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PRIMO FRONTE DI INCRINATURA
Tornando al fronte giuridico, il primo fronte d’incrinatura è rappresentato dalla questione sociale.
giurista di fine ‘800, all’Università di
Giuseppe Salvioli, nel 1890 tiene una produzione dal titolo Difetti sociali del Codice civile
Palermo. Egli contesta il timbro individualistico del Codice civile e la concezione astratta degli individui che, nei fatti, finisce per
privilegiare coloro che muovono da posizioni di maggior forza socioeconomico culturale. La società emergente dal Codice è di uguali
che interagiscono in uno spazio di interazione competitiva di individualità singole: il mercato. Il Codice civile tende a non considerare
le asimmetrie, differenze di forza contrattuale e socioeconomica passanti tra individui. In questa visione, il contratto è visto come
l’incontro tra due volontà libere e uguali e non c’è alcuna considerazione del contraente debole. Il giurista, nonché ex Ministro di
grazia e giustizia del Regno d’Italia “è un’amara irrisione parlare di libertà del volere
Emanuele Gianturco, nel 1891, afferma che
e di uguaglianza di diritto a chi muore di fame nei campi e nelle strade”. Insomma, non si può dire al povero che è uguale al ricco.
Uno dei fronti nevralgici per misurare i difetti sociali del Codice è rappresentato da quello che oggi chiameremmo contratto di lavoro
subordinato. Il Codice civile del 1865 non contiene l’espressione “contratto di lavoro”; il rapporto svolto alle dipendenze di un altro
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viene collocato nello schema della locazione (locatio operarum io lavoratore do in locazione le mie energie lavorative al datore
di lavoro che, in cambio, mi paga un salario). La norma di riferimento è l’art. 1627 c. c. del 1865, che espone le 3 principali specie
di locazione di opere e d’industria. Ciò che ci interessa è quella per cui le persone obbligano la propria opera all’altrui servizio, ossia
l’attuale rapporto di lavoro subordinato. In questa visione, il lavoro è considerato come una cosa suscettibile di locazione, al pari di
altre cose spostatili. Quindi, non c’è alcuna considerazione del complesso di valori umani e spirituali, solitamente coinvolti dalla
relazione lavorativa. Non solo, ma anche il contratto di locazione di opere è visto come l’esito dell’incontro tra due volontà libere ed
eguali: non è considerato che in quel contratto vi sono due parti: una più forte (datore) e una più debole (lavoratore). Il Codice non
prevede alcuna protezione per i fatti negativi che possono colpire il lavoratore (non vi è tutela per il licenziamento, né per infortuni,
malattia e vecchiaia).
L’industrializzazione costituisce un elemento che accelera la percezione della gravità del problema non perché la fragilità del
lavoratore inizi con essa, ma perché fa sì che il fenomeno divenga più difficile da eludere ed ignorare, innanzitutto perché il lavoro
industriale si svolge in un posto nuovo: la grande fabbrica, che assieme ai quartieri operai, da luogo fisico diventa identitario,
rendendo consapevoli i lavoratori di una comune sorte, stimolando anche le organizzazioni dei lavoratori e l’idea che debbano
organizzarsi anche per rispondere alla totale sordità dell’ordinamento rispetto ai problemi. Ad aggravare la situazione c’è il disposto
dell’art. nessuno può obbligare la propria opera all’altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa.
1628, secondo cui
È, quindi, vietato il contratto a tempo indeterminato, che mira, seppur solo originariamente, a tutelare il lavoratore. Tale norma,
infatti, è stata creata in un’Italia a prevalente economia agricola e le due grandi tipologie di rapporto di lavoro subordinato, in quel
contesto economico, sono: il lavoro agricolo e il lavoro domestico. Questi due tipi di lavori sono quelli che si prestano, più di altri, a
dar vita a forme di asservimento - quasi - perpetuo del lavoratore alla terra o alla casa presso cui presta servizio. La norma, quindi,
nasce con l’idea positiva di evitare l’asservimento del lavoratore; è con l’industrializzazione, però, che mostra tutto il suo potenziale
negativo, trasformando l’operaio non specializzato in una specie di pedina facilmente sostituibile al pari di una merce. Pertanto, l’art.
1628 peggiora la condizione complessiva del lavoratore, divenendo il varco che consente di legittimare, agli occhi della dottrina e
della giurisprudenza dell’epoca, il licenziamento ad nutum (forma di interruzione del rapporto di lavoro che non obbliga il datore di
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lavoro a fornire motivazioni scritte né preavviso a suo piacimento) se non si possono costituire rapporti a tempo indeterminato
e non c’è alcun limite alla facoltà di licenziamento, ergo, il datore di lavoro può licenziare come e quando vuole. Il licenziamento ad
nutum è storicamente uno dei fronti a partire dai quali si comincia a discutere di una figura ancora molto centrale nel dibattito
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giuridico: l’abuso condotta formalmente non vietata dall’ordinamento, che, tuttavia, si reputa lesiva di beni e interessi
del diritto
comunque tutelati dall’ordinamento (es: elusione fiscale = comportamento legittimo, messo in atto da parte di un soggetto nel
tentativo di sfruttare al meglio le norme tributarie in vigore, in modo da ricavarne qualche beneficio).
