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N
è dove sono definite le variabili e in questo caso è la superficie media, mentre la codimensione sarebbe quello
che manca per arrivare al 3D, siccome il piano medio è un oggetto 2D lo spessore è per forza la codimensione.
Anche nelle travi lo sforzo normale N deriva dall’integrale nella sezione, che è la codimensione, delle σ assiali,
e in questo caso il ragionamento è analogo; però la differenza sta nel fatto che si parte da delle σ che
dimensionalmente sono una forza per unità di superficie e integrandole unicamente nello spessore, si toglie
una dipendenza da “L” e si ottengono delle forze per unità di linea.
Sono anche chiamate forze membranali perché il regime è quello membranale e queste N sono le forze
interne a tale regime.
Questa immagine è la sintesi di quanto definito finora:
Se si pensa di adottare la notazione matriciale allora si
possono scrivere i tipici termini della notazione
matriciale ed che sono rispettivamente il vettore
u, e s, e ; si
che raccoglie le componenti di spostamento u
u
x y
può subito notare che queste due componenti così
come tutte le altre quantità vivono nel piano essendo
delle variabili definite nel piano medio e quindi sono
funzione delle variabili spaziali x e y.
Poi c’è e che è il vettore che raccoglie le componenti di
deformazione e quindi come si può vedere raccoglie le
γ,
due e la così come il vettore s è quello che raccoglie
ε
le componenti di sforzo e quindi poiché al posto delle
N
σ si considerano le N si lavora con le componenti delle
forze interne.
Chiaramente l’ordine con cui si raccolgono le quantità dentro e dentro deve essere lo stesso, ovvero si
e s
devono avere gli stessi pedici nello stesso ordine in entrambi i vettori, in modo tale che se si immagina di fare
il lavoro sviluppando il prodotto viene che la lavora per la la per la e via così.
s*e, N e N e
xx xx yy yy
A questo punto è utile vedere il significato meccanico di queste componenti di deformazione:
In questa immagine ci sono 3 figure che dimostrano qual è l’effetto di ciascuna delle 3 componenti di
deformazione, supponendole agenti singolarmente una alla volta e in ogni figura si intravede sempre una
linea più spessa che sarebbe l’elemento di materia indeformato e poi in grigio con un reticolo che aiuta a
capire cosa sta accadendo è disegnato l’equivalente elemento di materia, soggetto a quella specifica
componente di deformazione che è indicata sotto a ciascuno di essi.
Come si può vedere le due provocano semplicemente una dilatazione nelle direzioni x e y rispettivamente,
ε
senza causare nessuna variazione di angolo tra le direzioni x e y, perché guardando il reticolo i quadrati
γ
diventano semplicemente dei rettangoli, per cui gli angoli rimangono comunque tutti retti; viceversa, la xy
produce una variazione di angolo, infatti si chiama scorrimento angolare e l’effetto è quello che si può
osservare nell’ultima figura a destra.
Queste sono le forze interne e
chiaramente sono quelle che
lavorano per le rispettive
deformazioni, la per , la
N e
xx xx
γ
per la e la per la .
N e N
yy yy xy xy
Adesso che sono state fissate le idee su quali sono le variabili in gioco si possono scrivere le equazioni che
governano il problema:
A sinistra in grassetto ci sono le solite equazioni che sono già state viste varie volte, infatti la prima è
e=Du
l’equazione di congruenza che lega le deformazioni agli spostamenti, la seconda è l’equazione di
D*s=f
equilibrio e la terza è l’equazione del legame costitutivo.
s=Ce
A partire dalla forma compatta che è esattamente uguale a quella vista anche quando si parlava delle travi,
si può ottenere la versione estesa, che dà la possibilità di vedere come è fatto l’operatore di congruenza D,
quello di equilibrio e la matrice di legame
D* C.
L’operatore di congruenza (o compatibilità) è come quello che si conosce dalla Scienza delle Costruzioni,
D
per un corpo continuo 3D, però semplicemente limitato a 2 dimensioni, quindi è solamente un po’ più piccolo;
le deformazioni si ricavano facendo il prodotto riga per colonna dell’operatore di congruenza per il vettore
D
degli spostamenti u.
L’operatore di equilibrio rimane sempre e comunque l’aggiunto formale di e questo vuol dire che per
D* D
passare da uno all’altro basta fare il trasposto e si cambiano di segno tutte le derivate di ordine dispari,
siccome all’interno della matrice ci sono tutte derivate prime e quindi di ordine dispari, appare il segno meno.
Per quanto riguarda il legame costitutivo, si sta ipotizzando che il materiale sia isotropo e omogeneo (visto
che le quantità dentro non dipendono dal punto). Avendo scritto tutto sulla base delle forze appare lo
C N
spessore della piastra davanti alla matrice se invece si scrive tutto per le allora non sarebbe presente.
h C, σ, h
Chiaramente tutto si
completa con le
condizioni al contorno
che, come al solito
possono essere sugli
spostamenti o sulle forze
di superficie, che però in
questo caso sono di linea
perché la frontiera
dell’oggetto che si
considera è una linea, che
rappresenta il contorno
del piano medio.
