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La forma di governo in Italia: la Costituzione e la prassi
All'Assemblea costituente era stato approvato, in sede di sottocommissione, il 5 settembre 1946, un ordine del giorno presentato da Tomaso Perassi, insigne giurista, col quale si faceva la scelta del governo parlamentare, ma si diceva anche che questo avrebbe dovuto essere integrato da strumenti giuridici che valessero a evitare le "degenerazioni del parlamentarismo". Nonostante ciò, il resto della nostra Costituzione risultò al riguardo particolarmente lacunoso. Secondo la Costituzione, è il presidente della Repubblica a nominare il presidente del Consiglio, senza alcuna indicazione sul procedimento da seguire; questo è rimesso tutto intero alla prassi (che è restata quella statutaria delle consultazioni con i rappresentanti delle forze politiche parlamentari). Il governo necessita della fiducia di entrambe le Camere, ma entra in carica prima col giuramento (quest'ultimo avviene...
davanti al presidente della Repubblica, contestualmente alla firma del decreto presidenziale di nomina). Ciascuna camera può approvare una mozione di sfiducia alla sola condizione che sia presentata da un decimo dei componenti e col solo vincolo che non sia votata all'improvviso. Il voto comporta pubblica assunzione di responsabilità da parte del singolo parlamentare, ma basta la maggioranza semplice. Si può aggiungere che la previsione costituzionale dell'espressa fiducia iniziale da parte di ciascuna camera rende in Italia più difficile la formazione di governi di minoranza, diversamente da ciò che avviene in altri paesi. Sicché si può ben dire che nella Costituzione e nella prassi la forma di governo italiana non era riconducibile alla tipologia del governo parlamentare a direzione monocratica. Unica eccezione fu il periodo del centrismo degasperiano. Successivamente, pur avendo lo stessa De Gasperi guidato il governo quasiIninterrottamente dal 1953 al 1992, mai, se non per pochi mesi, il presidente del Consiglio fu anche il leader del partito che forniva la grandissima parte della classe dirigente politica e amministrativa. Sempre, inoltre, i governi furono governi di coalizione o, comunque, si fondarono su una maggioranza parlamentare composita che raggiunse anche sei o sette gruppi diversi. A ciò si aggiunga il dividersi in correnti organizzate in concorrenza tra loro. Ciascun ministro rispondeva più al proprio partito e alla propria corrente che non al presidente del Consiglio, per cui quest'ultimo raramente riusciva a garantire quell'unità di indirizzo che pure l'art. 95 Cost. a lui affida. Ciò aveva ridotto la nostra forma di governo a un singolare esempio di governo a direzione plurima dissociata. Mancanza di una direzione monocratica e instabilità cronica caratterizzarono fino all'inizio degli anni Novanta anche tutti gli altri livelli di governo.
Ciò dette luogo, attraverso le assemblee rappresentative di cui si esaltava una presunta centralità, a un sistema integralmente affidato alla mediazione gestita dai gruppi dirigenti di partito ai vari livelli, non senza una forte tendenza centralizzatrice che portò, in molti casi, a decidere a Roma chi dovesse essere eletto presidente di una regione o sindaco di un grande o medio comune.
6. LA FORMA DI GOVERNO IN ITALIA: LE TRASFORMAZIONI
Il funzionamento della forma di governo quale descritto nel paragrafo precedente cominciò a manifestare segni di crisi nella seconda metà degli anni Settanta. Governabilità e stabilità cominciarono a essere percepiti come condizioni indispensabili di sviluppo, difficilmente compatibili con il governo a direzione plurima dissociata di cui si è parlato. Nella dimostrata indisponibilità dei partiti dell'epoca a innovare le istituzioni, si avviò un tentativo di riforma fondato sugli
strumenti giuridici che si potevano rinvenire in Costituzione, usati, percosì dire, ai limiti delle loro potenzialità. Si fece così ricorso alla strategia dei referendum popolari per costringere il parlamento dei partiti a cambiare, partendo dalla regola base della politica nelle democrazie rappresentative, tanto più se parlamentari: il sistema elettorale. Trasformando in maggioritario il sistema proporzionale su cui quella forma di governo si era fondata si pensava di poter perseguire più scopi:
- instaurare una competizione bipolare per permettere l'investitura popolare del governo;
- imporre un salutare ricambio di classe politica;
- porre fine al correntismo che minava dall'interno i partiti e ne complicava i reciproci rapporti;
- moralizzare la vita pubblica;
- semplificare il sistema dei partiti.
Sia nel 1994 sia nel 1996 sia, ancor più, nel 2001 una maggioranza e un presidente del Consiglio emersero con sufficiente nitidezza.
Dal voto; così anche nel 2006 e nel 2008 con la legge elettorale nel frattempo nuovamente modificata. La logica della competizione politica è così diventata decisamente bipolare, sia pure fra resistenze mai del tutto superate (a causa della logica competitiva all'interno delle stesse coalizioni, fra partiti alla ricerca di quella "visibilità" di cui nessuna forza politica riesce a fare a meno).
