Tommaso sviluppa una concezione dell’arte strettamente connessa alla verità e alla bontà. L’opera artistica, per essere bella,
deve rispecchiare la realtà in modo verosimile, secondo il principio aristotelico della mimesi, e contribuire al bene morale e
intellettuale dell’uomo. L’arte non è fine a sé stessa, ma strumento per l’educazione, la comprensione del mondo e la
partecipazione all’ordine divino.
In questo senso, la bellezza ha una triplice funzione: estetica, perché genera piacere attraverso la percezione dell’armonia;
cognitiva, perché permette di comprendere l’ordine e la struttura della realtà; morale, perché educa l’uomo al discernimento
e alla virtù. La bellezza diventa così un principio unitario che lega sensazione, ragione e etica.
L’esperienza estetica secondo Tommaso
L’esperienza estetica per Tommaso è un’attività complessa, che coinvolge sensi, intelletto e anima. La percezione del bello
non è solo un piacere soggettivo, ma una forma di conoscenza partecipata della perfezione universale. L’armonia delle forme,
la simmetria, la proporzione e l’integrità della composizione producono nel fruitore un senso di ordine e completezza,
rivelando l’origine divina dell’oggetto estetico.
Questa concezione avvicina Tommaso a una prospettiva quasi scientifica dell’estetica: la bellezza non è arbitraria, ma
risponde a leggi precise, sia naturali che metafisiche. L’arte, osservata e valutata secondo questi criteri, diventa strumento di
discernimento e formazione.
L’eredità tomista nell’estetica
La riflessione di Tommaso d’Aquino costituisce un ponte tra la tradizione classica e quella moderna. La sua integrazione tra
Aristotele e la teologia cristiana ha influenzato profondamente il pensiero rinascimentale, in particolare la poetica e
l’architettura, dove armonia, proporzione e perfezione geometrica diventano principi guida.
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In ambito filosofico, Tommaso consolida l’idea che la bellezza sia un concetto oggettivo, legato alla verità e al bene, e che
l’esperienza estetica sia capace di unire sensazione, intelletto e morale. La sua visione anticipa molte intuizioni dell’estetica
moderna, come la centralità della forma e dell’ordine nella percezione del bello e il ruolo dell’arte nella formazione
dell’individuo.
Dalla prospettiva all’ingenium: l’estetica umanistico-rinascimentale
L’estetica umanistico-rinascimentale segna una trasformazione radicale nella concezione del bello, dell’arte e della creatività
rispetto alla riflessione medievale. Mentre il Medioevo aveva posto l’accento sul legame tra bellezza, ordine divino e finalità
morale, il Rinascimento inaugura una prospettiva centrata sull’uomo, sulla sua capacità di creare e comprendere il mondo
attraverso la ragione, l’intuizione e la sensibilità artistica.
Il Rinascimento segna il passaggio da un’estetica normativa e finalizzata al divino a un’estetica centrata sull’uomo, sulla sua
capacità di osservare, interpretare e creare. La bellezza non è più solo riflesso della perfezione divina, ma anche frutto
dell’ingegno, della tecnica e della sensibilità del soggetto creativo, aprendo la strada alla modernità estetica e alla centralità
dell’esperienza umana nell’arte.
La prospettiva e la nuova visione dello spazio
Uno degli sviluppi più significativi di questa epoca è l’introduzione della prospettiva come principio tecnico e concettuale
nella rappresentazione artistica. La prospettiva non è soltanto un insieme di regole geometriche, ma un modo rivoluzionario
di vedere e comprendere il mondo. Gli artisti rinascimentali, da Brunelleschi a Leonardo da Vinci, sviluppano sistemi
prospettici che consentono di organizzare lo spazio in maniera razionale, conferendo profondità e realismo alla
rappresentazione.
Questa innovazione segna un cambiamento epistemologico: la realtà non è più percepita solo attraverso la tradizione e la
fede, ma può essere studiata, misurata e interpretata dall’uomo. La prospettiva diventa così simbolo dell’autonomia del
soggetto creativo e della capacità umana di organizzare lo spazio visivo secondo leggi intelligibili.
L’ingenium: il talento creativo dell’artista
Accanto alla prospettiva, il Rinascimento valorizza l’ingenium, inteso come la capacità individuale di innovare, creare e dare
forma al pensiero attraverso l’arte. L’ingenium non è un talento casuale, ma una combinazione di intelligenza, sensibilità
estetica e competenza tecnica. L’artista diventa un soggetto attivo, capace di interpretare la realtà e di trasformarla in opere
che uniscono bellezza, armonia e significato.
Questa concezione valorizza l’originalità e la soggettività dell’arte, in contrasto con la visione medievale che vedeva l’artista
come mero interprete dell’ordine divino. Il Rinascimento riconosce all’uomo un ruolo centrale nella produzione del bello, e
l’opera d’arte diventa espressione della libertà creativa e della capacità di mediazione tra mondo sensibile e intellegibile.
