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LA RETRIBUZIONE
Il secondo oggetto del contratto individuale di lavoro è la retribuzione.
Il contratto collettivo nasce a metà dell’800 con il nome di “concordato di tariffa”, ossia, accordo
sulla retribuzione e sulla tariffa che è stata pattuita per poter avvalersi della prestazione di un
determinato soggetto.
La retribuzione non viene vista solo dal punto di vista del datore di lavoro (come controprestazione
della prestazione di lavoro) ma viene vista anche dal punto di vista anche del lavoratore (riguarda la
sua persona e gli altri membri della sua famiglia) dato che per lui è il mezzo, talvolta esclusivo, per
il mantenimento proprio e della propria famiglia.
Il contratto collettivo viene rinnovato a cadenze triennali per adeguare le retribuzioni all’aumento
del costo della vita, al fine di riprendere il potere d’acquisto perduto a causa della svalutazione o
per modificare alcuni aspetti del rapporto di lavoro.
L’aspetto indubbiamente più importante è la competenza esclusiva in materia retributiva. La
retribuzione contenuta nel contratto collettivo è il cosiddetto “minimo sindacale”. Il minimo
sindacale è una richiesta minima di retribuzione nei confronti del lavoratore.
La disciplina della retribuzione è contenuta in gran parte nei contratti collettivi.
Le retribuzioni nel contratto collettivo sono inserite in apposite tabelle, da qui il termine
“retribuzioni tabellari”. 13
Proprio per l’importanza che ha la retribuzione per il lavoratore si può mettere in evidenza due
deroghe rispetto a ciò che avviene rispetto i contratti di scambio o prestazioni corrispettive. Nei
contratti a prestazioni corrispettive quando viene meno una prestazione viene meno anche la
contro prestazione (es. se non vendo non si ricevono il pagamento) e inoltre si ha un’equivalenza
nel valore dei due beni scambiati (il bene si vende al suo prezzo di mercato).
La prima deroga riguarda la quantità di retribuzione, la quantità di denaro che il lavoratore riceve;
la seconda riguarda il rapporto tra prestazione e svolgimento dell’attività lavorativa, a volte
sopravvive il diritto alla retribuzione anche in mancanza di attività lavorativa.
Il contratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive. La particolarità della corrispettività
nel rapporto di lavoro riguarda sia misura della retribuzione (art. 36 Cost.) e sia il suo nesso con la
prestazione di lavoro nel caso di alcune vicende che riguardano il prestatore di lavoro (artt. 2110
c.c.).
ART. 36 COST.
I. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e
in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Si fa riferimento all’equivalenza tra retribuzione e quantità di prestazione lavorativa. Quando si fa
riferimento alla qualità si indica che una qualità maggiore della prestazione di lavoro (il quadro ha
una qualità maggiore rispetto all’operaio) corrisponde a una retribuzione più elevata.
Retribuzione proporzionale alla quantità del lavoro significa che un lavoratore full time deve avere
una retribuzione maggiore ad un lavoratore part-time, questo perché lavora di più ed è giusto che
sia ricompensato per questo.
Inoltre, la norma mette l’accento sul fatto che debba prevalere il principio di sufficienza su quello di
proporzionalità. La sufficienza è messa in relazione non solo al lavoratore ma anche a soggetti
estranei al rapporto di lavoro, ovvero, i componenti della famiglia del lavoratore stesso.
C’è quindi una deroga evidente ai principi che regolano i contratti a prestazione corrispettiva.
Come si riempie di contenuto il contratto, come si fa quindi a sapere quale sarà la retribuzione in
ogni caso sufficiente? L’interpretazione della norma (da parte dei giudici) ha ritenuto che
l’indicatore più autorevole e qualificato e che si possa usare come punto di riferimento sia la
retribuzione prevista nei contratti collettivi. Questo perché le contrapposte organizzazioni sindacali
nel momento in cui raggiungono un accordo sul rinnovo delle retribuzioni manifestano quella che è
ritenuta la retribuzione sufficiente.
Nell’articolo 36 si può anche leggere che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione in ogni caso
almeno pari a quella prevista nel contratto collettivo applicato in quell’impresa.
Questa norma (art.36 Cost.) è stata considerata immediatamente precettiva.
In essa il principio di sufficienza prevale su quello di proporzionalità.
La giurisprudenza ritiene che la retribuzione «sufficiente» sia la retribuzione tabellare prevista dai
contratti collettivi, che sono ritenuti gli indicatori più qualificati.
14
ART. 2099 C.C. – RETRIBUZIONE
L’art. 2099 presenta le possibili forme di retribuzione, le possibili modalità di calcolo della
retribuzione.
La più diffusa è la retribuzione a tempo, in cui nella maggior parte dei casi la retribuzione è
determinata su base mensile e sulla base di un orario normale nel corso della settimana (40 ore
settimanali) con una retribuzione mensile calcolata sul numero di ore di lavoro maturate nell’arco
del mese di riferimento.
