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Ci troviamo di fronte allo stesso schema che ha prodotto la soluzione fascista all'impasse dell'ordine

proprietario. Si esalta la necessità di neutralizzare il conflitto generato dalla modernizzazione capitalista con

strumenti volti a produrre inclusione nell'ordine, senza però metterne in discussione i fondamenti. Questo non

equivaleva direttamente ad affermare la necessità di sopprimere le libertà politiche, ma quantomeno ad

ammettere e accettare la possibilità di tale esito, nella misura in cui rappresentava una condizione per la

riforma delle libertà economiche.

. Neoliberalismo e ordoliberalismo:

Al colloquio Walter Lippmann parteciparono anche Wilhelm Röpke e Alexander Rüstow, figure chiave del

pensiero ordoliberale. I loro scritti rivelano una forte preoccupazione per i rischi che il conflitto di classe

rappresenta per l'ordine economico. Essi ritenevano che il percorso iniziato con la Rivoluzione francese

dovesse essere completato integrando le istanze di liberazione con istanze di ordine capaci di indirizzare le

"forze individuali liberate verso un impiego complessivo ragionevole".

L'ossessione per il conflitto di classe è un tratto comune alle diverse correnti dell'ordoliberalismo, che, in

nome della sua neutralizzazione, non esita a promuovere lo schema da cui trae origine il fascismo: la

possibilità di sacrificare le libertà politiche, se necessario, per riformare le libertà economiche.

Röpke e Rüstow si distinguono per le modalità con cui promuovono questo schema, riassumibili in quella che,

con un'espressione forse fuorviante, è stata definita "umanesimo economico". Questa espressione si riferisce

a una combinazione di valori moderni (legati al funzionamento di un ordine economico basato sulla proprietà

privata e la concorrenza) e valori premoderni (relativi alla costruzione di identità forti ed escludenti, create ad

arte per neutralizzare i conflitti generati dal mercato). Ciò si traduceva nel sostegno a un "interventismo

liberale", considerato indispensabile per contrastare l'azione dei centri di interesse e la "rivolta delle masse",

per la quale si riteneva necessario edificare una "dittatura entro i confini della democrazia".

In particolare, Rüstow insisteva sull'uso del meccanismo concorrenziale come strumento di direzione politica

dei comportamenti individuali. Questa idea, pur non essendo intrinsecamente ostile alla democrazia, ne

ignorava le sorti. Questo era il significato dell'idea di uno "Stato forte e indipendente" che doveva assumere

compiti di "severa polizia del mercato" per impedire la "disintegrazione" sociale preannunciata dal "rispetto

delle regole puramente razionali del gioco della concorrenza" e realizzare così "la coincidenza dell'interesse

particolare egoista e l'interesse generale". In tal modo, si sarebbe ripristinato "l'inquadramento volontario e

naturale della gerarchia" in luogo dell'"ideale falso e sbagliato dell'uguaglianza" e dell'"ideale parziale e

insufficiente della fratellanza", con cui i fondatori del liberalismo avevano erroneamente sostituito

"l'inquadramento artificiale e forzato della signoria feudale".

Solo così, come precisava Alfred Müller-Armack (anch'egli figura di spicco dell'ordoliberalismo, inizialmente

vicino al partito nazista e affascinato dal fascismo italiano), si sarebbe tutelato "l'interesse nazionale

capitalistico" al di là del mero "interesse capitalistico" perseguito dall'individuo. Allo stesso modo, Walter

Eucken, un altro padre dell'ordoliberalismo, riteneva che le "forze caotiche della massa" sarebbero state

neutralizzate come motore di conflitto sociale.

Lo Stato ordoliberale era quindi uno Stato di polizia economica che, da un lato, valorizzava la libera iniziativa

individuale, ma, dall'altro, la costringeva entro schemi organicisti, come quelli proposti all'epoca da Franz

Böhm, un altro importante esponente dell'ordoliberalismo. Per sottolineare il ruolo delle istanze ordinatorie di

cui l'ordoliberalismo doveva farsi carico, Böhm parlava di "costituzione economica", ovvero della "decisione

sul complessivo ordine della vita economica nazionale", come di una "costituzione parziale" che doveva

derivare dalla "costituzione politica complessiva".

Tuttavia, non si intendeva con ciò rivendicare la supremazia del politico sull'economico. O meglio, il politico

prevaleva sull'economico non per alterarne i fondamenti, che al contrario riproduceva fedelmente: le leggi del

mercato diventavano leggi dello Stato e, in tal senso, la concorrenza assumeva il ruolo di uno strumento di

direzione dei comportamenti dei cittadini. Si comprende così l'intento ordoliberale di riservare al potere

economico l'esatto opposto di quanto si promuoveva per il potere politico. Se il secondo doveva essere

concentrato e quindi statalizzato, il primo doveva essere azzerato, depoliticizzato, ridotto all'irrilevanza come

forza centrifuga dannosa per il funzionamento del sistema. Questo era il senso del motto coniato da Carl

Schmitt, secondo cui una "economia sana" presupponeva uno "Stato forte", ma anche della considerazione

riservata da Böhm alla lotta di classe: demonizzata in quanto violazione di un "dovere giuridico" e

trasgressione di un imperativo "sociale fondato sull'onore".

