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Negli ultimi anni del III e nei primi del II secolo a.C., si spostano di poco le posizioni degli
argentari e anche delle altre attività verso l'esterno, perché alla seconda metà del III ci
sono degli incendi. Nel 209 a.C. il Macellum viene spostato subito fuori dall'area delle
basiliche, sempre nel Foro, quindi la pianificazione dello spazio comincia già in questa
fase.
La prima di queste basiliche è la Porcia, che viene realizzata nel 184 a.C., in questo caso
il magistrato proponente è Marco Porcio Catone, per antonomasia "Il Censore" (per la
maniera in cui ha amministrato le sue magistrature, poneva dei limiti all'influenza della
cultura greca). Ma che non fosse nemico della cultura greca, lo dice il fatto che fu
promotore di una delle basiliche che come modello avevano proprio quello ellenistico,
in particolare l'ellenismo egizio. Alcune testimonianze letterarie e iconografiche ci fanno
pensare che le basilikai tolemaiche fossero padiglioni di forma allungata, scanditi
all'interno da file di pilastri che servivano a tenere la copertura spiovente (solitamente
grandi velari drappeggiati che riparavano dal sole e dalla pioggia, sorta di tende
monumentali). Catone, che era uno dei più selettivi nei confronti dei greci, pena a questo
modello, simbolo di regalità, e lo adatta alla cultura romana, caricandolo di un nuovo
significato: il grande padiglione che non serve più per il re, ma per il popolo e per
l'attività giudiziaria che coinvolgeva tutti i gruppi della società romana.
La seconda è la basilica Fulvia, che noi però chiamiamo Fulvia Aemilia, perché la
costruzione è promossa nel 179 a.C. da Marco Fulvio Nobilio, ma viene poi attenzionata
dagli Emilii, ricevendo una ristrutturazione nel 164 a.C., per iniziativa del celeberrimo
Lucio Emilio Paolo. Mentre Catone è più selettivo, gli Emilii sono più aperti a prendere
modelli differenti, e ad adattarli alle nuove esigenze. Questa sorta di competizione tra i
membri della nobilitas, nel promuovere queste iniziative, aveva dei risvolti nella
propaganda elettorale.
La basilica Sempronia è promossa nel 169 a.C. da Tito Sempronio Gracco nell'anno
della sua censura.
L'ultima basilica in ordine di tempo è la Basilica Opimia, promossa da Lucio Opimio nel
121 a.C.
Non è casuale che la prima basilica va proprio ad attaccarsi alla curia, è un fatto
intenzionale.
Già alla metà del I secolo a.C., c'è un altro intervento nella basilica Fulvia Aemilia, ancora
una volta promosso da un Aemilius, Marco Emilio Paolo Lepido. Si tratta quindi di un
edificio che si lega alle vicende degli Emilii. A partire da questo momento, le fonti
chiamano questo edificio Basilica Pauli. I pilastri individuano quelle che noi
comunemente chiamiamo navate. Infatti le basiliche paleocristiane (IV secolo d.C.)
adattano ancora una volta questo tipo architettonico ad una nuova esigenza, quella
cristiana, c'è una nuova risemantizzazione. In questo caso abbiamo tre navate, quella
centrale più ampia, come accade in tutte le basiliche civili.
L'esempio di Pompei è significativo, il dato archeologico ci dice che la costruzione di
questa basilica è già della seconda metà del II secolo a.C.. In questa fase, dopo che a
Roma erano già state costruite le prime tre (non ancora l'Opimia), Pompei aveva già
acquisito questo modello, dotandosi a sua volta di una basilica.
A Pompei si era monumentalizzato lo spazio di fondo della basilica, perché in tutte le
basiliche vi è un settore rialzato, che acquisiva da questa sopraelevazione un risalto
particolare, perché era il settore dove i magistrati giudicanti emettevano le sentenze,
spesso situato sul lato corto del rettangolo. Questo ambiente era chiamato dai romani
Tribùnal.
Emporium, il nuovo Porto Fluviale
Siamo a sud-ovest dell'Aventino, che sempre più va connotandosi come distretto
commerciale e produttivo della città. Il fatto di costruire un emporium nel corso del II
secolo a.C. ci dice già che l'attività economica si stia intensificando. Lo conosciamo
soprattutto da una testimonianza, cioè i frammenti della Forma urbis Romae
severiana, grazie al lavoro del topografo Filippo Carrettoni. La Forma urbis è una
grande pianta marmorea della città (più di 30 metri di estensione), incisa nel marmo al
tempo dei Severi, quindi nella prima metà del III secolo d.C., è una pianta con una
valenza amministrativa, quindi rappresenta soprattutto gli edifici pubblici di Roma, non
tutte le case. Vi era una distinzione degli spazi nelle 14 regiones in cui Augusto aveva
diviso il territorio.
A Roma ne sono state realizzate tante, ma questa è la più antica meglio conservata.
L'Emporium è realizzato con una struttura a pilastri disposti su 7 file, che formano 50
corridoi, per un totale di mezzo chilometro di struttura. Si è discusso molto sulla
funzione di questo edificio. Una tesi, successivamente smentita, è opera di Lucas Cozza e
Tucci, i quali hanno suggerito che questo Emporium fosse un arsenale, perché Cicerone,
nel De Oratore, parla dei navalia costruiti dopo seconda metà del II secolo a.C.
dall'archeologo Ermòdoro di Salamina. Le critiche a questa ipotesi riguardano il fatto
che l'arsenale serviva a tirare a secco le navi militari per ripararle o proteggerle nei
momenti di tensione, ma nessun arsenale antico si situa a 90 metri dal mare o dal fiume.