Questa è l’unica modalità retributiva che può essere utilizzata in via esclusiva, perché è l’unica
ritenuta compatibile con la previsione dell’art. 36 in quanto le altre hanno degli aspetti di rischio (o
di aleatorietà). Cioè, con la retribuzione a tempo il lavoratore purché svolga diligentemente la
propria attività per l’orario stabilito ha la certezza di maturare il diritto alla retribuzione, mentre
nelle altre forme c’è un margine di rischio che potrebbe non far maturare il diritto a quella
retribuzione, o in ogni caso non far maturare una retribuzione sufficiente.
La retribuzione a cottimo viene normalmente individuata come la retribuzione in base al risultato
prodotto (quindi al rendimento del lavoro). La retribuzione a cottimo normalmente prevede ritmi
più elevati di svolgimento di attività lavorative. Prevede un margine di rischio perché il risultato o il
rendimento potrebbe essere ridotto da eventi esterni e indipendenti (es. mal funzionamento di un
macchinario).
Ha un carattere di rischio la partecipazione agli utili o ai prodotti. Se l’azienda non ottiene utili allora
si rischia di non riconoscere la retribuzione ad un lavoratore che ha fatto tutto quanto nelle sue
possibilità. La partecipazione ai prodotti vale in alcuni settori, come nell’agricoltura o nella pesca,
può essere ridotta o rovinata dalle intemperie (es. grandine che rovina i campi)
Lo stesso discorso vale per la provvigione, ovvero, la forma retributiva ad incentivo usata
soprattutto per i venditori (es. addetti all’ufficio commerciale), è una percentuale sul valore del bene
venduto. Questa, infatti, è la stessa forma di retribuzione usata per rappresentati di commercio e
agenti, ovvero, lavoratori autonomi che vengono retribuiti solamente a provvigione.
L’agente e il rappresentante sono collaboratori autonomi, esterni all’impresa, che devono
promuovere la vendita dei beni o servizi realizzati dall’impresa. Come tutti i lavoratori autonomi è a
suo carico il rischio dell’attività svolta.
La giurisprudenza afferma che qualsiasi attività umana economicamente rilevante può essere svolta
sia da un lavoratore subordinato sia da un lavoratore autonomo.
Per il lavoratore subordinato la retribuzione a cottimo, la partecipazione agli utili o ai prodotti, la
provvigione e la prestazione in natura sono legittime solo se si aggiungono come forma integrativa
ad una base retributiva a tempo.
Per quanto riguarda le prestazioni in natura possiamo intendere, ad esempio, il servizio mensa
all’interno di un’impresa, o per i dirigenti e le figure apicali la fornitura di un’auto aziendale (anche
a uso promiscuo con la famiglia), PC, smartphone, e altri vantaggi. Anche la prestazione in natura è
consentita solamente se è accessoria o integratori alla retribuzione a tempo.
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I. La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere
corrisposta nella misura determinata [dalle norme corporative], con le modalità e nei termini in uso
nel luogo in cui il lavoro viene eseguito.
II. In mancanza [di norme corporative o] di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal
giudice, [tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali].
III. Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili
o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura.
La retribuzione a tempo è l’unica tipicamente adottata in maniera esclusiva.
Tutte le altre costituiscono di norma forme di compenso parziale o elementi della retribuzione
complessiva del lavoratore, che mantiene sempre una parte fissa, determinata appunto a tempo.
ART. 2110 C.C. – INFORTUNIO, MALATTIA, GRAVIDANZA, PUERPERIO:
La prima deroga riguarda l’entità della retribuzione, che dev’essere in ogni caso sufficiente e quindi
si ritiene legittima in via esclusiva solo la retribuzione a tempo.
La seconda deroga è quella per cui il diritto alla retribuzione sopravvive anche in alcune situazioni
anche se manca lo svolgimento dell’attività lavorativa. Si tratta di eventi che riguardano la figura del
lavoratore come malattia, infortunio, gravidanza e puerperio (fase post-parto).
In queste 4 situazioni, se non sono previste tutele previdenziali (es. indennità di malattia, indennità
di maternità) al lavoratore è dovuta la retribuzione nella misura prevista ai contratti collettivi.
Queste forme di tutela previdenziale ci sono praticamente sempre, però, siccome l’indennità in
questione è di importi inferiori rispetto alla retribuzione perduta, i contratti collettivi obbligano il
datore di lavoro a pagare un differenziale (es. differenza tra 100 retribuzione perdura e 80 di
indennità erogata dall’INPS).
Si tratta di ipotesi speciali, perché in altri casi (es. il lavoratore che sciopera perde il diritto alla
retribuzione pur esercitando un proprio diritto), come lo sciopero e altre opzioni, vale la regola
generale secondo cui in un contratto a prestazioni corrispettive se viene meno la prestazione
lavorativa allora viene meno anche l’obbligo retributivo del datore di lavoro.
Perciò è necessaria un’eccezione alla regola generale, che è prevista nelle 4 situazioni precedenti
(malattia, infortunio, gravidanza e puerperio), oppure, si estende anche nei casi di permesso
si