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Questo periodo etrusco finisce brutalmente nel 509 a.C., quando si
instaura e si insedia la res publica.
Una parte dell'acqua, attraverso le canalizzazioni, veniva irrigimentata,
cioè raccolta, per le abitazioni, come collettori integrativi delle cisterne e
dei pozzi che erano delle diverse case.
Oltre al sistema di raccolta, viene messo a punto anche il sistema di
drenaggio: la fogna non serve ad immagazzinare acqua, ma a portare via i
reflui, cioè le acque di scardo, come acqua piovana e residui organici della
vita collettiva. Diversi dai canali per la bonificazione, erano i canali
fognari, che avevano una propria rete, che parte dal ramo più
significativo, che per tutta la storia di Roma antica resta il più capiente, e
che i romani già in questo periodo battezzano come Cloaca Maxima. Il
condotto arrivava al Foro romano, il tratto precedente veniva chiamato
Argiletum, poi lasciava ad est il Palatino e arrivava nella zona tra Velabro e
Aventino, dove c'era sempre più rischio di avere acque in eccesso da
scaricare non solo con il canale idrico, ma anche attraverso la fogna. La
Cloaca Maxima serve proprio a mantenere vitale questo sistema. Infine, il
condotto andava verso il nord dell'Aventino, area che era necessario
tenere nel massimo decoro urbano perché lì c'era l'altra grande area
indispensabile alla vita di Roma, il Foro Boario, cioè il foro commerciale di
Roma più importante di tutta la sua storia, che comincia ad essere attivo
proprio ora, nel VI secolo a.C. Attraversato il Foro Boario, poteva confluire
nel Tevere.
La religiosità romana, che aveva evidenti ripercussioni nel concreto, cerca
una protezione anche nel funzionamento della Cloaca. Infatti essa viene
posta sotto la tutela di Venere, per cui sin da data molto antica (IV secolo
a.C.) viene realizzato un sacello di Venere Cloacina, nel punto dove la
Cloaca Maxima entrava nel foro. Venere doveva proteggere il buon
funzionamento della Cloaca.
Ercole, invece, proteggeva l'oliocoltura e il commercio dell'olio che
avveniva nel Foro Boario, dove era situato il tempio di Ercules Bolivarius.
Quali sono le aree che per questo periodo hanno dato maggiori evidenze?
Il Capitolium e il Foro Boario.
Nel VI secolo a.C. si data la prima realizzazione monumentale litica del
Capitolium, il tempio esisteva già ma non era tutto in pietra. Capitolium è
innanzitutto il mons, per questo motivo il nome poi si stende ad indicare
anche il tempio, edificio più significativo del monte. Giove, Giunone e
Minerva formano la triade capitolina. La pianta, già in questa prima
versione totalmente in pietra, prevede una cella tripartita. Della pianta di
questo tempio non sappiamo tutto, perché ci avvaliamo di strutture
trovate molto in profondità rispetto al Campidoglio attuale, si tratta di
blocchi che però si sono conservati in maniera tale da farci capire con
certezza che vi erano tre celle. Siamo sotto Palazzo Caffarelli. Il materiale
dei blocchi è il tufo grigio, il cosiddetto cappellaccio, lo stesso tufo che la
dinastia etrusca fa utilizzare per le mura. Le tre celle non hanno tutte le
stesse dimensioni, quella centrale è più ampia perché dedicata a Giove, le
altre due sono più strette. Inoltre, sappiamo che si trattava di un tempio
sopraelevato su un podio, e vi si accedeva attraverso una scalinata
centrale. Questo creava un'ampia zona che prelude alla cella,
l'equivalente, nella cultura etrusca-italica, dell'area che nel mondo greco
si chiamava pronaos. È un'area segnata da colonne, ma non tante come
nel mondo greco. Il tempio è aerostilo, cioè con le colonne distanziate per
creare questa areosità dei volumi.
Lo spazio antistante alla cella aveva una fila di tre colonne, questo è un
dato certo perché ci sono delle evidenze. Sono state, infatti, trovate nella
fondazione i segni di preparazione per incassare le colonne. Il lato meno
noto è quello retrostante. Alcuni studiosi pensano che non ci fosse il
colonnato retrostante alla cella, una studiosa ha invece proposto che il
tempio avesse le colonne anche dietro la cella. Se non avesse le colonne
dietro la cella, lo chiameremmo "sine postìco".
Il tempio va immaginato col tetto spiovente, il frontone è ancora aperto
(anche nel mondo etrusco era così), dalla seconda metà del IV secolo a.C.
cominceranno ad esserci frontoni chiusi.
Questo tempio risponde a pieno a quella tessitura architettonica che
Vitruvio chiama Tuscanicae dispositiones, ecco perché lo chiamiamo
tempio di tipo tuscanico. I tempi di questo periodo, in Etruria e a Roma,
sono di tipo etrusco-italico, una tendenza più codificata è il tuscanico. Le
caratteristiche proprie di questa tendenza sono le tre celle, mentre i tempi
etrusco-italici più generici hanno una sola cella. In comune hanno il
tempio sul podio e la scala centrale di accesso sul lato frontale,
strettamente legata al codice rituale di natura etrusca, non si poteva
entrare da tutti i lati come nei peripteri greci. Altra caratteristica di tutti gli
etrusco italici è il fatto di avere la parte antistante alla cella con diverse
file di colonne, ma sempre con intercolumni ampi.
