Come accennato, la decisione sull'orario di lavoro dei panettieri di New York inaugurò un periodo di
ostilità della Corte Suprema verso le limitazioni dell'autonomia privata in materia lavorativa, fondata su
interpretazioni formalistiche del principio di libertà contrattuale. Questa lunga fase, conclusasi solo nella
seconda metà degli anni Trenta, fu significativamente denominata Era Lochner. Durante questo periodo,
la Corte Suprema si pose complessivamente al servizio dei sostenitori del laissez faire, sebbene alcune
decisioni fossero favorevoli al ricorso ai poteri di polizia in materia economica, ma non quando si trattava
di tutelare i lavoratori o di promuovere la loro emancipazione, né tantomeno di legittimare comportamenti
incompatibili con le necessità sistemiche dell'ordine economico.
Emblematiche furono due decisioni riguardanti i cosiddetti accordi yellow dog, ovvero accordi in cui un
lavoratore si impegnava con il datore di lavoro a non aderire a un sindacato, pratica considerata una seria
minaccia per l'esistenza stessa delle organizzazioni sindacali. Una legge federale di fine Ottocento
relativa al trasporto ferroviario interstatuale aveva dichiarato illegale penalmente tale pratica, vietando al
datore di lavoro di "minacciare il lavoratore con la perdita del posto" o di "discriminare il lavoratore" a
causa della sua appartenenza sindacale. Tuttavia, la Corte Suprema dichiarò l'incostituzionalità di questi
divieti in una decisione successiva alla sentenza Lochner, ribadendo i fondamenti dell'approccio
formalistico allineato con l'ideologia del laissez faire. La Costituzione statunitense, si precisò, protegge la
proprietà e la libertà personale, beni che la legge federale aggrediva limitando la libertà contrattuale di
entrambe le parti del rapporto di lavoro. Si sostenne che il diritto di un lavoratore di vendere il proprio
lavoro alle condizioni ritenute più opportune era lo stesso diritto del datore di lavoro di stabilire le
condizioni di assunzione, e che ogni norma che alterasse questa presunta uguaglianza era
un'interferenza arbitraria con la libertà di contratto.
L'orientamento dei giudici federali fu confermato in una decisione successiva che dichiarò
incostituzionale una legge statale volta a contrastare gli accordi yellow dog. In questa occasione, si ribadì
che non era compito dei pubblici poteri risolvere il problema della sostanziale disparità di forza sociale tra
le parti contraenti e della loro diversa capacità di far valere i propri interessi. Si affermò che la
disuguaglianza di fortune era una conseguenza naturale del diritto di proprietà e che coloro che
negoziavano un contratto non erano mai ugualmente liberi dai condizionamenti delle circostanze.
In sintesi, gli Stati Uniti, come altri paesi occidentali, stavano attraversando un periodo di profondi
cambiamenti, sia per lo sviluppo dell'ordine economico che per gli eventi legati alla Prima Guerra
Mondiale. Ciò indusse a rivedere la rigidità con cui venivano applicati i principi ereditati dal passato in
materia di lavoro, ma sulla base di un impeto organicista che non permetteva di considerare le limitazioni
all'autonomia privata come un modo per promuovere l'emancipazione di coloro che erano svantaggiati
dalla sua affermazione assoluta.
In altre parole, se si ammettevano deroghe al laissez faire, era per "confezionare discipline per la
protezione di tutti, la comunità o il pubblico interesse". In questo contesto, la decisione con cui la Corte
Suprema ritenne legittima una limitazione a dieci ore dell'orario di lavoro disposta da una legge
dell'Oregon non rappresentò una vera eccezione. Questa legge presentava caratteristiche simili a quella,
precedentemente menzionata, sul lavoro nelle miniere dello Utah: conteneva una clausola di emergenza
che permetteva di superare il limite orario in caso di "vita o proprietà esposte a un pericolo imminente",
prevedendo tuttavia un compenso per il lavoro straordinario.
Prima di analizzare la carica eugenetica che caratterizzò l'approccio della Corte Suprema, è importante
considerare l'atteggiamento dei giudici federali nei casi in cui la promozione dei diritti dei lavoratori non
era un mero riflesso di misure volte al loro inserimento nell'ordine economico. A titolo esemplificativo, si
possono citare tre decisioni prese tra la fine della Prima Guerra Mondiale e la metà degli anni Trenta, che
testimoniano la notevole durata dell'Era Lochner.
La prima decisione riguardò il lavoro minorile, un fenomeno verso il quale l'opinione pubblica iniziava a
sensibilizzarsi, portando tuttavia a interventi legislativi solo in alcuni Stati. Nel 1916, una legge federale
tentò di intervenire escludendo dal commercio interstatuale i prodotti realizzati da minori di quattordici
anni o da minori di sedici anni impiegati di notte o per più di otto ore al giorno. I giudici federali non
valutarono la legge dal punto di vista della sua compatibilità con il due process of law, ma si limitarono a
osservare che essa tentava di correggere una situazione di "concorrenza sleale" determinata dal diverso
approccio dei legislatori statali al problema del lavoro minorile e che non rientrava nelle competenze
federali emanarla, dichiarandola quindi incostituzionale.
