TERZA RICERCA
E.P. Sanders
Paul and Palestinian Judaism (1977): La lettura delle Lettere di Paolo ha spesso enfatizzato
aspetti secondari, spostando l’attenzione dai punti centrali. Esse sono gli scritti più antichi del NT
e mostrano la separazione della prima comunità cristiana dal giudaismo. Galati e Romani sono
autentiche e centrali per comprendere la fede paolina.
Paolo, nelle Lettere ai Galati e ai Romani, sottolinea con forza che la salvezza non dipende
dalle opere della Legge né dalle capacità umane, ma unicamente dalla fede in Cristo (pistis).
In Gal, scrive in tono furioso alla comunità da lui fondata, accusando alcuni di “sovvertire” il
Vangelo (µεταστρέφειν, Gal. 1,7) e ribadendo che la fede in Cristo non è un’aggiunta all’alleanza
ebraica, ma una realtà nuova e distinta, aperta anche ai pagani. Il termine ἀνάθεµα (Gal. 1,8-9)
indica una condanna solenne e definitiva per chi devia dal Vangelo autentico. Lo scontro con
Pietro e il caso di Tito mostrano come la giustificazione non venga dalle opere della Legge, ma
dalla fede, che vale per tutti, ebrei e non.
Rm Paolo riprende e radicalizza un principio stoico: secondo Epitteto, l’unico vanto possibile è
la scelta morale (proairesis), la capacità dell’uomo di dirigere la propria volontà secondo la
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ragione. Paolo lo estremizza: nessun vanto morale può salvare l’uomo, perché la salvezza non è
conquistata, ma donata mediante la pistis. In altre parole, la fede annulla ogni pretesa umana di
fondare la propria salvezza sulle proprie forze, ribaltando il concetto stoico di vanto e
sottolineando che la giustificazione è gratuita e universale.
Rm, (cc.4,5,6): Paolo utilizza Abramo come esempio fondamentale: “Ad Abramo la fede fu
computata a giustificazione”, indicando che Abramo è riconosciuto giusto per fede, prima ancora
della circoncisione, e rappresenta così il padre sia dei pagani sia degli ebrei. La grazia (charis)
non dipende dalla ragione o dalla virtù umana, ma è un dono gratuito. Nei capitoli successivi,
Paolo paragona Adamo e Cristo: il battesimo è concepito come immersione (baptizō), senza
riferimento al pentimento inteso come atto morale; e vivere cristianamente significa “camminare”
(peripatéō) secondo la nuova condizione donata da Dio.
Paolo e il giudaismo Palestinese. Conclusioni. (Cultura ebraica del I sec. d.C.).
1. la novità paolina secondo Sanders non sta nel contrapporre opere/grazia come da
storiografia e tradizione luterana; e qui risiede il fraintendimento peggiore nella lettura di
Paolo. La sua novità non è stata quella di contrapporre opere/fede (presente in altra misura
quale?) Anche nella letteratura giudaica del periodo, ma il porre la differenza tra entrare in
una condizione e restarci, poiché ‘’la salvezza è per grazia, ma il giudizio avviene secondo
le opere’’ questo vuol dire che salvezza (giustizia) è diversa dal guadagno della salvezza
(legge dell’amore).
2. Nel giudaismo, la giustizia consiste nell’obbedire alla Torah e nel rimanere dentro
l’alleanza con Dio, come esprime la parola 1(tzedakà). Anche Abramo, all’inizio, agisce
per fede accettando la promessa di discendenza (zerāh, il seme). Per Paolo, invece, essere
Proairesis stoica “ἐφ’ ἐµίν” (eps’ emín) Epitteto sottolinea che il dominio della volontà è interno e personale,
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non condizionato da fattori esterni.
Aristotele — ὄρεξις βουλητική, orexis boulētikē: rientra nella distinzione aristotelica tra appetiti razionali
(boulētikē) e irrazionali (epithumētikē), la tendenza desiderativa razionale, la parte della volontà che mira al
bene secondo la ragione. Indica la capacità di deliberare e scegliere in vista di un fine buono, legato all’etica
della virtù. 8
salvati da Cristo indica un modo di entrare nella salvezza, non semplicemente di rimanere
dentro l’alleanza. Nella Lettera ai Galati, l’espressione “opere della legge” si riferisce ai
precetti rituali del popolo ebraico, che sancivano l’ingresso nell’alleanza, mentre per Paolo
l’entrata in Cristo non richiede l’osservanza di tali norme: la giustificazione non passa più
tramite i riti, ma per fede (dikaios). δικαιούσθαι (dikaiousthai): Questa è la parola chiave
per capire il pensiero di Paolo. È il verbo "essere reso giusto" o "essere giustificato” . La
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sua forma al passivo indica che non è un'azione che l'uomo compie da sé, ma un atto che
viene fatto da Dio a favore dell’uomo.