In una serie di rituali i fedeli non entravano, erano sotto la scalinata, sul
podio vi era solo il ministro, anche perché in questa fase più antica l'altare
era sempre fuori nella parte più bassa, non era sul podio, ma giù. Il
sacerdote doveva dare le spalle alla pars postica e guardare alla pars
antica, cioè tutto ciò che era sotto le scale. La tripartizione dello spazio
sacro rimanda a quella concezione etrusca cosmologica che si teneva in
considerazione al momento della fondazione della città. La tripartizione
spaziale ha una valenza rituale, sacra.
Tipicamente tuscaniche sono le tre celle e le caratteristiche della colonna,
che aveva il capitello sagomato alla maniera del tuscanico (né dorico né
ionico).
Questo è uno dei templi più ristrutturati dell'architettura romana. Viene
avviato da Tarquinio Prisco e completato quasi del tutto da Tarquinio il
Superbo. Viene poi ridedicato nel primo anno della Repubblica, perché
diventasse identitario della nuova istituzione. Sia Vitruvio che Dionigi di
Alicarnasso riportano anche le dimensioni, 62 x 54 m. questo tempio viene
spesso rifatto perché viene spesso distrutto. C'è un incendio molto serio
tra il 90 e l'89 a.C., dopo il quale il Capitolium viene ristrutturato per
iniziativa del console Quinto Plutatio Catulo, con il bottino di una sua
spedizione militare. Inoltre, è lui il promotore del cambiamento delle
tecole dello spiovente, che non vengono realizzate più in terracotta, ma in
bronzo dorato. Quinto Petilio Capitolino promuove un piccolo intervento
nel 43 a.C.
Nella lunga serie di restauri non va dimenticato il grande restauro dell'81,
alla fine del regno di Tito, avviato da Vespasiano, non solo il tetto, ma
anche le colonne antistanti la cella vengono dorate. Quindi questo diventa
il tempio dorato per eccellenza.
Siamo nella celebre Area sacra di Sant'Omobono, subito a sud dell'area
del Palatino e della Vallis Murcia, laddove cominciava il Foro Boario (limite
nord), quindi un'area dedicata agli scambi economici. Anche i culti si
adeguavano alle attività che si svolgevano in un determinato settore. La
religiosità romana ha dei risvolti molto pratici.
Sono stati trovati i resti di alcuni altari e i resti dei rituali, si tratta di quello
che alla fine di un rituale veniva lasciato sugli altari a ricordo della
cerimonia sacra. Archeologicamente individuiamo spesso i contenitori,
usati per i rituali, che spesso si rompevano a metà perché nessuno
potesse più utilizzarli e fossero considerati proprietà della divinità. Si
trovavano resti di animali che venivano sacrificati. Questi sono tra i resti
rituali più antichi di Roma. Un frammento di vaso trovato in questo
contesto riporta un'iscrizione etrusca, risalente al VII secolo a.C.,
considerata la più antica iscrizione etrusca rinvenuta da scavo.
Siamo intorno al 580 a.C., quando in quest'area sono documentati due
piccoli templi, di cui conosciamo il due e del due elementi molto
importanti della decorazione architettonica (scultura fittile). C'è un secolo
di abbandono, soltanto alla fine del V secolo a.C. vengono costruiti ancora
due templi gemelli accostati, ma molto più grandi. Lo stesso luogo cambia
continuamente insieme al paesaggio urbano e alla storia della città. Tanto
fu impattante che per realizzare la nuova coppia di templi, si crea un rialzo
dal terreno di 4 metri, sui quali si imposta il nuovo podio. Quindi il nuovo
complesso sacro doveva essere molto più alto rispetto a quello distrutto.
La planimetria arcaica la conosciamo in maniera frammentaria, però
abbiamo degli elementi che ci fanno capire che questa planimetria è stata
riproposta in grande alla fine del V secolo a.C. E' un tempio etrusco italico
con tutte le caratteristiche comuni ai tempi tuscanici, ma non con le
caratteristiche proprie solo dei tuscanici, ma solo di quelle presenti anche
nei templi etruschi italici più generici. Ha due corridoi aperti sulla fronte
del tempio che Vitruvio chiama ali della cella. In questa maniera, facendo
il confronto tra due contesti coevi, possiamo vedere che cos'era la cultura
etrusco italica e come il tuscanico si differenziava.
Il culto era dedicato a due divinità strettamente collegate, a Fortuna e
Mater Matuta. Per tutta l'età arcaica e per tutta l'età repubblicana romana,
Fortuna è uno dei culti più venerati e attestati archeologicamente. In
questo caso, si tratta di una Fortuna legata al buon esito degli affari,
perché siamo in una zona commerciale. Matuta viene dalla radice Mat,
una radice di origine etrusca, è la dea del mattino e legata al sorgere del
sole. L'abbinamento è semanticamente rilevante: ogni nuova giornata
doveva essere sotto il favore della fortuna per coloro che lavoravano in
quest'area, grazie alla venerazione di queste due divinità.
Adriano promuove dei restauri in quest'area. Alla fine del V secolo, la sola
cella di Mater Matuta (quella a est) diventa chiesa dedicata alla Vergine.
La trasmissione del culto con l'adattamento cristiano è quasi naturale.
Sappiamo che si chiamava San Salvatore in Campo nel Medioevo.
L'ulteriore chiesa viene poi dedicata a Sant'Omobono, protettore dei sarti,
perché quella era la zona delle botteghe dei sarti.
La ricostruzione del frontone presenta due felini disposti in posa araldica,
il frontone del 580 a.C. è già