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V10 P ◦T [ C]−273.15 0 100

Pensiamo quindi di ridefinire la scala della temperatura in modo chee per (7.3)→ →T = αP T 0 P 0.81

In questo modo leghiamo la pressione alla temperatura grazie ad un’unica costante di cali-brazione Possiamo ottenerla utilizzando un solo punto fisso di calibrazione: il punto triplo.α.

In questa nuova scala scegliamo per convenzione la temperatura al punto triplo:T = 273.16 KP T

In questo modo possiamo ottenere la costante , quindi complessivamente:A = 273.16/P P TP (7.4)T = 273.16 P P Tdove è la pressione del gas in questione al punto triplo.P P TLa scelta arbitraria della temperatura al punto triplo è giustificata che un tale valore fornisce ipunti fissi del ghiaccio e del vapore rispettivamente a e Possiamo◦ ◦T = 273.15 C T = 373.15 C.g vsubito notar come una tale scelta mantenga la differenza quindi la scala Kelvin−T T = 100 K,v gè centigrada e risulta di fatto una scala Celsius traslata.Come

specificato prima, questa relazione è tanto più vicina alla realtà quanto più il gas si comporta come un gas ideale. Abbiamo anche visto però che i gas reali tanto più rarefatti sono tanto più il loro comportamento rispecchia quello dei gas ideali. Possiamo quindi definire il termometro ideale come: P (7.5)T = 273.16 lim P→0P P TP T

Dal punto di vista pratico il limite si realizza utilizzando gas sufficientemente rarefatti, in modo da ottenere misure entro un certo margine d’errore fissato.

L’osservazione espressa nella (7.3), in realtà è una speculazione matematica. Con un termometro a gas tale temperatura non è nemmeno misurabile, infatti il gas liquefa e solidifica molto prima. Inoltre a priori non sappiamo se in condizioni limite così estremi il gas (reale) obbedisca ancora all’equazione di stato dei gas perfetti. Quindi un esperimento che misuri K0 con un termometro a gas è

impossibile e l'osservazione fatta precedentemente è solamente una considerazione matematica fatta estendendo il comportamento dei gas osservati a temperature molto maggiori. Non è l'esito di nessun esperimento fisico reale.

La temperatura così definita è chiamata perché è definita in modo temperatura empirica sperimentale. Una definizione di temperatura assoluta sarà data successivamente. La definizione qui data non può essere considerata assoluta, perché vale solamente quando i gas sono ideali e vale l'equazione di stato.

7.7 Equazione di stato dei gas ideali

Il modello che descrive i gas ideali è un modello che descrive in buone approssimazioni il comportamento dei gas reali quando sono sufficientemente rarefatti. Le ipotesi su cui si basa sono due: le particelle del gas sono puntiformi e che non ci siano interazioni a distanza, solo urti elastici.

