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TAYLORISMO

Frederick Taylor (1911) era un economista che si preoccupava di capire come il lavoro dentro le

fabbriche in USA e UK potesse diventare più produttivo. Lui quindi riprese alcune teorie di Smith e

propose i Principi dell’organizzazione scientifica del lavoro. Propose la scomposizione del

processo produttivo di un bene in una serie di operazioni elementari (a basso livello di

specializzazione) attraverso la catena di montaggio. Diminuzione dei tempi necessari e crescita

dimensionale delle imprese per avere economie di scala interne - dei vantaggi che derivano dalla

scomposizione del ciclo produttivo.

Forza lavoro: si avevano meno operatori qualificati in favore di operai generici. Il lavoro era

ripetitivo e caratterizzato da un costante ricambio di manodopera.

FORDISMO

Prende dal Taylorismo la scomposizione del ciclo produttivo, ma lo unisce ad una sorta di

intervento di carattere sociale. Modello di organizzazione produttiva e sociale inaugurato da Henry

Ford che ha caratterizzato i paesi avanzati fino agli anni Settanta. Affiancava al lavoro dei servizi

sociali.

Produzione: taylorismo e divisione tecnica del lavoro (catena/reparti), grandi impianti, beni

standardizzati e a basso costo per il consumo di massa, magazzino.

Nuovo sistema di relazioni tra impresa e dipendenti: miglioramento rapporti economici (salario

minimo, 8h), rapporti sociali (operatori sociali), produzione-risparmio-consumo, controllo

dell’impresa sui modelli di consumo e gli stili di vita (interventi sociali, organizzazione attività, cité

industrielle) - Produzione di individui disciplinati al lavoro in fabbrica e al consumo dei beni prodotti

dalle stesse in un contesto di occupazione stabile. Impresa come “cuore” dell’organizzazione

sociale: benessere legato al nesso tra aumento produzione, espansione mercati, tassazione

redditi, sviluppo attrezzature collettive (circolo “virtuoso” dello sviluppo) - fordismo-keynesismo

come sistema di regolazione economica e politica in cui l’aumento della produzione corrisponde a

quello del benessere. Questo modello ha plasmato le democrazie occidentale. L'industria

trascinava l’economia - produceva benessere/reddito che andava di pari passo con la produzione

delle fabbriche. Molti diritti che ora noi abbiamo, derivano da questo circolo virtuoso dello sviluppo.

LA CRISI DEL FORDISMO-KEYNESISMO

Questo sistema poggiava su alcune condizioni come la continua crescita produttiva, la stabilità

internazionale, la costante espansione dei mercati, la stabilità dei cambi monetari e del costo delle

materie prime, il forte controllo e coordinamento della produzione che cominciano a venir meno

negli anni Settanta Per diverse ragioni: le crisi petrolifere - shock che comportò maggiori costi di

produzione in particolare per il trasporto delle merci + conflitti sociali (proteste dei dipendenti) +

accenni di globalizzazione che portava una crescita di competizioni a carattere globale.

Le rigidità di una ’impresa sempre più grande e macchinosa si scontra con un contesto sempre più

dinamico (domanda che richiede diversificazione) in primo luogo la sua considerevole integrazione

verticale (controllo diretto e internalizzazione filiera produttiva), si scontrano con un contesto

sempre più competitivo, dinamico e imprevedibile, oltre che con modelli di consumo che divengono

più eterogenei. L’insieme di questi fenomeni incide sul rendimento economico delle

sempre

imprese (che cercano di adottare varie strategie per tenere basso i costi di lavoro) e si ricorre a

strategie per abbassare il costo del lavoro (automazione, delocalizzazione, precarizzazione) e

aumentare la produttività. Con la crisi di molte industrie, in primis pesanti, viene meno il

funzionamento del circolo “virtuoso” e si assiste al progressivo indebolimento dei sistemi di welfare

che si poggiavano su di esso.

TRANSIZIONE POST-FORDISTA → rispondere in modo

La necessità di diversificare i prodotti e della velocità della produzione

dinamico a condizioni meno prevedibili comportano la transizione verso sistemi di produzione

l’obiettivo di abbassare il costo del lavoro e di

maggiormente flessibili e disintegrati che hanno

aumentare l’adattabilità a un contesto tecnologico e di mercato molto dinamico.

Dei modelli che Michael Piore e Charles Sabel (1984) definiscono come forme produttive di

specializzazione flessibile, hanno a che fare con la Disintegrazione verticale: il processo produttivo

è scomposto in diversi impianti che potevano essere anche in paesi diversi. Vengono

esternalizzate le fasi della produzione meno competitive specializzazione dei fornitori,

decentramento produttivo, riduzione dimensione degli impianti. Questo comporta una dispersione

delle attività produttive, ma la necessità di maggiore relazione tra diversi impianti produttivi. Altre

caratteristiche di questo modello sono: la ripartizione dei rischi tra più aziende, precarizzazione del

lavoro, minore conflittualità sindacale, processo produttivo frammentato in catene di appalti e

subappalti, maggiore interdipendenza.

Questi processi avvengono all’interno di una graduale ristrutturazione del peso relativo rivestito dai

settori economici.

La doppia convergenza

A queste dinamiche di trasformazione si associano tendenze in qualche modo contrastanti di

dispersione e concentrazione, le cui configurazioni danno luogo a specifici modelli di produzione.

