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Concetti Chiave

  • L'Olympia di Manet, dipinta nel 1863, è una reinterpretazione moderna della Venere di Urbino di Tiziano, presentata senza idealizzazione.
  • La modella Victorine Meurant è raffigurata come una prostituta, suggerendo un realismo provocatorio per l'epoca.
  • Il dipinto fu sorpresivamente accettato al Salon del 1865, suscitando critiche per il suo realismo e la rappresentazione di una figura non idealizzata.
  • Manet utilizza elementi come una serva di colore e un mazzo di fiori per suggerire il contesto di una visita di un cliente.
  • L'opera evidenzia influenze dell'arte giapponese nella sua bidimensionalità, un aspetto innovativo per il periodo.

Indice

  1. L'accettazione inaspettata
  2. Critiche al realismo

L'accettazione inaspettata

L’Olympia venne dipinta nel 1863, e nel 1865 vene accettata inaspettatamente al Salon.
L’Olympia rappresenta una reinterpretazione in chiave contemporanea della Venere di Urbino di Tiziano e della Maja Desnuda di Goya, ma è chiaro che qui è venuto a mancare qualsiasi tentativo di idealizzazione: la donna raffigurata nel dipinto è la modella Victorine Meurant, che punta uno sguardo impudico verso lo spettatore. Non si tratta di una dea, ma di una prostituta nella sua camera, come lascia intendere Manet sia attraverso il titolo (Olympia era il nome d’arte di molte prostitute del tempo) sia accostando al nudo una serva di colore che le offre un mazzo di fiori, dono inequivocabile di un cliente.

Critiche al realismo

Le critiche si concentrarono sullo sconveniente realismo del nudo, dalle forme comuni e imperfette (le gambe un po’ corte, il viso squadrato, l'eccessiva magrezza della donna), e sulla bidimensionalità della pittura, tipica dell’arte giapponese che iniziava a essere conosciuta in quegli anni.

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