Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
GEOGRAFIA DELLE MIGRAZIONI
Il «regime dei confini» e la produzione dell’«illegalità» dei migranti > le
migrazioni hanno a che vedere con la mobilità o con l’immobilità nello spazio, da dove
si parte e dove si arriva. Le leggi che regolano le migrazioni hanno un impatto spaziale
diretto e hanno prodotto uno spostamento nelle barriere. Il controllo dei confini non
coincide con la linea dei confini. Interessante il tipo di migrazioni nei termini di
frontalità e stabilimento delle frontiere.
Qual è il motivo per cui molti migranti arrivano in questo modo? Non si tratta tanto di
una questione economica o di passaporto, quanto dall’impossibilità di ottenere il visto.
Il regime globale dei visti > uno dei fattori determinanti che costituisce un criterio
di differenziazione è dato dalla nazionalità, insieme ad una dimensione di classe
sociale. Anche qualora ci sia la disponibilità economica, può essere negato il visto per
una questione politica e di nazionalità. Esiste il diritto all’emigrazione, ma non
all’immigrazione. Fino agli anni 60-70, i cittadini marocchini potevano venire
liberamente. Quindi la nazionalità è il criterio principale che porta ad un accesso
ineguale alla mobilità. In questo senso la migrazione ha molto poco a che vedere con il
movimento. Con il Brexit, c’è stata una sorta di migrantizzazione di persone straniere
prima visti come export. La migrazione è stata definita da alcuni critici come una
mobilità che diventa problematica per gli stati nazione e per i cittadini; quando la
mobilità di qualcuno viene vista come un problema. Si viene razzializzati e identificati
come migranti in base al contesto sociopolitico di un paese e alle leggi che
determinano chi è migrante e chi no. Il regime dei visti lo si può vedere in relazione
alle gerarchie dei passaporti.
La nascita del "border regime" > Il regime dei confini è un termine usato per
indicare un insieme di leggi e procedure amministrative, pratiche di polizia che hanno
determinato la gestione delle migrazioni. Tuttavia, nel corso del 900 si è arrivati a
definire il regime dei visti, una modalità di governo della migrazione relativamente
recente. Si fa risalire al 1882 l’inizio dei controlli alla migrazione da parte di paesi
occidentali. Anno in cui negli Stati Uniti viene emanata una legge, “Chinese exclusion
act”, con la quale si vietava l’ingresso ai cittadini di nazionalità cinese, una misura che
si configura su base razziale. Ci saranno altri provvedimenti tesi ad illegalizzare l’arrivo
di persone asiatiche. Da quel momento sia negli Stati uniti, sia in Europa iniziano i
cosiddetti controlli sull’immigrazione di persone che arrivavano negli Stati uniti per
lavorare. In Europa iniziano i controlli soprattutto quando finisce il periodo della
decolonizzazione e il 1973, anno della crisi del petrolio, cominciano a stringersi le
maglie nel senso che fino ad allora il regime dei controlli era meno restrittivo perché
serviva forza lavoro dopo la fine del secondo dopoguerra. È il periodo in cui diversi
stati firmano accordi con stati come l’Italia per far andare i lavoratori italiani nelle
miniere e nelle industrie in Germania e Francia. Nel 73, con l’inizio della crisi
economica, gli stati stranieri agiscono incrementando una serie di controlli e iniziano i
visti obbligatori per i cittadini non europei. La mobilità degli italiani a causa delle leggi
fasciste è stata soggetta a forti controlli e restrizioni per impedire che lasciassero il
paese. Negli anni 50 molti lavoratori italiani andavano in Francia illegalmente. Anni 60-
70 è momento molto prolifico per quanto riguarda la storia della migrazione perché
iniziano i primi programmi di gestione della forza lavoro europea. Il regime dei visti
deve essere letto all’interno dei momenti di decolonizzazione e guardano al nesso
colonizzazione-migrazione. La questione colonizzazione si dispiega anche per quanto
riguarda la nostra percezione delle persone che arrivano regolarmente, quindi
l’immagine razzializzante della persona migrante nera che arriva nel nostro paese. Il
confronto con gli altri basato sulla vicinanza e sulla somiglianza.
Chi è "migrante" oggi? > all’interno di una logica capitalistica, la mobilità sociale è
molto supportata dalla società. Quando pensiamo alla mobilità, ad esempio, di un
tunisino non lo si pensa in termini di diritto e si iniziano ad associare criteri di
moralizzazione, pensando che una persona si sposta solo per trovare lavoro e fare
soldi. Insieme c’è anche il tema di che cosa viene legittimato come ragione per
migrare; il discorso pubblico-politico tende a legittimare solo l’idea di migrazione
forzata, ovvero di coloro che da un determinato paese si spostano ad un altro solo
perché devono necessariamente farlo. Una motivazione può essere un drastico calo
delle condizioni di vita a causa ad esempio di questioni ambientali. Spesso il
deterioramento è socioeconomico, ha a che vedere con il tasso di occupazione. Il terzo
punto è che quando si parla di “rifugiato” si parla di una persona vista come peso,
come problema economico. Tendenzialmente tra gli anni 90 e 2000 si è molto
rafforzata questa distinzione tra migrante economico e rifugiato popolarizzando il
termine rifugiato, che è uno status giuridico che comprende avere dei documenti di
viaggio e godere di determinati diritti. La condizione di rifugiato impone che non si
possa tornare nel proprio paese d’origine, è uno status regolato dalla legge sia
nazionale che internazionale. La categoria di migrante non ha una valenza giuridica.