3. Peccato, pentimento: אטח (chet), ἁµαρτία (hamartia). il termine ebraico indica ‘peccato’
e significa ‘mancare il bersaglio’. nel contesto biblico significa fallimento nel vivere
secondo la volontà di Dio, un allontamento da ciò che è giusto. in Paolo il peccato è
personificato e indica passaggio di dominio, quindi il peccato hamartia viene visto come
un personaggio, e un cambio di signoria. la salvezza in Cristo è quindi un cambio di
signore. i manoscritti di Qumran, come il Rotolo di Isaia (200-125 a.C.), mostrano la
fedeltà alla Legge come un modo per mantenere il proprio status nel patto con Dio. (Rm
7:17, 20) he hamartia: ciò che causa il chet, cioè fa mancare il bersaglio. L’arciere mira al
bene ma tale forza lo devia, nonostante questo può centrarlo lo stesso (Spirito di Cristo
interviene)
4. Moire a: Secondo Sanders: nel giudaismo rabbinico la morte è vista come espiazione
per una trasgressione (“morire per un peccato”). Paolo invece propone qualcosa di diverso:
“morire al peccato”, cioè interrompere il potere che il peccato esercita sull’uomo e che lo
rende schiavo. La morte con Cristo libera da questo dominio. Secondo Salmeri: il greco
ἀποθνῄσκω + dativo (“morire a”) può avere anche valore causale, quindi significa “morire
a causa di qualcosa”. In questa prospettiva, anche Paolo conserva un senso di causalità: si
muore a causa del peccato, condividendo la morte espiatoria di Cristo, e poi si partecipa
alla vita nuova. In conclusione: in Paolo convivono entrambe le sfumature — “morire
rispetto a un potere” (liberazione dal dominio del peccato) e “morire a causa del peccato”
(partecipazione al sacrificio di Cristo). Cadrà l’idea di Sanders e rimane quella di morte per
trasgressione come per il giudaismo.
5. Battesimo: Per Paolo, attraverso il battesimo si condivide la morte di Cristo: questo non
significa solo un’attesa della risurrezione futura, ma già ora una vita nuova (Rm 6). In
Romani Paolo parla infatti di vita presente, mentre in Colossesi (Col, 3:1-4) la prospettiva
è più orientata alla risurrezione futura, come evento che deve ancora compiersi . Qui
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emerge il problema centrale: diventare “una cosa sola con Cristo”, cioè un
partecipazionismo escatologico. Il pensiero paolino, però, è stato presto reinterpretato.
Gal. 2,17: "se cerchiamo di essere resi giusti in Cristo" (in greco, δικαιοῦσθαι ἐν Χριστῷ). Questa
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espressione mostra che la giustizia non è qualcosa che si ottiene con il proprio sforzo, ma una nuova
condizione che si riceve in Cristo, contro ogni logica umana, come sottolinea il testo.
Idea personale: quando Paolo scrive ‘’quando comparirà Cristo, che è la vostra vita, allora anche voi
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apparirete nella sua gloria’’, sembra fare riferimento alla sua esperienza di apparizione e vita nuova in Cristo.
Quello che sembra rivolto al futuro in realtà è rivolto al passato: non vedo escatologia in questi termini, ma
qualcosa che appartiene a un linguaggio tipicamente mistico, che tende ad assolutizzare l’esperienza personale
e dividerla in progressioni, per far capire che ci si rende conto della verità a partire da una condizione di
ignoranza. Quindi si creano tre progressioni: vita vecchia nell’ignoranza ovvero della mancanza di coscienza
di vita, morte del battesimo in Cristo, vita nuova ovvero Risurrezione. Vita nuova che deve aspirare al bene e
segue la retta via secondo la volontà. 9
Nella storia del cristianesimo, il suo modello è stato ricondotto dentro lo schema del
nomismo del patto tipico del giudaismo: partecipazione alla comunità e attesa della fine.
Così il cristianesimo ha finito per omologarsi allo schema ebraico dell’alleanza, più che
conservare l’originalità del modello paolino. Secondo Salmeri, questa è una lettura un po’
riduttiva e frettolosa, perché rischia di appiattire la novità del pensiero di Paolo.
6. Uno dei problemi centrali riguarda il legame tra i concetti paolini e le esperienze a cui si
riferiscono. Appartenenza: nel giudaismo era un concetto chiaro — l’appartenenza a
Israele si riceveva per grazia (nomismo dell’alleanza) ed era evidente nelle sue
conseguenze pratiche. Nel cristianesimo, invece, parlare di “appartenenza a Cristo” (in
Paolo) è meno immediato: significa diventare una cosa sola con lui, ma resta difficile
stabilire a quale esperienza concreta Paolo si riferisca. Il nostro tempo fatica a
comprendere questo linguaggio mistico-esperienziale.
Debito di Sanders verso Schweitzer: Sanders riprende l’intuizione di Schweitzer, che aveva
dedicato la sua opera alla mistica paolina. L’accento cade sulla dimensione partecipativa:
-il battesimo è il rito di ingresso,
-la vita che ne deriva non è empirica ma reale,
-l’individuo è inserito in un destino nuovo che si compirà pienamente quando si realizzerà il
destino stesso di Cristo.
Schweitzer (1930) individua il punto centrale di Paolo nel battesimo: è questa esperienza a
segnare la novità teologica da cui derivano tutti gli altri insegnamenti. A differenza di Lutero, che
vede la giustificazione come fede (fides) astratta, Schweitzer sottolinea un elemento di unione
reale con Cristo, un’esperienza concreta di partecipazione alla sua morte e resurrezione. Sanders
riprende questo concetto, traducendolo in termini di partecipazionismo: il credente, attraverso il
battesimo, diventa partecipe della vita e della morte di Cristo.
Sanders interpreta l’esperienza battesimale di Paolo come partecipazionismo: il credente entra
in
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