La frontiera è divisa in due parti, una dove sono assegnati gli spostamenti e una dove sono assegnate le forze
di superficie; ovviamente devono essere rispettate la compatibilità sulla parte dove sono assegnati gli
spostamenti e l’equilibrio dove sono assegnate le forze di superficie.
A questo punto il problema è formulato, poiché sono state definite le equazioni di campo e le condizioni al
contorno, per cui si può andare a risolverlo, però giusto per essere chiari fino in fondo si deve capire cosa
significa risolvere un problema di elasticità piana (in realtà cambiando il nome a certe cose il problema in
questione potrebbe essere associato alle travi o anche ad altri modelli strutturali).
È ovvio che per capire cosa vuol dire risolvere il problema si devono definire quali sono i dati e cosa si vuole
trovare; i dati sono:
• la si deve sapere come è fatta e quanto misura la piastra e in particolar modo il suo piano
geometria,
medio, però si devono considerare tutti gli aspetti geometrici e non solo quelli in pianta, per cui si deve
conoscere anche lo (che si immagina costante ovunque);
spessore
• le ovvero e
caratteristiche del materiale, E v;
• i che possono essere di volume (o di campo) come, ad esempio, il peso proprio più eventuali altre
carichi,
forze applicate all’interno del corpo;
• le che saranno i vincoli ed eventuali altri carichi applicati però al contorno.
condizioni al contorno,
Una volta noti tutti questi dati, risolvere il problema vuol dire andare a valutare gli le
spostamenti,
e gli che saranno ovviamente tutti (“inplane”) perché sono le uniche variabili
deformazioni sforzi, nel piano
che vivono nel piano medio.
Una strada è la via analitica, che per alcuni casi più o meno semplici esiste ed è documentata sui testi, ma
chiaramente l’obiettivo di questo corso è vedere come si può arrivare ad una soluzione numerica che utilizzi
il metodo degli elementi finiti. Il primo passo è la discretizzazione del dominio
di definizione del problema in sottodomini,
ovvero in elementi finiti. Nell’immagine si può
vedere una cosa puramente esemplificativa
dove inizialmente si ha il dominio di definizione
e poi accanto si ha una possibile “mesh”,
essendo il problema 2D anche ogni
sottodominio sarà anch’esso 2D ovviamente.
Come si può notare si hanno due possibilità per i sottodomini, che nell’immagine precedente sono
volutamente mescolate, cioè si possono avere quadrangoli o triangoli, non ci sono altre forme nella mesh e
questo non è un caso perché gli elementi finiti piani comuni sono solo quadrangolari o triangolari.
Quella rappresentata in (b) è una possibile mesh, dove ci sono i nodi e gli elementi finiti, ogni elemento è
definito da 3 o 4 nodi che sono collegati tra loro da delle linee; il generico elemento riportato in (c) avrà un
suo dominio e una sua frontiera.
Per inciso, il diagramma di flusso del metodo agli elementi finiti che è anche la chiave del suo successo, è
sempre lo stesso sulle travi, sull’elasticità piana, sull’elasticità tridimensionale, cioè si discretizza, poi si isola
un generico elemento, si scrivono le equazioni che governano il suo comportamento, poi si assembla, si
impongono le condizioni di vincolo e infine si risolve. Questo procedimento è sempre lo stesso e non cambia
mai ma cambiano alcune singole cose all’interno di ciascuna di queste operazioni.
Fin qui è stato discretizzato il dominio, è stato isolato un singolo elemento e quindi quello che si deve fare
adesso è andare a scrivere le equazioni che governano il comportamento del generico elemento, poiché per
ogni elemento si deve scrivere una relazione che collega forze nodali e spostamenti nodali, esattamente
come si era fatto nelle travi:
Le equazioni sono esattamente le stesse di quelle già viste per le travi, l’unica differenza è che in questo
momento l’attenzione deve essere puntata sulla figura che c’è in alto a destra in quanto si sta parlando di
elasticità piana (2D), trascurando invece quella che si trova in alto a sinistra poiché è quella relativa alle travi.
Tutto quanto è impostato sulla base del PLV, quindi a sinistra della linea verticale con i pallini si hanno le
grandezze reali mentre a destra quelle virtuali perché hanno il “cappello”: la prima equazione è u(x)=N(x)q,
sono le funzioni di forma che vengono scelte, proprio perché il primo passo nell’ambito del PLV consiste
N
nell’assumere una rappresentazione per lo spostamento e questo si fa scegliendo delle funzioni di forma, che
sono appunto raccolte nella matrice mentre sono gli spostamenti nodali; per cui moltiplicando queste
N, q
funzioni per gli spostamenti dei nodi si ricostruisce lo spostamento sull’intero elemento.
La parte di destra, ovvero quella virtuale, si fa allo stesso modo e sempre con la stessa scrittura, soltanto che
prende i termini con i “cappelli” perché era già stato detto che si fanno le stesse assunzioni anche per lo
spostamento virtuale