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INFINITI TITOLI
Markowitz (Nobel) ha sviluppato la seguente teoria: Matrice delle covarianze n x n
in base al numero di titoli.
Quello che vogliamo calcolare è la varianza di portafoglio della matrice.
All’interno della matrice troviamo le covarianze, ad esempio l’elemento A14
corrisponde alla riga numero 1 e alla colonna numero 4.
Covarianza di 11 = (ri – rmedio1)(rj –
rmedio2)
È un prodotto di due differenze → la
covarianza di un titolo con se stesso è la
varianza del titolo stesso.
Cosa succede alla covarianza 22? È la varianza del titolo 2.
Quindi se scriviamo tutte le covarianze, gli elementi lungo la diagonale principale
sono le varianze dei singoli titoli; sotto e sopra ci sono le covarianze.
La covarianza 21 ci indica come covaria il titolo 2 con il titolo 1. Questo numero è
uguale alla covarianza 12. Quindi gli elementi sotto la diagonale coincidono con gli
elementi sopra la diagonale, si muovono nello stesso modo.
La particolarità di questa matrice è che è quadrata e simmetrica.
→ facendo la sommatoria di tutti gli elementi nella diagonale della matrice, si ottiene
la varianza di portafoglio; mettendo sotto radice quadrata ottengo la volatilità.
es: ho una matrice 2x2→ la diagonale principale è formata dalle varianze 11 e 22; le
covarianze invece sono 12 e 21 che sono uguali.
Per semplificare, voglio un portafoglio equi ponderato ovvero che ogni peso è 1/N.
(es: se ho 10 titoli investo 10% su ogni titolo→ su tutti investo la stessa unità).
Se tutti i titoli pesano uguale ogni titolo pesa 1/N.
Il peso al quadrato viene 1/N^2 che porto fuori dalla sommatoria.
Per calcolare la varianza media (prima parte) prendo la sommatoria delle varianze e
la divido per N; quindi, viene 1/N per varianza media.
All’interno della matrice ho N^2 elementi ma siccome a me interessano solo gli
elementi sopra e sotto la diagonale sottraggo a N^2 N quindi mi viene N^2 – N.
FINANZA AZIENDALE | Rachele Campigli
Il risultato finale:
Portafoglio ha N che tende all’infinito→ 1/N = 0 quindi il primo elemento se ne va,
la varianza non c’è più.
Il secondo elemento essendo N=infinito rimane 1, quindi rimane la covarianza media:
La volatilità di un portafoglio diversificato è la covarianza
media sotto radice.
Questo perché mettendo un titolo all’interno di un portafoglio, la varianza e quindi il
rischio di quel titolo, non mi interessa perché l’effetto del rischio del singolo titolo
non mi interessa guardando l’intero portafoglio.
Se abbiamo 2000 titoli e ne aggiungiamo 1 cosa succede?
La matrice aumenta di una riga e di una colonna: si aggiunge 1 sola varianza si
aggiungono 4000 covarianze del titolo rispetto alle altre del portafoglio, 2000 sopra e
2000 sotto. Quindi quello che va a pesare sul rischio non è tanto la varianza che ne
aggiungiamo solo 1 ma piuttosto le 4000 covarianze.
Mi interessa quindi la covarianza che il 2001 titolo ha con tutti gli altri titoli.
→ di ogni titolo non mi interessa nulla della sua volatilità, mi interessa come si
muove il titolo, come covaria con gli altri titoli.
Dal momento in cui la correlazione tra due titoli è minore di 1, quando non tutti i
titoli sono perfettamente correlati, diversificando si riduce il rischio.
Quindi quando è vero questo, c’è una parte di rischio che in realtà possiamo eliminare
attraverso la diversificazione. Il mercato non paga questo rischio perché lo può
eliminare e quindi non interessa tanto il rischio di quel titolo ma piuttosto quanto quel
rischio è correlato con gli altri titoli.
Sostanzialmente se prendiamo una matrice di covarianze, che è la sommatoria per
calcolare il rischio di un portafoglio, quando calcoliamo il rischio di portafoglio non
bisogna solo calcolare il rischio delle singole attività (varianze) ma anche le
FINANZA AZIENDALE | Rachele Campigli
covarianze. Si forma una matrice che è composta sulla diagonale da varianze, sopra e
sotto la diagonale abbiamo le covarianze.
Dato che è una matrice quadrata simmetrica quello che ci sta sotto ci sta anche sopra.
La covarianza del titolo 1 con il titolo 2 è uguale alla covarianza del titolo 2 con il
titolo 1. Qual è il problema? La diversificazione riduce il rischio perché se
aggiungiamo un titolo, ad esempio, ad un portafoglio di 10 titoli, aggiungiamo una
varianza ma andiamo anche ad aggiungere 20 covarianze. Ciò che conta alla fine è
come il titolo covaria con gli altri.
Quando le economie vanno male, la diversificazione aumenta e l’indice tende a 1.
Generalmente l’allocazione di portafoglio ci serve per calcolare i rendimenti e si vede
in un grafico in cui asse X c’è il rischio e Y il rendimento osservato; ogni punto
rappresenta un titolo → se sono avverso al rischio preferisco i titoli in alto a sinistra
(a nord-ovest) perché ho basso rischio e alto rendimento.
Ma tramite la diversificazione abbiamo visto che non conviene investire solo su un
titolo anche se ottimo perché se ne aggiungo altri, avrò un rendimento più elevato.
