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ATTEGGIAMENTO

L’atteggiamento è stato definito in differenti modi nel corso del tempo. Tra le definizioni più

influenti troviamo quella di Allport che definisce gli atteggiamenti come «uno stato mentale,

organizzato dall’esperienza, che esercita una influenza sulle risposte dell’individuo nei confronti di

tutti gli oggetti e situazioni con cui è in relazione».

L’atteggiamento sembra avere tre caratteristiche peculiari:

1. è relativamente permanente nel corso del tempo;

2. implica sempre un certo grado di astrazione, consentendo una generalizzazione a più oggetti,

persone ed eventi che costituiscono la realtà dell’individui;

3. hanno sempre una rilevanza sociale, influenzando la percezione individuale in relazione agli altri

e agli oggetti della realtà.

Il modello a 1 componente considera l’atteggiamento di natura effettiva. Il modello a 2 componenti

prende in considerazione anche una dimensione cognitiva. Il modello più utilizzato per spiegare gli

atteggiamenti è quello a 3 componenti: dimensione affettiva (emozione che suscita l’oggetto nella

realtà), dimensione cognitiva (quanto è forte, quanto è radicato l’atteggiamento), dimensione

conativa (effetto/comportamento che ho nei confronti dell’oggetto nella realtà).

Perché sviluppiamo degli atteggiamenti nei confronti della realtà?

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Funzione utilitaristica = ho un atteggiamento perché quell’oggetto è utile, mi dà un vantaggio. Lo

faccio perché mi dà piacere (ad esempio mangiare fast food).

Espressione valoriale = l’atteggiamento può essere dovuto ai valori che abbiamo, tendiamo a

creare degli atteggiamenti favorevoli/funzionali ai nostri valori.

Funzione difensiva del sé = l’atteggiamento può essere una resistenza nei confronti di qualcosa per

difendermi oppure perché percepisco una mancanza.

Funzione cognitiva = l’atteggiamento è guidato da ordine, equilibrio, schemi cognitivi che ci fanno

sentire “sicuri” nei confronti di quell’oggetto.

Come funziona la transizione da alimenti di origine animale ad alimenti di origine vegetale? Gli

alimenti vegetali vengono prodotti in modo che assomiglino a quelli di origine animale in modo che

le persone abbiano degli atteggiamenti positivi nei confronti dei prodotti vegetali. Viene sfruttata la

funzione cognitiva per la quale sviluppo un atteggiamento positivo su certi oggetti (in questo caso

la carne) e questo lo posso traslare su oggetti simili (quindi i burger vegetali che sono simili ai

burger di carne vera).

Relazione tra atteggiamenti e comportamenti:

Ci sono 3 modelli: modello aspettativa-valore, teoria dell’azione ragionata e teoria del

comportamento pianificato. Sono modelli che cercano di spiegare la reazione tra atteggiamento e

comportamento.

Modello aspettativa-valore: Fishbien scrive una formula per capire come un oggetto viene valutato

nella realtà.

= ∑ ∗

=1

• A = atteggiamento finale

• n = numero di credenze / attributi sull’oggetto

• C = credenza / attributo sull’oggetto

• V = valore e importanza soggettiva attribuita a quell’attributo.

Noi ci aspettiamo degli attributi all’interno di un oggetto, ma gli attributi vanno moltiplicati per il

valore che quell’attributo ha per noi. Quindi l’atteggiamento finale è la sommatoria tra il prodotto

dell’attributo e l’importanza/valore che quell’attributo ha per me.

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L’essere umano tende a massimizzare ciò che è piacevole quindi la scelta che guida il

comportamento è una sommatoria di queste componenti e quindi la scelta va verso un oggetto che

massimizza il piacere.

Teoria dell’azione ragionata: per sviluppare un comportamento bisogna valutare l’atteggiamento

che io ho nei confronti del comportamento. Ci sono due variabili che lo predicono: insieme di

credenze personali e l’importanza soggettiva attribuita alle credenze (è un po’ lo stesso

meccanismo di prima). Cosa c’è, però, da tenere in considerazione? Le influenze esterne, perché

noi viviamo in un contesto, in una società. Questa è l’altra variabile considerata. Quindi in questa

teoria si considerano: l’atteggiamento verso un comportamento e la norma soggettiva.

Questa teoria sostiene che si predice l’azione/comportamento dall’atteggiamento verso il

comportamento e dalla norma soggettiva. L’atteggiamento però non basta per predire il

comportamento perché prima c’è l’intenzione.

La teoria dell azione ragionata

Credenze individuali sul

comportamento Atteggiamento

verso il

Importanza soggettiva delle comportamento

credenze Azione /

Intenzione comportamento

Aspettative altrui Norma soggettiva

Motivazione a conformarsi

La teoria del comportamento pianificato

Questo approccio è risultato piuttosto utile per spiegare una dimensione soggettiva e sociale nella relazione tra atteggiamento e comportamento .

