Concetti Chiave
- Il passaggio da governo collettivo a potere personale nei comuni implicava l'assegnazione dell'arbitrium sugli statuti a un signore cittadino.
- I comuni svilupparono statuti propri, noti come ius proprium, distinguendosi dalle leggi imperiali, grazie alla Pace di Costanza del 1183.
- Le modifiche agli statuti comunali erano inizialmente decise dalle assemblee, ma successivamente affidate a commissioni di esperti per maggiore efficienza legislativa.
- Nei regimi comunali, solo una minoranza dei cittadini, definiti cives, aveva accesso al potere politico, escludendo la maggior parte della popolazione.
- Sebbene i comuni non fossero pienamente democratici, il loro sistema politico era comparabile alle polis greche in termini di partecipazione politica limitata.
Il passaggio al potere personale
Il meccanismo del passaggio da un governo collettivo (comune) al potere personale di un signore cittadino prevedeva che l’assemblea dei cittadini (la concio) ad un certo punto trasmettesse a un signore (il dominus) l’arbitrium sugli statuti, cioè la possibilità di cambiare le leggi che regolavano la vita della città. I comuni ottengono la legittimità di produrre dei propri statuti con la Pace di Costanza (1183), delle leggi che prendono il nome di ius proprium (il diritto proprio della città, differenziate dalle leggi dell’impero, come quelle che provenivano dal Corpus iuris civilis, dette ius commune). In una prima fase comunale, le modifiche apportate agli statuti venivano stabilite dalle assemblee, ma ad un certo punto in molte città ci si rende conto che questa mansione è tecnica e richiede competenze specifiche, allora le assemblee nominano le commissioni degli statutari (commissioni nominate apposta per modificare, affinché funzionino meglio a livello legislativo e senza andare in contrasto con il diritto dell’impero, questi statuti), che potevano essere presieduti da professori universitari di diritto, cioè da giuristi (come nel caso di Perugia), o da notai (come nel caso di Bologna).
Limitazioni della partecipazione civica
Zorzi chiude la premessa sottolineando come non vada dimenticato che, nei comuni, le stesse forme di governo “largo” furono comunque limitate ai cives, cioè a coloro che pagavano le tasse e che risiedevano da generazioni nelle città, ma non a tutti i loro abitanti. La partecipazione che i regimi comunali offrirono ai propri cittadini riguardò una minoranza (nei casi più felici il 20% della popolazione): per questo sarebbe improprio affermare che si trattò di regimi “democratici”. Ne rimasero esclusi, oltre alle donne, anche i lavoratori manuali, gli immigrati, i servi ecc. Per essere civis bisognava avere una condizione socio-economica abbastanza buona ed essere residenti in città da generazioni. Tuttavia il concetto di democrazia, nato in Grecia, si sviluppa in un contesto dove le donne, gli stranieri e gli schiavi non avevano un peso politico (forse poteva esserci meno distinzione socio-economica); pertanto, se definiamo democratiche le polis greche, allora erano democratici anche i comuni, che non se ne distanziano più di tanto in quanto a quantità di popolazione che ha dei diritti politici.
Le signorie cittadine in Italia, Zorzi
Domande da interrogazione
- Qual era il ruolo dell'arbitrium sugli statuti nei comuni medievali?
- Perché i regimi comunali medievali non possono essere considerati completamente "democratici"?
- Come si differenziavano i comuni medievali dalle polis greche in termini di democrazia?
L'arbitrium sugli statuti permetteva a un signore cittadino di modificare le leggi della città, un potere che inizialmente apparteneva all'assemblea dei cittadini, ma che veniva poi delegato a commissioni di esperti per garantire competenze tecniche.
I regimi comunali erano limitati ai cives, escludendo una larga parte della popolazione come donne, lavoratori manuali e immigrati, quindi solo una minoranza aveva diritti politici, rendendo improprio definirli "democratici".
Sebbene entrambi escludessero donne, stranieri e schiavi dalla partecipazione politica, i comuni medievali e le polis greche erano simili nel numero di persone con diritti politici, suggerendo che se le polis erano democratiche, lo erano anche i comuni.