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ANTROPOLOGIA INTERPRETATIVA
L'approccio interpretativo si afferma negli ultimi decenni del Novecento (1980) a partire dal lavoro di Clifford Geertz e dalla sua opera "Interpretazione di culture" (1973).
Questo indirizzo antropologico si contrappone a quegli assunti che hanno visto avvicinare strutturalismo e marxismo:
- La scoperta di strutture nascoste e profonde che determinano il comportamento umano
- La loro descrizione per mezzo di un linguaggio oggettivo, indipendente da quello usato dagli attori sociali stessi
Geertz riparte dalla tradizione boasiana del particolarismo storico, che guarda con sospetto ogni pretesa di stabilire leggi generali e universalmente valide in campo culturale. Riprende l'obiettivo conoscitivo su cui si era focalizzato Malinowski, quello di vedere il mondo dal punto di vista dei nativi, ma ciò non significa immedesimarsi in essi, ma capire il significato di ciò che dicono e fanno; l'uomo è come un "animale che produce significati".
Il compito dell'antropologo è di tradurre e capire il significato di ciò che dicono e fanno. All'ora l'etnografia è un processo ermeneutico di interpretazione di significati. L'etnografo non è quindi uno scienziato come lo intendeva Malinowski, ma per Geertz è uno scrittore e l'antropologia è una pratica intellettuale che si situa a metà tra scienza e letteratura. Ciò non significa sminuire il ruolo della ricerca e del rigore metodologico, anzi, il rigore metodologico si gioca proprio nell'accentuata consapevolezza dei complessi processi attraverso cui si costituisce il dato etnografico. In riferimento all'ermeneutica filosofica di Paul Ricoeur: l'etnografia è un processo lento e faticoso di avvicinamento per tentativi, sempre parziale e provvisorio, una comprensione sempre possibile ma al tempo stesso sempre imperfetta dell'educatore. La questione del significato è cruciale. Nella sua opera definisce
l'antropologia significa immergersi nel contesto culturale e sociale in cui si manifestano. L'etnografia diventa quindi uno strumento per cogliere e interpretare i significati di queste pratiche. Secondo Geertz, l'etnografia è un processo di avvicinamento graduale e tentativo, che porta a una comprensione parziale e provvisoria. L'analogia tra cultura e linguaggio ha dei limiti, poiché l'antropologia si occupa di pratiche che non possono essere ridotte a modelli cognitivi o razionalità discorsive. L'oggetto dell'antropologia sono le "forme di vita", come le definisce un altro filosofo che ha influenzato l'approccio interpretativo. Comprendere queste forme di vita significa immergersi in esse e cercare di coglierne i significati.L'antropologia significa non tanto o solo viverle, ma in- scriverle in un testo. L'antropologia è prima di tutto etnografia, una forma di descrizione che Geertz chiama "densa" (think), ovvero che non si ferma all'esteriorità delle cose o degli eventi ma cerca di cogliere la profondità dei loro significati contestuali.
"Fare l'occhiolino": Geertz propone l'efficace esempio di Se una descrizione thin cioè esigua si può accontentare della "contrazione delle palpebre", quella densa ha bisogno di andare più in profondità. Non vi è un metodo standard che garantisca all'antropologo l'accesso ai significati profondi e permetta un qualche grado di oggettività della descrizione. Quando l'etnologo scrive si comporta come uno scrittore, cioè usa le risorse creative del linguaggio per produrre effetti di comprensione nei suoi lettori.
Per tutto il '900 molti autori avevano
Geertz ha cercato di condurre l'antropologia entro l'ambito delle scienze dure, invece Geertz la valorizza la disciplina umanistica, pratica intellettuale a metà tra scienza e letteratura che comunque non sottovaluta il ruolo del rigore scientifico metodologico che rimane presente nel modo di costruzione del dato etnografico, cioè nella fase della descrizione in cui secondo Geertz sono già insiti problemi interpretativi. (rapporto tra esperienza di ricerca e scrittura).
L'approccio interpretativo di Geertz si costituisce come preludio al clima di sfiducia verso quei paradigmi totalizzanti attraverso i quali l'antropologia aveva cercato di definirsi a partire dal 900. Si afferma l'idea che il sapere antropologico non possa procedere attraverso un approccio cumulativo.