Teoria del comportamento pianificato: integra i due modelli precedenti e aggiunge una variabile,

Tuttavia, le prime critiche hanno da subito evidenziato come questa teoria fosse in grado di spiegare il legame da una prospettiva di totale controllo

dell individuo . Questo approccio presuppone infatti che l individuo sia sempre in controllo delle proprie azioni , riuscendo a valutare credenze

Il modello dell azione ragionata viene quindi ampliato da A zen nel 1989 ed è oggi noto con il nome di Teoria del comportamento pianificato Theory

individuali e di pressione sociale. Il modello è stato quindi ampliato da A zen qualche anno dopo (1989), includendo un altra componente: il controllo

of planned behavior. Questo approccio teorico aggiunge alla componente individuale e a quella sociale, il grado di controllo percepito sull azione.

percepito.

che è il controllo percepito.

Barriere inconsce, emozioni, sentimenti di bassa auto-efficacia (self-efficacy), scarso controllo su sé stessi (self-control) risultano di fondamentale

importanza e contribuiscono in misura maggiore a identificare le variabili latenti che intervengono nella relazione tra atteggiamento e comportamento .

Credenze individuali sul Atteggiamento

comportamento verso il

comportamento

Importanza soggettiva delle

credenze Azione /

Intenzione Comportamento

Aspettative altrui Norma soggettiva

Motivazione a

conformarsi Controllo percepito del

Credi individuali sul Controllo comportamento effettivo

controllo percepito /reale

Spesso il controllo percepito è in grado di predire direttamente il comportamento, senza passare

per l’intenzione.

Controllo percepito -> il controllo percepito è la valutazione individuale delle proprie capacità

basata su 3 parametri:

- influenza passata: esperienze pregresse che hanno rafforzato o indebolito la percezione di

autoefficacia individuale.

- influenza vicaria: si riferisce a esperienza passate non mie ma in cui io mi identifico (magari di

amici, famiglia, influencer). 34

- influenza degli altri significativi: gli altri significativi sono i soggetti con cui abbiamo un profondo

legame emotivo (come i nostri partner) o soggetti competenti/autorevoli sul tema (come i medici).

La teoria del comportamento pianificato è risultata piuttosto efficace nel predire il comportamento

alimentare con una notevole quantità di studi a riguardo, ma risulterebbe meno efficace nella

modifica del comportamento stesso.

Una critica a questo approccio riguarda il fatto che non c’è sempre una connessione tra l’intenzione

e il comportamento finale. Le credenze individuali sono difficili da scardinare quindi spesso le

credenze hanno un grande impatto sul comportamento. Inoltre il contesto di nascita è diverso

quindi ci sono così tante variabili che è difficile usare questi modelli nella realtà, sono difficili da

applicare.

Intenzioni di implementazione (implementation intention): c’è una relazione lineare tra intenzioni

e comportamenti? Degli autori ci dicono che ci sono delle variabili da analizzare. Le intenzioni

spesso non sono predittive perché c’è un contesto che non consente di avere le risorse per

cambiare. Dire “voglio fare qualcosa” e poi effettivamente farlo non è la stessa cosa, perché

dipende innanzitutto dalle risorse che un soggetto ha a disposizione, dal contesto in cui vive.

Un’altra ragione è dovuta al fatto che spesso un obiettivo a lungo termine non è così motivante

come un obiettivo a breve termine. Esempio: se sto cercando di dimagrire la ricompensa a breve

termine può essere la pizza con gli amici che crea una ricompensa immediata anche se crea un

danno all’obiettivo a lungo termine (dimagrire).

Un’altra ragione è l’elaborazione dell’intenzione: il soggetto ha compreso in quale contesto può

mettere in atto il cambiamento? Al di là delle intenzioni, so come fare per modificare il

comportamento? Su quest’ultimo punto nasce il concetto di implementation intention -> è una

tecnica ancorata alla creazione di piani con cui l’intenzione può essere convertita in azione.

Piuttosto che basarsi sull’intenzione generica, i soggetti dovrebbero elaborare un piano concreto

tale per cui mettono in atto un determinato comportamento in risposta a certi stimoli. Si basa sulla

logica “se succede questo, allora mi comporto così”. Esempio: “se devo andare a fare la spesa,

comprerò almeno 5 frutti diversi”; oppure “se devo fare uno snack la mattina, allora sarà frutta”

quindi sono dei piani pratici, basati sull’azione.

Perché dovrebbe funzionare una cosa del genere, basata sul “se”? Perché si attivano dei processi

mentali che ci consentono di rappresentare l’immagine da un pdv cognitivo. Se dico “se siamo al

supermercato” si attiva l’immagine di noi al supermercato. Sostanzialmente, immaginare in modo

preliminare in quali situazioni/contesti mi troverò, mi renderà pronto e in grado di cogliere

immediatamente i segnali ambientali in grado di produrre l’azione. Infatti, i segnali ambientali

hanno molta più facilità nell’essere riconosciuti e associati a una situazione, se questa è stata

precedentemente rappresentata mentalmente.

L’”allora” permette di creare un collegamento automatico tra stimolo e risposta. Gli stimoli

ambientali, i contesti, e le situazioni immediatamente riconosciute grazie alla precedente

rappresentazione mentale (Se…) attivano una risposta comportamentale (…allora) immediata.

35

Funziona questo metodo? Relativamente: è

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/06 Psicologia del lavoro e delle organizzazioni

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lauuuraaa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia delle scelte alimentari e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Banterle Alessandro.
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