Alcuni anni dopo, con la sentenza Adkins, la Corte Suprema si occupò di una legge federale per il District
of Columbia che aveva introdotto un salario minimo per le lavoratrici donne, seguendo l'esempio di altre
leggi statali dell'epoca. I giudici riconobbero che "la libertà contrattuale assoluta non esiste", ma
precisarono che nel caso specifico non sussistevano i presupposti per derogarvi. Si trattava, a loro dire,
"semplicemente ed esclusivamente di una legge destinata a fissare il prezzo, limitata alle donne adulte,
legalmente capaci di contrattare esattamente come gli uomini". Pertanto, fu dichiarata incostituzionale in
quanto impediva l'esercizio della libertà contrattuale e, quindi, alle parti di individuare "il prezzo al quale
una fornirà il servizio all'altra", in una situazione in cui "entrambe sono intenzionate e forse ansiose di
trovare un accordo".
Nel 1936, la massima corte federale si trovò a valutare una legge simile, questa volta dello Stato di New
York. Anche in questo caso, a distanza di quasi quindici anni, venne ribadita l'incompatibilità del
provvedimento con il due process of law e, di conseguenza, l'incostituzionalità delle misure legislative
volte a stabilire minimi salariali. Ancora una volta, si ravvisò una violazione del principio di libertà
contrattuale non perché non fossero immaginabili situazioni in cui era necessario tutelare le lavoratrici,
ma perché nel caso specifico mancavano i presupposti per tale tutela. Quest'ultima era ammessa solo in
presenza di un "interesse pubblico", per la cui sussistenza "le differenze fisiche tra uomini e donne
devono essere riconosciute", cosa che, secondo i giudici, non si era verificata.
. Opinioni Dissentienti del Giudice Holmes
Solo pochi mesi dopo le decisioni che abbiamo analizzato, questo orientamento della Corte Suprema
venne superato da una sentenza che segnò la fine dell'Era Lochner, come vedremo a breve. Diventerà
chiaro allora che l'interesse pubblico invocato non riguardava l'emancipazione dei soggetti socialmente
deboli, la cui condizione sarebbe stata riequilibrata dal riconoscimento di forza giuridica, bensì le
necessità dell'ordine economico inteso come sistema. Un sistema che richiede la soppressione dei
comportamenti emancipatori in quanto condotte antisistema, a meno che non conducano alla
pacificazione dell'ordine e alla collaborazione tra le sue componenti. Un sistema che, inoltre, finisce per
alimentare costruzioni di tipo eugenetico in quanto utili a promuovere quella pacificazione e quella
collaborazione.
Tutto ciò era in contrasto con quanto affermato nella sentenza Lochner, dove si era accuratamente
evitato di adottare un punto di vista sistemico, quello per cui le condotte individuali sono funzionali al
mantenimento dell'equilibrio dell'ordine e alla promozione del suo sviluppo. In quella sede, si rifiutava
esplicitamente l'idea che i pubblici poteri dovessero intervenire, secondo alcuni in chiave paternalistica,
affinché "una parte contrattuale sia protetta da se stessa", come invece aveva affermato la Corte
Suprema nella sentenza Holden. I giudici del caso Lochner esclusero che lo Stato dovesse assumere "la
posizione di un supervisore o di un pater familias con riferimento a qualsiasi atto individuale", e quindi che
l'esercizio dei poteri di polizia potesse essere legittimato da "un interesse dello Stato a che la sua
popolazione sia forte e robusta".
Se la Corte Suprema rifiutava il punto di vista sistemico, il futuro cambiamento di rotta emergeva dalle
opinioni dissenzienti di Oliver Holmes, una figura che avrebbe interpretato la reazione al formalismo
sfociata poi nel realismo giuridico. Un'opinione in particolare ci restituisce il senso di quel cambiamento,
perché riguarda la legge federale, dichiarata incostituzionale, che vietava il ricorso agli accordi yellow dog
nel settore dei trasporti. La legge aveva come obiettivo primario la collaborazione tra capitale e lavoro,
colpendo le condotte antisindacali per promuovere un sistema arbitrale di risoluzione delle controversie
tra datori di lavoro e lavoratori iscritti ai sindacati, che assumevano quindi un ruolo come promotori di
pace sociale all'interno dell'impresa. Ciò avveniva sulla scia di pratiche instaurate durante la Prima Guerra
Mondiale, quando vi era un particolare interesse alla risoluzione pacifica dei conflitti di lavoro, incentivata
dai pubblici poteri attraverso la promozione di schemi corporativi. Queste pratiche furono criticate negli
anni Trenta da chi si opponeva alla rappresentanza organizzata di interessi, sia dei lavoratori che dei
datori di lavoro, in quanto ritenuta capace di condurre gli Stati Uniti su strade simili a quelle percorse dal
fascismo.
Ebbene, la curvatura organicista del provvedimento sottoposto al giudizio della Corte fu colta da Holmes
nella sua opinione dissenziente, che anzi la celebrava come fondamento di una politica del diritto da
avallare in quanto corrispondente "ai migliori interessi non solo dei lavoratori, ma anche delle ferrovie e
del Paese in generale". Più precisamente, Holmes sostenne che evitare gli scioperi e facilitarne la
composizione poteva costituire un valido orientamento politico per il Congresso e riteneva ragionevole
che quest'organo pensasse che la legge in questione avrebbe giovato all'attuazione di tale orientamento.
Anche supponendo che il Congresso mirasse unicamente a promuove
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