Non c’è una definizione standard di migrante, di solito si intende colui colei che
attraversa il confine del proprio paese per passare ad un altro stato nazione con
l’intento di andare a risiedere in un altro paese.
In senso più ampio si può usare il termine migrante per indicare le persone che
arrivano in Europa perché devono e hanno fatto una migrazione forzata e perché noi
riconosciamo loro il diritto sociale di rimanere. Quindi l’immagine e la percezione
popolare di chi è migrante qui e ora cambiano nel tempo.
"the legal production of migrants' illegality" (De Genova, 2002) > un aspetto
teorico importante è. Questo teorizzato da De Genova. Si diventa illegali a causa delle
leggi che un determinato paese ha nei confronti delle persone migranti; non si produce
solo al momento dell’ingresso, ma con la permanenza. La condizione di irregolarità
produce anche una condizione di deportabilità. Le espulsioni sono molto difficili da
eseguire perchè presuppongono un accordo con il paese d’origine e l’Italia ha accordi
con davvero pochi paesi, tra cui Tunisia, Egitto e Nigeria. Ma se deve essere rimandata
una persona in Niger o in Iraq la situazione diventa più complessa. Se non c’è
l’accordo bilaterale, serve che il paese d’origine dia l’ok. La deportabilità è la
condizione in cui si può essere espulsi da un momento all’altro e si vive in una
condizione di incertezza. È una situazione che rende più vulnerabili e che indebolisce i
rapporti di forza all’interno della società.
La moltiplicazione delle frontiere > Il regime delle migrazioni spesso è stato
definito come una fortezza Europa inespugnabile, esito di politiche per prevenire
l’arrivo di migranti. Questa metafora è stata a lungo criticata perché presuppone
l’immagine di un’Europa quasi sigillata, dove le politiche di controllo funzionano
prevenendo l’arrivo dei potenziali migranti o espellendo tutti gli indesiderati. In realtà,
non solo non è così, ma l’obiettivo non è solo quello di bloccare gli arrivi (la migrazione
è fondamentale del pdv economico), ma anche quello di produrre una maggiore
vulnerabilità e precarietà nei cittadini e diventa sempre più normale lavorare in quelle
condizioni. Inoltre, le persone continuano in ogni caso ad arrivare. Secondo alcuni
autori si può parlare più che di pratiche tese ad escludere, di inclusione differenziale;
quindi, la chiusura dei confini teso a creare gerarchie di precarietà e subordinazione
razziale. Il regime dei confini funziona moltiplicando differenze e gerarchie. E questo
ancor più adesso che i confini non si limitano alle frontiere geopolitiche degli stati
nazione: oggi sono dislocati e anche invisibili (frontiere digitali). Le frontiere digitali
hanno a che fare con meccanismi di estrazione di dati dalle persone, ma anche a
distanza, esercitando un controllo da remoto sugli arrivi in Europa.
Il regime dell'asilo > L’aspetto importante è il modo in cui si diventa legali in un
paese dal pdv amministrativo. Il regime dell’asilo è diventato uno dei pochissimi modi
che i migranti hanno per diventare regolari in un paese. Questo è surreale se si pensa
alla storia del diritto d’asilo, nato nel mondo non per regolarizzare le persone, ma per
garantire protezione internazionale a chi fuggiva da situazioni di pericolo. Restare in
un paese non è automatico, ma è necessario entrare in determinate quote, ottenere
un contratto di lavoro ufficiale ed essere regolarizzato con la cosiddetta sanatoria. Il
terzo canale, il più automatico, è sposarsi. Il matrimonio è il modo più diretto per
ottenere documenti. L’asilo è nato come istituzione nel 1951, anno della firma della
Convenzione di Ginevra, in cui gli stati europei hanno definito chi è rifugiato. In questa
vi era una duplice distinzione, temporale e spaziale, per proteggere gli ebrei durante la
Seconda guerra mondiale. Questa restrizione geografica e spaziale non è stata
sufficiente perché ha presentato il problema di cosa si poteva fare degli altri che
venivano pure razzializzati. Nel 1967 vengono abolite le due limitazioni geografiche e
temporali e l’asilo nasce per proteggere dal punto di vista politico determinate
persone che rientravano nella definizione di rifugiato, ovvero "chiunque, nel
giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua
cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni
politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale
timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque essendo
apolide e trovandosi fuori dal suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non
può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi". È una definizione