L’armonia tra scienza, natura e arte
L’estetica rinascimentale fonde arte e scienza, osservazione della natura e regole geometriche, intuizione creativa e
conoscenza tecnica. Gli artisti studiano anatomia, botanica, ottica e proporzioni matematiche per rendere le opere coerenti
con la realtà e, al tempo stesso, armoniose dal punto di vista estetico. La bellezza diventa quindi ordine razionale, percepibile
sia dai sensi che dall’intelletto, e strettamente legata alla misura, alla simmetria e alla proporzione.
In questo contesto, il Rinascimento riscopre i principi classici dell’arte greca e romana, reinterpretandoli attraverso una
prospettiva umanistica che pone al centro l’uomo come misura di tutte le cose e come artefice del bello. L’esperienza
estetica si configura così come un incontro tra osservazione, conoscenza e intuizione, in cui la forma visibile diventa
espressione di armonia e intelligenza.
L’eredità dell’estetica rinascimentale
L’estetica umanistico-rinascimentale getta le basi per la concezione moderna dell’arte come attività autonoma e creativa. La
valorizzazione dell’ingenium anticipa il concetto di genio artistico e l’idea che l’opera d’arte sia espressione di personalità,
talento e innovazione. Allo stesso tempo, la prospettiva e la ricerca dell’armonia e della misura costituiscono un riferimento
per le successive teorie della percezione, della composizione e della rappresentazione visiva.
La riflessione estetica tra Seicento e Settecento
Tra Seicento e Settecento, l’estetica si sviluppa in stretto rapporto con le trasformazioni culturali, scientifiche e sociali
dell’Europa moderna. L’arte e la filosofia affrontano nuove questioni riguardanti il gusto, il sublime, il sentimento e la
percezione, dando origine a un dibattito estetico che anticipa molte delle teorie moderne.
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Seicento e Settecento consolidano l’idea che l’estetica non sia solo una questione di forme e proporzioni, ma anche di
esperienza soggettiva, emozione e giudizio critico, aprendo la strada a una visione più complessa e dinamica della bellezza e
dell’arte.
La centralità del gusto e del sentimento
Nel Seicento, l’attenzione estetica si sposta progressivamente dall’ordine razionale e dalle proporzioni alla sensibilità del
fruitore. Il gusto diventa un criterio fondamentale per giudicare l’opera d’arte, e il piacere estetico non è più considerato
esclusivamente derivato dall’ordine oggettivo, ma anche dalla capacità dell’osservatore di percepire armonia e bellezza.
Il Settecento, con l’Illuminismo, approfondisce ulteriormente questa dimensione soggettiva. Filosofi come Shaftesbury e
Hume pongono l’accento sull’esperienza estetica come giudizio del sentimento, in cui la percezione individuale e la sensibilità
emotiva diventano strumenti per valutare la qualità artistica e la bellezza naturale. L’opera d’arte non è più solo un oggetto
da ammirare, ma un mezzo per stimolare emozioni e riflessioni.
Il concetto di sublime
Parallelamente, nasce il concetto di sublime, introdotto da filosofi come Longinus e sviluppato in seguito da Burke e Kant. Il
sublime riguarda l’esperienza di grandezza, maestosità e intensità emotiva che supera la semplice armonia e provoca un
misto di timore e piacere. Questo concetto amplia la gamma delle emozioni suscitate dall’arte e dalla natura, mostrando
come l’esperienza estetica possa coinvolgere profondamente la mente e il corpo, generando sensazioni di stupore e
meraviglia.
Estetica e razionalismo
Nonostante la crescente attenzione al sentimento, l’estetica tra Seicento e Settecento mantiene un legame con la razionalità
e la scienza. Teorici come Leibniz e Wolff cercano di conciliare il piacere estetico con principi logici e matematici, analizzando
armonia, proporzione e regolarità secondo criteri quasi scientifici. L’arte, pur suscitando emozioni, è considerata anche un
sistema ordinato, in cui regole e leggi interne garantiscono coerenza e comprensibilità.
Bellezza, natura e arte
Un altro tema centrale è il rapporto tra arte e natura. Nel Seicento e nel Settecento, molti filosofi e artisti riflettono su come
l’arte debba imitare la natura, ma non semplicemente copiarla. L’arte deve interpretare, elevare e organizzare il mondo
naturale secondo principi estetici, creando opere che siano insieme reali e ideali. Questa concezione prepara il terreno per la
successiva estetica kantiana, in cui la bellezza è considerata una proprietà universale percepita attraverso il giudizio del
soggetto, ma fondata su leggi oggettive della forma e dell’armonia.
L’eredità del periodo
La riflessione estetica tra Seicento e Settecento rappresenta il passaggio da un’estetica centrata sull’ordine oggettivo e divino
a una estetica più centrata sull’esperienza individuale e sul sentimento. L’enfasi sul gusto, sul sublime e sul rapporto tra
emozione e ragione getta le basi per la filosofia estetica moderna e contemporanea, influenzando pensatori come Kant,
Schiller e i teorici del Romanticismo.
La riflessione estetica settecentesca prima di Kant
La seconda metà del Settecento rappresenta un periodo di grande fermento per l’estetica europea, caratterizzato dalla
ricerca di criteri universali del gusto, dall’analisi dei meccanismi della percezione e dalla riflessione sul rapporto tra arte,
natura e sentimento. Prima dell’inte
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