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Osservazioni e caratteristiche
● Segno di interpunzione → la virgola, ad esempio, è come se sostituisse il verso in poesia, si può
considerare quasi connubio di lirica e narrativa
● Assonanze (nero-crespo)
● Incisi
● Minuzia descrittiva, tutto “liricizzante” alla Balzac, minime ma omogenee
● Nomi e cognomi “super liquidi” → musicali
● “Ella mi terrà fra le sue braccia” → discorso diretto non esposto, un breve discorso interiore
“logicizzato” retto dalla terza persona, diverso da quello di Virginia Woolf.
● “Imaginò” → forma arcaizzante
● “Una emanazione indefinibile” → unione di termini lunghi
● Per non ripetere “profumo”, usa un sinonimo grecizzante, nobilitante → “aroma”
● “Mentre gli occhi rimanevan tristi pur sempre” → Alla fine, la prosa scivola verso la poesia
● “La speranza era in lui, di baciarle la mano, prima ch’ella partisse” → ogni atto prende consistenza,
seppur l’azione sia ridotta al minimo.
● Gli aggettivi in “mente” terminano spesso i periodi dannunziani
● Ripetizione immobilizzante, non una semplice frase relativa
● “Omero” → per “spalla”
● Musica classico-romantica tedesca in voga all’epoca, era un dilettante di musica
● “Scendeva nel silenzio” → allitterazione, forse riprende passo promessi sposi della peste
● “Udivasi” → Legge di Tobler-Mussafia, era già scomparsa da anni: in Dante era linguistica, in
d’Annunzio è stilistica
● “Occhi come diamanti e diamanti come occhi” → scintillano nell’androne prima che si separino
● Cercare il collo per baciarla non bastava, va sempre verso l’alto → cerca il collo tra la pelliccia
profumata.
Lo scarto dalla norma non c’è: nella narrazione realistica è sempre trascesa verso l’alto del sublime,
letterario, arcaico, esotico… Vi è una continua esposizione della lingua verso un registro aulico, dove
non si contempla lo scarto dalla regola.
→ Operazione di carattere aristocratico → a d’Annunzio interessano questi ambienti, è un corrispettivo
della città di cui scrive (roma borghese che deve mantenere i caratteri della Roma aristocratica), ambienti e
personaggi raffinati, che si muovono tra le raffinatezza del tempo, artistiche, letterarie, musicali.
La lingua deve rispecchiare ogni aspetto, è un corrispettivo, sistema ideologico di d’annunzio in cui si
entra attraverso la lingua. Si tratta di una coerenza di scelte linguistiche che è rivolta tutta verso l’alto →
non è detta che sia un metodo: ci sono grandi artisti in cui si vede grande discrepanza tra lo stile e il
contenuto (come in Leopardi), stile e contenuto sono a contrasto. Qui, invece, c’è una corrispondenza
perfetta.
Stilistica e metrica
Come si può utilizzare la metrica in tutti i suoi aspetti (rima, metro…) per capire un testo?
Anche la scelta del metro si può considerare uno scarto dalla regola: esso è qualcosa di artificiale, di
rituale, di astratto rispetto alla lingua comune, è qualcosa che allontana. L’importante è considerare questi
fenomeni non isolatamente ma nel complesso dell’opera, farli interagire con altri elementi:
- Come quando Dante decide di utilizzare la terzina nella commedia e determinate rime (facili,
ABA BCB CDC DED), lo fa con una determinata finalità, ovvero perché ogni terzina è a sé stante
e racchiude in sé un ragionamento. La terzina sembra chiudere e invece apre e chiude allo stesso
tempo, si può moltiplicare, la rima intermedia diventa preponderante nella terzina successiva, le
rime sono concatenate.
- L’ottava dell’Ariosto, invece, sembra inizialmente totalmente aperta e poi si richiude
improvvisamente (ABABABCC) con una rima baciata, poi si riprende con la strofa successiva.
Spesso il poeta ha bisogno di unire le ottave e usa tutta una serie di artifici, quali la ripetizione, ad
esempio (come nel poema cavalleresco).
- Ci sono anche metri statici, tra cui la canzone. È un metro che ripete per tutte le stanze lo stesso
schema rimico e ritorna per tutte le strofe di cui è composta; è un metro speculare rispetto al
movimento della terzina e al movimento-stasi dell’ottava.
Lo stesso avviene con le rime:
- difficili → bloccano
- facili → estremamente scorrevoli
Nell’ottica della canzone prevalgono le facili, permettono lo sviluppo a maggiore fluidità delle stanze, le
rime difficili impedirebbero questo.
Le rime possono essere di tipo vario, sono sorprendenti → quando si congiungono parole in modo
musicale anche se non si accosterebbero mai normalmente. Nei Fiori del male, Baudelaire usa rime:
- oppositiva → rimare due parole dal significato quasi opposto
- sinonimica → quasi lo stesso significato o stesso campo semantico
- equivoca → crea equivoco (désastre - des astres)
- ricca → quando rima una parte della parola
- pseudo derivativa → sembra che l’una derivi dall’altra
- dotta → quando rimano due parole difficili
- paronomastica → sembrano quasi due parole uguali (volonté - volupté)
- dissonante → le parole appartengono a un campo semantico diverso (positivo-negativo) → usare
la rima dissonante non significa che essa abbia sempre lo stesso significato
(positivo-negativo/negativo-positivo) ma può averne anche un altro (Nietzsche - camicie,
significato parodico). Si deve contestualizzare e spiegare in base al testo: da una parte può avere
un valore parodico ma dall’altro, no.