Una somma di ulteriori fattori, alcuni già delineatisi in precedenza, hanno concorso nel contempo a rafforzare la figura del presidente del Consiglio come mai era avvenuto prima.
Si può dire in conclusione che l'ordinamento italiano si è andato orientando verso governi di legislatura a direzione monocratica, fondati su coalizioni formate prima del voto e dal voto poi legittimate. Questa evoluzione, è stata messa in dubbio dalla crisi del governo Berlusconi IV, seguita dalla formazione di un governo "tecnico" e
dall'esito senza vincitori delle elezioni del 2013, imponendo faticosissime coalizioni tra forze politiche presentatesi in contrapposizione l'una all'altra. 8. La sovranità popolare 1. LA SOVRANITÀ APPARTIENE AL POPOLO "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione": così recita il secondo comma dell'art.1 Cost. e raramente una carta costituzionale ha voluto affermare in modo più netto il principio di sovranità popolare. Molte costituzioni della seconda metà del XX secolo riprendono quella della nostra Costituzione. Come attestano i lavori dell'Assemblea costituente, fu scritta così per dire che: a. Il popolo è il titolare in senso giuridico della sovranità; b. Il popolo mantiene della sovranità continuamente il possesso; c. Il popolo non può rinunciare alla sovranità e non può dunque trasferirla a nessun singolo individuo.rappresentativa. Questo significa che il popolo elegge i propri rappresentanti che agiscono in suo nome e per suo conto. Tuttavia, la sovranità popolare non si esaurisce nella sola elezione dei rappresentanti, ma si manifesta anche attraverso la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica. Questa partecipazione può avvenire tramite referendum, consultazioni popolari o altre forme di democrazia diretta. In questo modo, il popolo ha la possibilità di esprimere la propria volontà e influenzare le decisioni politiche. La sovranità popolare è quindi un principio fondamentale dell'ordinamento italiano e costituisce la base della legittimazione del potere costituito.governante: formula secondo la quale è il popolo stesso ad assumersi in prima persona la responsabilità del proprio destino. Nel contesto storico dell'Italia che aveva appena superato il fascismo, porre la sovranità del popolo alla base dell'ordinamento costituzionale significava voler sancire nel modo più solenne il rovesciamento dell'impostazione statolatra che si era affermata nel Ventennio. Ma significava anche prendere le distanze dalla teoria liberale ottocentesca che aveva parlato di sovranità nazionale proprio per affermare che l'unica legittima forma di Stato fosse quella rappresentativa pura, fondata sul suffragio ristretto della sola borghesia, vera interprete della nazione, nella quale il concorso dell'elettore si doveva esaurire nel votare per i membri della camera elettiva. Ciò non vuol dire che lo Stato come persona giuridica non mantenga la sua posizione di supremazia all'interno dell'ordinamento, maciò significa che lo Stato è uno degli strumenti dell'avolontà popolare. Ma cosa si intende per popolo? Il popolo in senso giuridico è l'insieme di tutti coloro che sono legati all'ordinamento giuridico da un vincolo particolare che si chiama cittadinanza. L'insieme dei cittadini costituisce il popolo. Invece la popolazione è l'insieme di tutti coloro che si trovano entro i confini di un qualsiasi ente territoriale: si tratta di una nozione che non appartiene tanto al diritto quanto ad altre scienze. Il popolo, dunque, per un verso è parte della popolazione che si trova nel territorio di uno Stato; per un altro verso non si trova tutto dentro i confini dello Stato, ma può anche richiedere all'estero. Diverso ancora è il concetto di nazione, che identifica non un rapporto giuridico ma un vincolo sociale e, a volte, politico: quello che unifica e accomuna per tradizioni, storia, lingua, religione, origini etniche uninsieme di persone fisiche. In Italia vi sono varie minoranze etnico-linguistiche e, d'altra parte, minoranze italiane vivono nei confini di altri Stati. Va detto che nella nostra costituzione è presente la nozione, per questo motivo giuridicamente rilevante, di "italiani non appartenenti alla Repubblica", con riferimento a coloro che, pur di nazionalità italiana, cittadini della Repubblica non sono: la legge può garantire loro, tuttavia, lo stesso trattamento dei cittadini.
Il vincolo di cittadinanza determina un vero e proprio status giuridico, vale a dire una somma di diritti e di doveri che da esso derivano. Si deve ritenere che i diritti e i doveri di cui ai titoli I, II e III della parte I della Costituzione per lo più si applichino a tutti, anche a coloro che i cittadini non sono.
9. L'ordinamento italiano e la sua evoluzione
1. OGNI ORDINAMENTO È SEMPRE IN TRANSFORMAZIONE
Il mutare della società influisce nel tempo anche
sull'ordinamento costituzionale con o senza adeguamento formale del testo della costituzione. Ciò dipende anche dal modo in cui il testo scritto è formulato. Quando