Inoltre i corridoi dell'emporio erano larghi 8 metri e 30, mentre le più piccole navi
antiche erano lunghe 5 metri, dunque non c'era lo spazio sufficiente per ripararle.
Inoltre, il fatto di avere sul fondo delle aperture, va contro l'ipotesi dell'arsenale, perché
l'apertura significava spalancare le porte a qualunque nemico, le navi invece dovevano
essere difese negli arsenali. Queste critiche prescindono dal fatto che l'interno dei
corridoi potesse essere o con delle scalinate a più riprese o con un'unica rampa in salita
dal Tevere. I navalia probabilmente sono sempre stati nella zona militare, cioè il Campo
Marzio.
La tesi più accreditata è che questo "lia" sia la terminazione di Aemilia e che questa sia
la Porticus Aemilia, e che Livio colloca proprio sull'Aventino sul Tevere, attribuendolo a
Marco Emilio Lepido e Marco Emilio Paolo, nell'anno della loro edilizia insigne (193
a.C.). Quindi si tratterebbe del primo grande monumento della politica degli Emilii, che
prende e trasforma un modello greco, quello della Stoà, per un'attività ad usum populi,
in questo caso per le esigenze commerciali. A cosa poteva servire questo grande
porticato con corridoi modulari? L'ipotesi più accreditata è che fosse il primo grande
interporto, cioè lo spazio di smistamento delle merci, importante e strategico per la
propaganda degli Emilii, perché permetteva una migliore collocazione delle merci.
Diventa lo scenario per trasformare e per romanizzare il grande modello della Stoà.
Si sta convergendo sull’ipotesi che si tratti della Porticus Aemilia, presumibilmente un
interporto utilizzato per il primo ingresso di numerose merci da diversificare in base a
destinazione e distribuzione. Se così fosse, si tratterebbe della prima grande
realizzazione nell’ambito della politica edilizia degli Emili. Sembra che gli esponenti
della gens promuovano monumenti con funzioni differenti e strettamente funzionali alla
vita economica, giudiziaria: attività che andavano complessificandosi e diversificandosi
nella Roma di II. I modelli greci sono fortemente trasformati nella consistenza
architettonica: come si è detto, in questo caso il modello è quello della stoà, che assume
però una profondità inedita per la grecità (articolazione e scomposizione degli spazi
interni).
Ricostruzione dei presunti Navalia In questa fase non c’era nulla tra Tevere e Porticus;
le arcate del disegno sono di prima età imperiale (ancora visibili in un’area
archeologica, vd. Slide).
Novità di tecnica costruttiva Si tratta di uno dei primi casi in cui viene attuata l’opera
cementizia, quella che i Romani chiamavano opus caementicium. Ne è un chiaro
testimone Vitruvio. Si tratta di un conglomerato di scampoli di pietra, blocchi di piccole
dimensioni, ghiaia tenuti insieme dalla malta di calce, una miscela. Esistevano già dei
leganti a base argillosa: questa malta è una novità perché si avvale della calcina e ne
sperimenta le attività leganti, creando un’unità statica del tutto nuova. Murature
costruite con questo opus erano chiamate caementa.
Slide - conglomerato cementizio (disegno a dx). Nell’emporium questa tecnica ha
permesso di creare volte capaci di reggersi. Il caementicium è solo il nucleo della
muratura; sui paramenti esterni veniva rivestito da varie soluzioni tecniche
(corrispondenti ad altrettanti tecniche costruttive). Quindi all’opus si univa la tecnica
dei paramenti esterni. (NB il laterizio che talvolta si può vedere è successivo rispetto al
paramento).
Spazi al di là della Porticus che vanno ad occupare la zona che oggi corrisponde a
Testaccio. All’epoca era il distretto commerciale più significativo più a sud del Foro
Boario, con il quale costitutiva un vero e proprio polo commerciale sull’Aventino.
Horrea Galbana, promossi da Servio Sulpicio Galba. Un complesso di horrea era
costituito da sedi in cui si immagazzinavano derrate alimentari, che arrivavano da Ostia
e si fermavano qui prima della distribuzione/vendita, che avveniva sotto i portici.
Servivano quindi a snellire ill volume dei traffici, che doveva essere molto intenso.
Lo spazio si codifica in questo periodo: si trattava di uno spazio porticato, circondato da
una serie di vani di piccola estensione (box modulari in infilata). Un settore (sul lato
nord) era quasi sempre dedicato all’ergastulum: si trattava di vani funzionali alla
vendita degli schiavi, che esplode nel II, in concomitanza con le grandi vittorie nel
Mediterraneo. Esistevano piazze commerciali destinate a questo tipo di commercio, in
particolare Delo era sede molto attiva per il commercio di schiavi. Proprio Delo è il
fulcro di scambi culturali e commerciali, che in quanto sede attivissima del commercio
schiavile contribuisce alla contaminazione allorquando Roma entra nel giro di questo
commercio.
Monte Testaccio (settore che corrisponde all’omonimo quartiere) Testa significa
coccio, frammento di ceramica. A partire da questo periodo si forma un’altura artificiale
a nord della zona, dovuta all’accumulo di grandi quantità di cocci che contenevano
merci e derra