della Prussia sugli eserciti avversari nel corso della 3^ guerra
d’indipendenza, attribuiti alla scuola e ai maestri, ci pensò
Pasquale Villari, ponendo il problema della “questione sociale”
per cui la povertà e la miseria non erano alleate dell’istruzione.
Con l’avvento della Sinistra (1876), nell’ambito di un
programma dalle grandi aperture sociali, l’istruzione elementare
fece significativi passi in avanti grazie all’affacciarsi sulla scena
sociale di nuovi ceti sociali, della piccola e media borghesia e del
proletariato urbano.
Frutto di questa attenzione sono alcuni provvedimenti, tra i quali:
1877: legge Coppino sull’obbligo scolastico elevato a tre anni;
1878: Monte pensioni e legge sull’edilizia scolastica. E poi
interventi nel settore dell’istruzione tecnica e professionale, contro
la scuola privata, soprattutto religiosa.
Gli anni ’80 sono i più prolifici, quelli della massima espansione
dell’ideologia positivistica, del progresso e dell’esaltazione della
scienza e della visione laica. Anche sul piano pedagogico si
conseguono importanti risultati per quel che riguarda la
fondazione di una scienza autonoma con una propria metodologia
scientifica, il valore dell’educazione, dell’istruzione e della scuola
per il progresso sociale. Aristide Gabelli, nel redigere i programmi
dell’elementare del 1888, valorizza lo strumento testa.
Seguono gli anni ’90, caratterizzati da scandali, disordini e
conflitti sociali e si registra la fase discendente del positivismo e
l’affermarsi di nuove ideologie irrazionalistiche, nichiliste e
volontaristiche. Si diffonde la paura per il socialismo, torna
l’ideologia conservatrice dell’“istruzione quanto basta e
(del)l’educazione più che si può”. La scuola viene vista come
strumento di contenimento delle tensioni sociali con programmi e
libri di testo che diffondono questa ideologia ruralista e i valori
della rassegnazione, della pazienza e della modestia sociale. Tutto
questo avviene mentre cresce la domanda d’istruzione portata
avanti dai nuovi ceti (piccola borghesia e proletariato) e il Partito
socialista se ne fa interprete rappresentando le aspirazioni degli
insegnanti che entrano a far parte dei suoi quadri intermedi e
puntando alla lotta contro l’analfabetismo, alla realizzazione
dell’obbligo scolastico e al potenziamento dell’istruzione tecnica e
professionale.
In questo quadro storico-culturale si inserisce la polemica di
Salvemini, un tempo socialista e poi radicale, contro la scuola
media unica che doveva unificare il ginnasio inferiore e la scuola
tecnica triennale, secondo la proposta della Commissione istituita
dal Ministro Bianchi nel 1905. Salvemini riteneva che il ginnasio-
liceo dovesse essere la scuola per la formazione della classe
dirigente e l’indirizzo tecnico-professionale dovesse essere quella
della formazione per le classi esecutive della società.
Gli inizi del nuovo secolo, caratterizzati dall’età giolittiana, di
forte impegno per l’istruzione e di decisioni e speranze annullate
dalla guerra, vedono:
1. un’espansione quantitativa della domanda d’istruzione a
tutti i livelli sotto l’effetto della rivoluzione industriale.
Anche l’emigrazione contribuisce alla diffusione della
scolarizzazione e alla riduzione dell’analfabetismo con le
rimesse americane.
2. Una serie di provvedimenti a favore degli insegnanti e
della scuola: la Legge Nasi del 1903 di riconoscimento di
una serie di tutele agli insegnanti, tra cui lo stato giuridico
economico; la legge Orlando del 1904 che estende
l’obbligo a 12 anni con la V^ e la VI^ classe; la legge
speciale per il Mezzogiorno del 1906 che prevede una serie
di provvidenze anche sul piano scolastico; la legge Daneo-
Credaro del 1911 che avoca allo Stato l’istruzione
elementare con eccezione delle scuole dei grossi Comuni e
dei Comuni capoluoghi di provincia e di circoscrizione, ed
istituisce obbligatoriamente il patronato scolastico in ogni
comune.
La riforma Gentile del 1923 accentua il carattere centralistico
della scuola disegnata da Casati e dà una volta autoritaria e
restauratrice attribuendo maggiori responsabilità ai Presidi e agli
insegnanti e riducendo le scuole (“poche ma buone”) e la
popolazione scolastica che negli anni era cresciuta con un ritmo
più rapido della popolazione del Regno, e questo aveva prodotto
una dequalificazione degli studi e una promozione sociale che non
coincideva con la filosofia della riforma Gentile, il cui impianto
era basato sulla divisione tra cultura umanistica, destinata alla
formazione delle élites dirigenti,e la cultura professionale,
destinata alla formazione della classe che esegue, il tutto in linea
con una visione della società formata da quelli che erano destinati
a dirigere e da quegli altri, che erano destinati alla “zappa e alla
vanga”, a “consumere fruges”. Sulla base di questo impianto la
riforma Gentile prevede:
a. Un ciclo elementare quinquennale.
b. Un ginnasio inferiore triennale e, in alternativa, una
complementare sostitutiva della scuola tecnica, senza
sbocco, come canale di scarico per coloro che per
condizioni sociali e o per censo non potevano proseguire
gli studi.
c. Un istituto magistrale inferiore (4 anni) cui seguiva uno
superiore (3 anni) e che dava accesso all’Istituto superiore
di Magistero (4 anni) poi diventata facoltà di magistero nel
1935.
d. Un istituto tecnico inferiore (3 anni) cui seguiva uno
superiore (4 anni) con due indirizzi (commerciale e per
geometri)
Dimessosi Gentile, inizia la politica dei “ritocchi” per temperare
la forte selezione a vantaggio dei cet