Analizziamo ora più nel dettaglio il comportamento

dei gas ideali. In un gas perfetto si osserva empiricamente che se il volume è costante allora la pressione è direttamente proporzionale alla temperatura, invece se la pressione è costante allora il volume è direttamente proporzionale alla temperatura. Queste relazioni sono compatibili con una relazione del tipo: PV = cT Osserviamo anche che la costante di proporzionalità è funzione della quantità di gas. Introduciamo quindi l'equazione di stato dei gas ideali: PV = nRT, dove n è il numero di moli del gas (quantità di gas) e R è la costante universale del gas perfetto. R è determinata sperimentalmente misurando per una determinata configurazione: R = PV/nT Questa equazione quindi ci dice che per un gas perfetto sono necessarie solamente due coordinate termodinamiche, perché la terza è funzione delle prime due. Come specificato prima, la linearità è tanto migliore quanto più il gas è rarefatto, quindi: (P/v) = P/T con v il volume molare, chesi misura sperimentalmente. Otteniamo infine che v = V /n R = 8.314J/(mol K). L'equazione di stato è una superficie nello spazio delle coordinate P, V, T, in particolare è un paraboloide iperbolico. Trasformazioni termodinamiche La termodinamica si occupa di trasformazioni che collegano differenti stati di equilibrio. Un particolare tipo di trasformazioni sono quelle quasi-statiche. Queste trasformazioni passano esclusivamente per stati di equilibrio, in modo che le coordinate siano sempre definite. Trasformazioni del genere non esistono in natura, sono solo una semplificazione che si avvicina più o meno alla realtà. In particolare, spesso trasformazioni reali sufficientemente lente possono essere considerate quasi-statiche. Nelle trasformazioni non quasi-statiche, le coordinate non sono sempre definite. Queste invece, spesso sono rappresentate da trasformazioni brusche. Nelle prossime sezioni ci occuperemo principalmente delle trasformazioni.quasi statiche. 7.9 Lavoro adiabatico Consideriamo le trasformazioni in sistemi termicamente isolati. In tali sistemi una trasformazione può essere indotta dal lavoro meccanico, eseguito da opportuni dispositivi sul sistema. Per il III principio della dinamica, il sistema esegue un lavoro uguale e contrario sugli apparati meccanici. Chiamiamo il lavoro eseguito dal sistema in una trasformazione di questo tipo, tra due stati di equilibrio A e B, W. Si osserva che per una data trasformazione adiabatica tra stati di equilibrio A e B, il lavoro adiabatico impiegato è lo stesso, indipendentemente dal dispositivo meccanico utilizzato. In altre parole, il lavoro W dipende solo dalle coordinate degli stati A e B. Per il calcolo del lavoro è considerata convenzionalmente la forza applicata dal sistema sull'ambiente. Se lo spostamento del punto di applicazione è concorde alla forza il lavoro è positivo, altrimenti è negativo. Se conosciamo il segno dellavoro non possiamo comunque sapere se il lavoro è eseguito dal sistema o sul sistema, non c'è nessuna correlazione. 837.10 Energia interna L'esito di tali esperimenti ci suggerisce di definire una nuova funzione delle coordinate termi-Uche del sistema, tale che le sue variazioni tra stati di equilibrio A e B siano uguali per -W addefinizione: (7.9) -W∆U := a Questa equazione ci ricorda il caso dell'energia potenziale trattato nella parte di meccanica. La situazione formalmente è analoga, ma si rivelerà molto diversa dall'energia potenziale. Osserviamo che anche in questo caso ha le dimensioni di un energia. Possiamo quindi assegnarle in significato energetico, anche se si tratta di una forma di energia diversa, che non ha significato meccanico. Per questo prende il nome di energia interna. Nella definizione il segno del lavoro è scelto convenzionalmente in modo che un lavoro positivo eseguito dal sistemasull'ambiente sia associato ad una diminuzione di energia interna. Quindi si calcola il lavoro adiabatico considerando la forza che il sistema esercita sull'ambiente esterno. Essendo una funzione esclusivamente delle coordinate è una funzione di stato. Analogamente all'energia potenziale, è definita a meno di una costante arbitraria, infatti siamo interessati alle trasformazioni, che considerano sempre variazioni di energia interna. 7.11 Calore In passato si pensava che ciò che passava dai corpi caldi ai corpi freddi era il "fluido calorico". Questo modo di intendere il calore era sicuramente indotto dall'evidenza empirica, infatti è quello che osserviamo ogni giorno. La conseguenza dello scambio del "fluido calorico" quindi, sarebbe la variazione della temperatura. Enunciamo quindi la definizione "storica" di calore: (7.10) Q = C ∆T [cal] Dove la costante di proporzionalità è detta calore specifico.

calore è misurato in calorie. C capacità termica. Fatta questa introduzione, definiamo ora il calore:

Si definisce la quantità di calore necessaria per far variare di C 1 grammo di acqua◦1 caloria pura a 1 atm, a partire dalla temperatura di 14,5 C.

Introduciamo ora anche il calore specifico. Supponendo che sia proporzionale alla massa c. C (o alla quantità di sostanza m n): (7.11) C = mc

Per definizione, per l'acqua a 14,5 C, kcal/(kg K) (kcal/(kg C) dato che l'ampiezza◦ ◦c = 1 = 1 di un grado Celsius è la stessa di un Kelvin).

Per rendere quantitativo il problema, possiamo calcolare il calore specifico di un oggetto utilizzando, per esempio, un calorimetro ad acqua. Questo consiste in un contenitore adiabatico contenente acqua a temperatura . Successivamente si inserisce l'oggetto B di cui vogliamo calcolare il calore specifico e si attende che il sistema raggiunga un nuovo equilibrio a temperatura. Ora, usando la (7.10) otteniamo: Tf

( −Q = m c(T T )B B f iB−Q = m c(T T )A A f iA

Dove con indichiamo il calore ceduto/assorbito da B (rispettivamente se oQ Q < 0 Q > 0).B B B

Analogamente con . Se applichiamo il vincolo adiabatico del contenitoreQ Q + Q = 0A A B

possiamo ricavare c: −m (T T )A f iA (7.12)c = c A −m (T T )B iB f

Abbiamo quindi definito il calore e ottenuto un metodo per misurarlo, definiamone ora il rapportocon il lavoro. 847.11.1 Calore e lavoro

Se consideriamo sistemi non isolati adiabaticamente, osserviamo che il lavoro non è indipendentedalla trasformazione, come osservato nel paragrafo 7.9. Per una stessa trasformazione eseguitaprima in condizioni adiabatiche chiamiamo il lavoro adiabatico e quello diabatico. Os-W Wadserviamo che e sono diversi in generale e la differenza è da imputarsi al calore. InoltreW W adosserviamo che dipende dalla trasformazione, a differenza di .W W adPossiamo quindi definire il calore in funzione del lavoro: (7.13)−Q = W W

Dalla definizione osserviamo che se il lavoro compiuto in una trasformazione è maggiore di quello compiuto per la stessa trasformazione in condizioni adiabatiche, si dice che il sistema ha assorbito calore (Q > 0). Nel caso contrario si dice che il sistema ha ceduto calore (Q < 0). Notiamo che il calore così definito ha le dimensioni di un'energia, quindi in qualche modo deve esistere un'equivalenza (che tratteremo).

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A.A. 2022-2023
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SSD Scienze fisiche FIS/01 Fisica sperimentale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher chinooo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Fisica generale 1 e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Oss Stefano.