- formazione di imprese private di carattere internazionale (multinazionali) che organizzano il loro

ciclo produttivo in diversi stabilimenti in varie aree del mondo da cui possono trarre vantaggio

(imprese globali). Grandi corporation transnazionali disperse su una pluralità di siti produttivi. Forte

economie interne all’azienda ma non al sito (in casi estremi imprese senza produzione

peso

diretta).

- formazione di sistemi locali, concentrazioni di imprese, piccole e medie imprese autonome che si

organizzano in distretti industriali o cluster e che partecipano collettivamente alla produzione di

prodotti dello stesso settore o di uno stesso prodotto (sistemi locali)

Imprese globali:

La doppia convergenza esprime come le grandi imprese siano sempre più frammentate mentre le

piccole siano sempre più connesse in un sistema industriale che segue configurazioni a rete. In

ogni caso l’obiettivo è accrescere la flessibilità e la specializzazione sfruttando lo sviluppo dei

trasporti e delle tecnologie informatiche.

I sistemi locali di produzione

I distretti industriali italiani: Sono un caso molto particolare di sistemi locali di produzione tipico del

e della specializzazione flessibile, particolarmente diffuso in Italia. C’è una forte

post-fordismo

diversificazione. Sono caratterizzati da: divisione sociale del lavoro tra piccole imprese co-

localizzate (localizzate nello stesso contesto) e collegate a reti di fornitori sia interni che esterni al

distretto (talvolta singoli individui con lavoro a domicilio). I distretti italiani sono specializzati in

intensità di lavoro tipiche dell’industria leggera. Dunque si collocano in settori

produzioni ad alta

molto concorrenziali, peraltro interessati da domanda differenziale e mercati instabili. Per tali

ragioni devono continuamente innovare i prodotti e rispondere con flessibilità alle dinamiche della

domanda contenendo i costi di produzione. I distretti hanno alle spalle una lunga storia di

specializzazione manifatturiera che muove dalla conoscenza contestuale di tecniche di produzione

artigianali.

Sono molto radicate al luogo: nascono dalla progressiva industrializzazione degli aspetti di

carattere artigianale locale. L’industrializzazione di queste tecniche è avvenuta attraverso la

crescente complessificazione delle relazioni fra imprese autonome piuttosto che tramite la crescita

dimensionale degli impianti. Sviluppo di relazioni input-output, numerose economie esterne e

forme di auto-contenimento geografico dei processi produttivi. Questo modello produttivo si riflette

nel radicamento sociale e territoriale del distretto. Sono state molto importanti per il benessere

della località cresciuta da un punto di vista qualitativo ma non solo. Giacomo Becattini che per

primo introduce negli anni Settanta il concetto di distretto osserva come questi siano incorporati nei

territori e funzionino sulla base di elementi di natura non economica: fiducia reciproca, omogeneità

sociale e culturale, relazioni stabili e affidabili, etica del lavoro, collaborazione.

Terza Italia e industrializzazione senza fratture del Centro-Nord poggiano sulla valorizzazione degli

elementi contestuali e su una cinghia di trasmissione tra politica e società (uno specifico circolo

virtuoso a scala locale). Nuovi spazi industriali: (Toyotismo) L’evoluzione verso sistemi di

produzione a rete influisce sulle scelte localizzative delle imprese che non possono più essere

comprese nella loro individualità. Assume peso la posizione organizzativa e geografica all’interno

dei processi produttivi: la vicinanza con imprese simili e impegnate nello stesso processo facilita il

coordinamento della produzione, i trasferimenti di conoscenza e gli scambi materiali.

Toyotismo: configurazione intermedia tra produzione di massa e produzione flessibile incentrata

sull’automazione (jidoka) e il con coordinamento di un’azienda

just-in-time leader.

Produzione dopo domanda, ordini frequenti, intensità scambi facilitano la vicinanza.

Esempio → Toyota City (Nagoya), Boeing a Seattle, Sun belt, Francia del Sud, Italia Centro-Nord

sono regioni che conoscono dagli anni Settanta forme di sviluppo incentrate su diverse

configurazioni di specializzazione flessibile e che in precedenza erano state scarsamente

interessate dallo sviluppo fordista. Condizioni localizzative con forte variabilità settoriale e

temporale producono nuovi spazi industriali con specifiche ecologie di relazioni economiche e

sociali.

Cluster e polarizzazione spaziale

Il grado di concentrazione geografica dei vari settori produttivi in ogni caso cresce piuttosto che

ridursi. Secondo la teoria del vantaggio competitivo di Michael J. Porter le imprese competitive si

concentrano in particolari regioni secondo cluster specializzati formati da imprese, fornitori di beni

e servizi, università e centri di ricerca fortemente connessi. La specificità geografica che genera il

vantaggio competitivo non è quindi riproducibile ovunque. La globalizzazione riduce i vincoli al

movimento di beni, investimenti e informazioni e questi tendono a concentrarsi dove si riscontrano

specificità in grado di accrescerne il valore. Il cluster è una categoria più ampia del distretto che

tiene al suo interno diverse configurazioni di sistemi produttivi. Le differenze non riguardano

soltanto le modalità di produzione ma anche il rapporto tra le imprese e il territor

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Publisher
A.A. 2022-2023
69 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-GGR/02 Geografia economico-politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher aleuniurb_ di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Geografia economico-politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Bazzoli Nico.