Nel caso di specie, un rimedio possibile è dare il preavviso di licenziamento o prevedere un’indennità tale da coprire almeno
parzialmente il periodo di disoccupazione del lavoratore. Queste, però, sono voci minoritarie prive di seguito. Si ritiene, infatti, che
questa sia una figura inquinante la linea divisoria tra lecito e illecito e ci si chiede chi debba accertare l’esistenza di una condotta
abusiva (legislatore o giudice?). In sostanza, la figura dell’abuso del diritto è fioriera di grandi incertezze. Chi la contesta resta
ancorato ad una vecchia massima, secondo cui chi esercita il proprio diritto non lede nessuno (= qui iure suo utitur neminem laedit).
L’ordinamento ottocentesco, insomma, non prevede alcuna forma di protezione per il lavoratore. Il diritto ufficiale tende a qualificare
i problemi derivanti dalla questione sociale e dall’industrializzazione come di ordine pubblico che perlopiù sollecitano
comportamenti di tipo repressivo. Nell’ultimo trentennio dell’800 iniziano le prime proteste e i primi scioperi, assiduamente repressi
il contegno dell’ordinamento è, quindi, di tipo repressivo. C’è poi un’altra caratteristica della società
con violenza; industriale che
rompe le tradizionali reti di protezione familiare e comunitaria (piccola bottega e manifattura): il lavoratore industriale è solo,
sradicato da legami sociali e familiari.
In questi anni, una forma di protezione dei lavoratori deriva dalle società di mutuo soccorso (SMS), associazioni fondate dai
lavoratori che costituiscono una sorta di patrimonio sociale, utilizzato per aiutare i “compagni” che dovessero subire un infortunio o
ammalarsi. Viene costituito, quindi, un fondo per fronteggiare eventuali negatività che possono colpire la vita di altri lavoratori (auto-
l’ordinamento
aiuto). Le SMS sono enti che forniscono la prima risposta concreta rispetto al soddisfacimento di bisogni che ancora
ufficiale non vede. Queste realtà sono ben viste anche dalle classi dirigenti perché, rispetto ai sindacati (= soggetti potenzialmente
antagonisti), che nascono negli stessi anni, sono considerate come dotate di minor carica rivendicativa e conflittuale, e come strumenti
che segnalano la capacità delle classi lavoratrici di provvedere autonomamente ai propri bisogni, senza invocare l’intervento
pubblico. Le SMS sono viste anche come strumenti auto-educativi dei lavoratori: stimolano il risparmio nei lavoratori, rendendoli
previdenti e capaci di vivere oltre l’immediato presente e proiettarsi in un futuro e distogliendoli dai vizi. Si tratta, quindi di società
che non si limitano a segnalare i problemi, ma predispongono anche i mezzi per risolverli (il ciclo è virtuoso).
Un’altra ipotesi di protezione della condizione dei lavoratori è quella che ci viene restituita da alcuni villaggi industriali (es: Crespi
d’Adda, vicino Bergamo), in cui si ha la fabbrica con attigue le case degli operai. I villaggi riflettono, fin dall’architettura, una certa
lavoro, ma condiziona l’intera
visione della fabbrica, ma anche delle gerarchie sociali. La fabbrica, infatti, non è solo il luogo di
esistenza dei lavoratori, ispirata a ferrei criteri gerarchici. Le case degli operai sono tutte uguali ed in fila, mentre quelle dei quadri
tra loro. C’è poi una collina su cui ci sono le
più varie, con qualche balcone. Infine, le case dei dirigenti sono ville, tutte differenti
ville del prete e del medico, chiamati a vigilare sulla salute fisica e spirituale della popolazione operaia. Infine, c’è il castello dei
Crespi, imponente e fastoso. In fondo al villaggio c’è il cimitero, ove vi è la tomba dei Crespi, mentre le lapidi allineate in terra sono
quelle degli operai. Oltre ciò, nel villaggio c’è la scuola per i figli degli operai, l’infermeria, la piscina e vengono organizzate varie
attività ricreative. Dunque, le condizioni di vita migliori degli operai della Crespi si inseriscono in una logica inglobante e di controllo
capillare delle esistenze. Crespi d’Adda, ci restituisce l’immagine di welfare aziendale.
dunque, 10
Una risposta del diritto ufficiale la riscontriamo a partire dalla seconda metà degli anni ’70, ove, nella Germania di Bismarck prende
corpo la legislazione sociale e, quindi, anche gli ordinamenti iniziano a captare una parte dei problemi posti dalla questione sociale
e dallo sviluppo dell’industrializzazione. La legislazione sociale si limita ad intervenire solo su alcuni dei più macroscopici effetti
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negativi prodotti dal processo d’industrializzazione (disciplina del lavoro di donne e fanciulli a Crespi d’Adda; la
molto utilizzata
legge sull’assicurazione obbligatoria per infortuni sul lavoro; le prime tutele per le malattie contratte per effetti del lavoro a sostanze
nocive). Trattasi di interventi puntiformi, che non immaginano un intervento sociale complessivo dello Stato tale da toccare una
pluralità di fronti, ma si limitano ad intervenire su evidenti fronti di difficoltà prodotte dal processo di industrializzazione. Inoltre,
dell’industria: è l’industria il motore che attiva
questa legislazione ha precisi destinatari, rivolgendosi in primis ai lavoratori
l’intervento del legislatore. Si rivolge, dunque, a determinati soggetti deboli (donne o fanciulli)