Il testo singolo
La critica stilistica può essere applicata a diversi livelli (alla commedia di Dante, alla pubblicità della
Ferrarelle, ai discorsi politici…), anche a un testo singolo o all’insieme dei testi, allo stile di un autore o di
una corrente.
Nel manuale si comincia dal testo singolo per passare al macro-testo (insieme di testi singoli), che ha dei
precisi caratteri stilistici che danno unità: non solo vicinanza tematica ma anche modalità con cui vengono
composti i testi singoli. Spitzer ha studiato lo stile dei simbolisti francesi, altri sull’ermetismo italiano.
Dal singolo testo all’autore, allo stile, alla corrente e così via.
Caratterizzare stilisticamente testo → comprenderlo nella sua essenza e significato. Lo stile corrisponde
spesso al tema, al significato. Mengaldo lo esemplifica a pg. 59 del manuale attraverso un capitoletto
simbolo della letteratura italiana, La Storia d’Italia di Francesco Guicciardini, un grande storico
contemporaneo di Machiavelli ma molto diverso da lui, nonostante la vicinanza. Oltre ai "Ricordi"
(ammonimenti sul vivere la vita saggiamente), c’è la Storia d’Italia, dal 1492, la morte di Lorenzo il
Magnifico al 1534, racconta le invasioni degli stranieri in Italia che verrà sanata solo durante il
Risorgimento.
Opera pubblicata postuma, nel 1551, composta alla fine del ‘500. Poche righe da cui emerge Guicciardini,
come e perché scrive l’opera (dallo stile al tema, dal tema allo stile, dal significante al significato e
viceversa, questo è il lavoro degli studiosi).
Il capitolo inizia con un verbo lungo, quasi ufficiale, in modo solenne. Una ventina di righe, molte virgola
e un punto solo che non separa, perché seguito da una sorta di congiunzione relativa (coniunctio relativa)
che tende ad unire i due grandi periodi.
Come sono composti questi due periodi?
A incastro. Gerarchia di subordinate → subordinate che hanno sotto subordinate (esplicite hanno implicite,
importanti e secondarie):
- temporali → la maggior parte (Dappoi + ipallage “arme dei franzesi”)
- causali → tipiche di una storia, per disporre la materia cronologicamente e scoprire causa degli
eventi. Infatti, al centro del periodo, c’è la parola “cognizione”, che indica la necessità di capire
per tutti dello storico.
Questo rapporto tra l’io (che si fa interprete di tutto) e il tutti viene messo in evidenza con “io” e poi
procede con “alla memoria nostra”. L’io si assume il compito di parlare e capire per tutti scrivendo. Questo
ricorda una fonte particolare: Dante → nel mezzo del cammin di nostra vita,/ mi ritrovai…, anche se non
mette “io” all’inizio.
→ Guicciardini mette in fondo alla frase parole semanticamente molto forti → “cominciorono con
grandissimo (superlativo)... per turbarla”. Inoltre incastra due subordinate, una temporale e una relativa. /
Accidenti → ancora un finale con parole lunghe e superlative.
→ egli ama distinguere → gli avvenimenti non hanno mai una causa sola, sono complessi e mai divisi,
vanno compresi nelle loro specificità → esempio: frase relativa che termina con vessati: gli italiani lo sono
per: - l’ira di Dio
- per le loro impietà
- per le loro scelleratezze
Quindi, distingue completamente, non c’è mai una sola ragione. Dalla secondaria si va a incastro ad
un’altra secondaria poiché non c’è mai una sola causa ma più cause.
→ “Cognizione”: ancora un altro inciso con forte assonanza, non solo gravi ma anche vari.
→ “Santiferi”: latinismo, altro finale lungo → rendere salutifere
→ “Cose umane”: paragonate a un mare sconvolto dai venti → + subordinata “perniciose”
→ Altra temporale “quando” interrotta da 3 gerundive → duplice motivazione (o errori o cupidità).
→ “O per poca prudenza o per troppa ambizione” → creano nuove turbazioni → riprende il “turbato”
iniziale.
La complicazione sintattica di questo periodo non è fine a sé stessa o un gioco retorico, ma corrisponde
alla realtà, ci sono due elementi in conflitto:
- complessità straordinaria realtà, innumerevoli cause
- intelligenza dell’io
Questi elementi si devono incontrare: la capacità di cognizione dell’io deve essere capace di cogliere
sfumature della realtà, e lo fa attraverso questa prosa in cui il periodo principale è interrotto per
denominare la causa interrotta a sua volta. tutto deve essere spiegato gerarchicamente:
- frase principale
- secondaria
- esplicita
- implicita…
Solo avendo una capacità di analisi adeguata alla realtà si può comprendere il mondo. Dallo stile si risale al
significato e alla concezione del mondo di Guicciardini, della realtà frammentata e non lineare, in cui si
deve esercitare sempre la nostra forza di analisi. Sol