LA DECOLONIZZAZIONE E LA SVOLTA RIFLESSIVA
Durante il periodo che si colloca tra gli anni '60 e gli '80 del 1900 c'è stato un cambiamento degli assetti antropologici, dovuto
all'avvento delle decolonizzazioni, successive a loro volta del periodo coloniale caratterizzante la nascita e l'istituzionalizzazione nelle università dell'antropologia. Tale avvenimento porta la necessità di cambiare la particolare predisposizione teorica, dalla ricerca sul campo (fieldwork) all'oggetto e soggetto stesso dell'indagine antropologica (ci sono gli antropologi e chi sono i primitivi). Prima i primitivi erano considerati soggetti privi di una propria soggettività e quindi percepiti come inerti, non attivi e inconsapevoli, e anche bisognosi di essere descritti da qualcun altro; avevano bisogno di essere civilizzati e la missione civilizzatrice era legittimata dalla visione dei primitivi come mancanti di una "Agency" (possibilità di agire) e di rivendicazione dei propri diritti. Ora i primitivi diventano possessori di un "Agency", mostrano una capacità di azione, di rivendicazione dei propri diritti.diritti e personalità portando come conseguenza anche il cambiamento del ruolo dell'antropologo sul campo. L'antropologia viene vista come una disciplina occidentale a cui si guarda con un certo sospetto e anche gli antropologi erano visti come molto vicini al dominio coloniale e per questo si parla di "espulsione degli antropologi": gli studiosi che stavano lavorando nei diversi campi che stavano iniziando a lottare per la loro indipendenza vengono espulsi dai diversi contesti coloniali con la motivazione di essere collusi ai poteri coloniali. Rispetto a questo tema si esprime anche lo psichiatra Franz Fanon, sostenendo come il colonialismo sia riuscito ad insinuare il suo predominio nelle soggettività dei decolonizzati attraverso il rapporto con la cultura coloniale. Fanon sostiene come sia necessario de-decolonizzare i nostri saperi disciplinari. Di fronte a questi cambiamenti gli antropologi si ritrovano a dover elaborare delle modalità nuove per fare.ricerca antropologica, dove non possono più concepire gli studi e le ricerche come se fossero condotte in un laboratorio; l'antropologo non può essere del tutto neutrale e non può prescindere dal prendere una posizione rispetto alla relazionalità dei diversi attori. Si parla di osservazione partecipante non soltanto in senso metodologico ma partecipata in un altro senso, porta una riflessione anche in senso epistemologico in quanto le basi non erano più i primitivi visti come un popolo da civilizzare; la coscienza antropologica va a costruirsi su risposte differenti. Se prima era predominante la monografia etnografica realista ora, con la svolta riflessiva, si hanno forme di etnografie sperimentali. Writing Culture Negli anni '80, il tema della scrittura antropologica viene posto in primo piano da un gruppo di studiosi più giovani, formati nel periodo della colonizzazione e interessati a una critica politica dell'antropologia classica. Il manifestodi questo movimento è un volume intitolato "writing culture" (scrivere le culture) di Clifford e Marcus del 1986; centrale è anche il sottotitolo del libro, nella quale sono contenute le parole politiche e poetiche che sono anche tematiche centrali della critica del movimento Writing Culture: accusa l'antropologia classica di dissimulare dietro alle strategie retoriche letterarie i reali posizionamenti dei ricercatori cercando di ricostruire una scrittura che fosse neutrale e trasparente. Affermano con determinazione la necessità di non nascondersi dietro alla pretesa di neutralità, anzi le condizioni storico politiche, i posizionamenti sul campo, le relazioni di potere nella quale si lavora influenzano necessariamente il rapporto con i soggetti studiati; questo perché l'etnografia non ha a che fare solo con la scrittura intesa come metodo sia in senso politico che filosofico. La proposta di Writing Culture è in primo luogo quella di rileggereLa rivoluzione metodologica malinowskiana come l'affermazione di una nuova forma di scrittura etnografica, che viene definita "realista" per la somiglianza con le convenzioni del realismo letterario. Caratteristiche di questa scrittura sono la prevalenza di un registro descrittivo visuale, l'ambientazione nel tempo sospeso del "presente etnografico", l'impersonalità (cioè la tendenza a nascondere e non mettere in scena l'autore stesso, il quale si posiziona come un osservatore esterno che sa e comprende tutto, nella posizione che è stata chiamata "dell'occhio di Dio").
Per quanto efficace, l'etnografia realista valorizza solo alcuni aspetti dell'esperienza di campo, trascurandone altri. Il movimento si propone quindi l'apertura di una fase nuova dell'etnografia, con la sperimentazione di diversi stili al fine di restituire più a tutto tondo l'esperienza di ricerca.
Nascono
così in quegli anni:
- etnografie "riflessive", che tematizzano piuttosto che nascondere la soggettività del ricercatore (Rabinow 1967).
- etnografie "dialogiche" o "polifoniche", che pongono al centro le voci dirette, non mediate, degli interlocutori e gli aspetti personali e affettivi del rapporto etnografico (Crapanzano 1985, Shostack 1981, Dwyer 1982, D. Tedlock 1979).
- testi narrativi e persino poetici, dove si tenta di sfruttare ai fini della rappresentazione etnografica le risorse del linguaggio letterario e la sua dimensione metaforica ed evocativa (B. Tedlock 1991, S. Tyler 1986).
- nella produzione etnografica accademica si comincia a parlare di aspetti dell'esperienza di campo che erano invece rimossi dai resoconti di ricerca di taglio "realista". Ad esempio, lo shock culturale ed esistenziale prodotto dall'osservazione partecipante in contesti difficili.
- gli aspetti legati alle peculiarità di genere dei ricercatori.
Un tema affascinante che ha sempre catturato l'immaginazione umana è quello del viaggio nel tempo. Da sempre l'uomo si è chiesto se fosse possibile tornare indietro nel passato o spingersi nel futuro, magari per correggere errori commessi o per scoprire cosa ci riserva il destino.
La letteratura e il cinema hanno spesso esplorato questo tema, regalandoci storie avvincenti e coinvolgenti. Pensiamo ad esempio a romanzi come "La macchina del tempo" di H.G. Wells o a film come "Ritorno al futuro".
Ma cosa dice la scienza riguardo al viaggio nel tempo? Al momento attuale, non esistono evidenze scientifiche che dimostrino la fattibilità di un viaggio nel tempo. Le leggi della fisica, come la relatività di Einstein, sembrano escludere la possibilità di tornare indietro nel passato.
Tuttavia, alcuni fisici teorici hanno ipotizzato l'esistenza di fenomeni come i buchi neri o i wormhole che potrebbero consentire il viaggio nel tempo. Queste teorie sono ancora oggetto di studio e dibattito, e al momento non esistono prove concrete a sostegno di queste ipotesi.
Nonostante ciò, il viaggio nel tempo rimane un sogno per molti, un'idea affascinante che continua a stimolare la nostra immaginazione. E chissà, magari un giorno la scienza riuscirà a svelare i segreti di questa possibilità, permettendoci di esplorare il passato o il futuro.