. Democrazia economica vs neoliberalismo:

La letteratura tende a distinguere neoliberalismo e ordoliberalismo in base al diverso grado di intervento della

politica nell'economia. Tuttavia, questa distinzione rischia di oscurare l'essenza del neoliberalismo, che risiede

nel riconoscimento che l'azione dei pubblici poteri è indispensabile per rendere storicamente possibile il

capitalismo. Questo è particolarmente vero perché la neutralizzazione del conflitto sociale richiede la

depoliticizzazione del mercato, ovvero l'eliminazione di ogni canale di comunicazione tra la società e le

istituzioni che governano l'ordine economico. Tale depoliticizzazione non avviene spontaneamente, ma

richiede un complesso intervento statale. Questo intervento include la riduzione dell'inclusione sociale a

inclusione nel mercato, promuovendo forme di redistribuzione della ricchezza attraverso l'integrazione

nell'ordine proprietario, piuttosto che il suo superamento o la limitazione della sua portata. Se così stanno le

cose, contrastare il neoliberalismo non implica necessariamente aumentare il ruolo dei pubblici poteri, ma

piuttosto riorientarne l'azione.

Tutto ciò emerge chiaramente al termine della Seconda Guerra Mondiale durante l'intenso dibattito sulla

costituzione economica che la rinata democrazia tedesca avrebbe dovuto adottare. All'epoca si confrontavano

due modelli: quello della democrazia economica, che considerava necessario arginare l'invadenza del

principio di concorrenza per realizzare l'emancipazione individuale e sociale, e quello ordoliberale o

neoliberale, incentrato invece sull'inclusione nell'ordine proprietario come unico mezzo di emancipazione.

Il modello ordoliberale/neoliberale era compromesso con il regime hitleriano, così come molti dei suoi

sostenitori, che avevano partecipato all'amministrazione dell'economia di guerra e alla definizione dei

fondamenti dell'ordine economico post-nazista. Anche per questo, la democrazia economica riscuoteva un

notevole consenso: era promossa dai Socialdemocratici ma parzialmente accettata anche dai

Cristianodemocratici, tra i quali si riteneva che il capitalismo si fosse "suicidato con le proprie leggi" e che

fosse necessario accogliere elementi del modo di produzione collettivistico.

La proposta dei Socialdemocratici, pur non rappresentando il superamento dell'ordine proprietario, si faceva

carico di queste aspirazioni includendo la richiesta di una "pianificazione generale della vita economica": il

coinvolgimento del Parlamento nelle decisioni complessive sul "cosa produrre", realizzando così l'integrazione

tra meccanismo concorrenziale e meccanismo democratico. Il "come produrre" rimaneva invece ancorato ai

fondamenti del capitalismo: si riteneva che "può e deve essere affidato all'economia di mercato, che

presumibilmente si muoverà in modo sensato e proficuo fondandosi sulla libera concorrenza".

Tuttavia, si prevedevano due istituti destinati a democratizzare le decisioni prese a livello di singola unità

produttiva: la codeterminazione (Mitbestimmung), ovvero la partecipazione dei lavoratori alla gestione

dell'impresa, e la socializzazione (Sozialisierung), ovvero il coinvolgimento nei processi decisionali dei

portatori di interessi coinvolti dall'esito di quel processo, dai consumatori ai cittadini in generale. Si

sottolineava che la socializzazione era ben diversa dalla statalizzazione (Verstaatlichung), ovvero dalla mera

sostituzione della proprietà privata con la proprietà pubblica, quest'ultima ritenuta incapace di contrastare

l'accumulazione come fine dell'attività produttiva e l'autoritarismo nella gestione dell'impresa.

Tuttavia, la democrazia economica non incontrò il favore delle forze di occupazione, intenzionate, all'alba della

Guerra Fredda, a imporre per la Germania modelli economici che rifiutassero soluzioni di ispirazione socialista

o collettivista. Si tollerò solamente la codeterminazione, che, dissociata dalla pianificazione e dalla

socializzazione, si trasformò in uno strumento di pacificazione sociale, di neutralizzazione del conflitto tra

capitale e lavoro.

Anche da qui si evince l'essenza neoliberale della costituzione economica tedesca, i cui fautori invocavano,

come sappiamo, la polverizzazione del potere economico. A questa si poteva rinunciare solo per avallare

soluzioni funzionali a irreggimentare la forza lavoro, a costringerla in forme di forzata pacificazione sociale. In

altre parole, l'individuo doveva trovarsi solo di fronte al mercato, esattamente come nella società borghese si

trovava solo di fronte allo Stato. Questo per rendere gli operatori economici incapaci di comportamenti diversi

dalla mera reazione automatica agli stimoli del mercato, come fu esplicitamente dichiarato dai neoliberali nelle

polemiche contro la democrazia economica.

. L’Unione europea come dispositivo neoliberale:

Il prevalere dell'ordoliberalismo sulla democrazia economica fu significativamente agevolato da un'intensa

campagna di marketing politico, che incluse l'uso dell'espressione "economia sociale di mercato" per

descrivere il modello promosso dagli ordoliberali. Coniata da Alfred Müller-Armack, questa espressione fu

scelta per la sua

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Scienze giuridiche IUS/02 Diritto privato comparato

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