Sistema di ottimizzazione del rischio che consente di ottimizzare un asset allocation
che fissa i livelli di rendimento, e ad ogni livello di rendimento cerca quella
combinazione di pesi con i titoli che ci sono sul mercato.
Viene sempre fuori una curva: curva del portafogli a varianza minima che per ogni
livello di rendimento cerca la combinazione ottimale che minimizza il rischio.
→ conviene detenere titoli su questa curva piuttosto che “sparsi” nel piano.
Si considera sempre il portafogli che ha minima varianza perché siccome non è
possibile trovare sul mercato un portafogli con varianza inferiore, è quello ottimale.
Ma non tutti i portafogli a varianza minima sono efficienti perché ve ne sono alcuni
che hanno stessa rischiosità, ma uno dei due ha rendimento maggiore → esiste un
sottoinsieme di portafogli a varianza minima su cui non conviene investire (parte blu
della curva) → converrà investire nei portafogli sulla curva rossa, chiamata curva del
portafoglio efficiente.
Come si identificano
questi portafogli?
Nella curva di
varianza minima,
bisogna considerare
il portafoglio più a
sinistra del grafico,
a partire da quello,
la parte sopra della
curva sono quelli su
cui conviene
investire, la parte
sotto no. FINANZA AZIENDALE | Rachele Campigli
Ma su quale investiamo? Una volta in cui mi trovo nella curva del portafoglio
efficiente, investire su un titolo piuttosto che su un altro, è indifferente; la differenza
sta nell’avversione al rischio della persona. (chi è meno avverso al rischio preferisce
quello più alto)
Markowitz è arrivato fin qui, ma si è “dimenticato” dell’esistenza dei portafogli a
rischio zero! Interviene Willian Sharpe (Nobel): TASSO PRIVO DI RISCHIO
Decido di combinare un portafoglio che si trova lungo la frontiera efficiente con un
titolo privo di rischio (bund).
Quando ho il rischio zero, nell’equazione della volatilità, la covarianza del titolo
privo di rischio e il portafogli scelto è zero → diventa un problema lineare e significa
che conviene investire diversificando, ma c’è un punto in cui posso ottenere di
meglio: se ipotizziamo che il tasso privo di rischio sia 5% sappiamo che il punto nel
diagramma è (0;5%) → prendiamo un fascio di rette che passa per questo punto e per
ogni punto della curva dei portafogli a varianza minima. Quale retta scegliamo?
Scegliamo la curva di tangenza, chiamata capital z
market line (CML) (linea del mercato dei capitali),
che è la retta che sta più in alto nel fascio di rette
infinito (ha massima pendenza), e mi interessa il
portafogli che sta nell’intersezione, nel punto di
tangenza→ sul mercato non esiste portafogli
migliore su cui investire.
Anche se si chiama curva dei portafogli efficienti,
quasi tutti sono inefficienti perché sostanzialmente
se io, per esempio, voglio tenere un portafoglio con volatilità 5%, se vado lungo la
curva dei portafogli efficienti ottengo un certo rendimento (punto A) mentre se vado
nella tangente con una volatilità del 5% ottengo un rendimento maggiore (punto B).
Il portafoglio più efficiente di tutti è il punto più alto che interseca il tasso privo di
rischio e uno dei portafogli lungo la frontiera efficiente→ è quello che sta nel punto
di tangenza e lo chiamo M.
N.B: se sono poco avverso al rischio, posso anche investire in Z, come? Investendo in
M e tasso privo di rischio (r) ma poi vendendo allo scoperto per andare olre
In conclusione, del rischio mi interessa solo la covarianza, mi interessa il suo
contributo al portafoglio m che è il portafoglio super diversificato, perfetto.
La misura del rischio non è più la volatilità!
È la misura della covarianza del titolo con il portafoglio di mercato
(non un portafoglio generico)
Definizione: il β è una covarianza del titolo con il mercato
Cos’è il rischio sistematico di un titolo?
Per ogni titolo ci sono 2 rischi: uno complessivo misurato dalla volatilità e una parte
di questo rischio che non è necessario portare a casa, si può distruggere mettendo il
FINANZA AZIENDALE | Rachele Campigli
titolo dentro ad altri titoli (diversificando) così prendo lo stesso rendimento
abbassando il rischio.
La parte di rischio “ineliminabile”, si chiama rischio sistematico ed è misurato
dall’indice beta; è l’unico rischio che il mercato riconosce perché se mi porto a casa
tutto il rischio sto sbagliando.
La parte di rischio eliminabile si chiama rischio diversificabile (specifico o
idiosincratico) perché appunto eliminabile tramite la diversificazione.
Mette in relazione il numero di azioni con
la volatilità del portafogli
Ci esplica che man mano che si
aggiungono titoli, il rischio si abbassa ma
c’è un punto in cui non si può eliminare =
rischio sistematico. Il β può andare da – infinito a + infinito
Il β di mercato essendo la varianza di mercato fratto la varianza di mercato, è 1
Il β del titolo privo rischio è zero
es. se il β del titolo è 2 significa che il titolo fa il doppio, ovvero va in su e in giù del
doppio → è una misura di sensibilità del titolo alle variazioni di mercato,
amplifica le variazioni di esso.
In questo caso è un titolo rischioso perché si muove di tanto, è sicuramente più
rischioso del mercato; infatti il β è sempre i