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Sintesi
In questo appunto viene descritta l'arte africana, facendo attenzione alla sua definizione in primo luogo con una piccola premessa. Vi è un paragrafo dedicato all'arte negli antichi Regni, si descrivono poi la civiltà architettonica dello Zimbabwe, l'arte tribale, le maschere e le statue, gli stili regionali, le savane sudanesi, l'altopiano camerunense; l'arte africana e il Novecento; Matisse, Picasso, gli artisti e l'arte africana.

cubismo e Picasso

Premessa


Il termine Arte africana si applica allo studio delle arti plastiche prodotte dai popoli delle regioni occidentali e centrali del continente a sud del Sahara. Indica quindi prevalentemente la produzione dei popoli che vivono nell’Africa Nera, escluse quelle zone che sono fortemente influenzate dai modelli iconografici derivati dall’Islam e dal Cristianesimo.
L’arte africana, intesa come scienza, studia le tradizioni artistiche locali e regionali analizzate all’interno di contesti tribali specifici; arte africana, quindi, non è un sinonimo di storia dell’arte dell’Africa: (come) in quanto disciplina essa non ha come scopo prioritario lo studio delle manifestazioni artistiche del continente analizzate in prospettiva storica, ma piuttosto chiarire la funzione e il significato delle opere d’arte in ambito tribale, alla luce delle implicazioni sociali, politiche e religiose che questi manufatti hanno nel contesto culturale che li ha prodotti e definire i canoni stilistici che attribuiscono ad essi un valore estetico.
Le arti indigene dell’Africa sono quindi il prodotto di una pluralità di culture che si differenziano tra loro per scelta economica, struttura socio-politica e che si sono formate in epoche differenti.
L’arte africana è un’arte concettuale la cui forza espressiva si basa non sulla ricerca di una adesione a modelli naturali, ma sull’oggettivazione di modelli intellettuali e simbolici che vanno interpretati; in essa la forma non è mai fine a se stessa, ma è il risultato di una ricerca legata alla definizione formale di un “concetto significante”.

per ulteriori approfondimenti sull'arte africana vedi anche qua

L’arte negli antichi regni


La ricerca archeologica ha recentemente messo in evidenza l’esistenza di una tradizione artistica africana antica di alcuni millenni che prova la storicità e lo sviluppo delle arti africane, espressione di grandi civiltà, mature e sofisticate, sorte e in molti casi già spente molto prima dei contatti con la civiltà occidentale.

Nok


Le più antiche testimonianze archeologiche di arte plastica dell’Africa sud-sahariana provengono dal villaggio di Nok, nella Nigeria centrale, e da una serie di altri siti sparsi su una superficie abbastanza vasta.
La cultura Nok fiorì grosso modo dalla metà del primo millennio a.C. fino alla metà del primo millennio d.C., ma più recenti scoperte sembrano confermare che la tradizione di questa zona sopravvisse fino alla fine del primo millennio con variazioni dello stile.
Non si conoscono antecedenti locali di questa cultura, ma la perfezione tecnica e l’alto livello estetico dei reperti venuti alla luce il più delle volte casualmente provano che ci troviamo di fronte a una lunga sperimentazione artistica le cui origini sono forse da ricercare in una cultura più antica, che ancora oggi è sconosciuta.
Gli artisti di Nok crearono opere in terracotta che si sono presentate a noi sotto forma di frammenti; si possono però riconoscere busti di animali, teste umane che erano parte di figure intere. Gli scultori di Nok predilessero le forme massicce, tendenzialmente geometriche e uno stile molto stilizzato; una delle caratteristiche principali di questa arte è la foratura degli occhi, delle narici, della bocca e delle orecchie.
Le raffigurazioni di personaggi con elaborate acconciature e ricchi ornamenti potrebbero rappresentare capi o sacerdoti, mentre le sculture zoomorfe potrebbero indicare la centralità del ruolo di alcuni animali nel sistema di credenze. Indubbiamente gli artisti di questa zona si sono dimostrati molto abili e in grado di rappresentare la perfezione in campo artistico.

Zimbabwe


La civiltà architettonica dello Zimbabwe costituisce uno dei più imponenti esempi di cultura megalitica africana; esso consiste in un complesso di ruderi disseminati nella vasta area dell’Africa centro-meridionale compresa fra i corsi dei fiumi Zambesi e Sabi.
In Zimbabwe si trova uno dei più spettacolari edifici dell’intero complesso architettonico, la roccaforte posta sulla vetta di una collina, rinominata dagli europei Acropoli e il Tempio ellittico ai piedi dell’altura di cui sono conservate, quasi completamente integre, le maestose mura perimetrali. Tutto intorno sono presenti le rovine di molti altri edifici. Tutto questo è la testimonianza di un’eccezionale tecnica muraria che non trova riscontro in Africa né altrove; le mura venivano erette sovrapponendo file di blocchi squadrati in granito rispettando una regolare rastremazione verso l’alto che ne assicurava la stabilità; per quanto riguarda gli effetti decorativi sugli edifici erano ottenuti inserendo lastre di dolomite azzurra tra i prismi granitici oppure disponendo obliquamente i blocchi di pietra in file.
La fioritura dello Zimbabwe pare possa collocarsi tra il IX e il XIII secolo; molto probabilmente i primi abitanti erano portatori di una rudimentale civiltà del ferro: inizialmente agricoltori e costruttori di semplici capanne di legno e argilla, solo in seguito avrebbero sviluppato l’originale tecnica muraria che conosciamo. Dagli scavi archeologici furono ritrovate numerose figure stilizzate scolpite che dovevano ornare le mura esterne di un piccolo tempio semicircolare.

L’arte tribale


In quanto riflesso di espressione di singole società, l’arte africana è essenzialmente un’arte tribale. Questo termine indica non tanto la presunta autonomia culturale delle società africane, ritenute tradizionalmente impermeabili a ogni influenza esterna, quanto l’implicazione totale dell’arte nella definizione della cultura vista come unità; in questo senso le manifestazioni artistiche devono essere interpretate alla luce di una conoscenza globale delle attività socio-culturali del gruppo.
L’arte tribale africana è concepita con l’intenzione di essere capita dall’utenza a cui è destinata. Infatti la persone per cui lavora l’artista africano sono membri della sua stessa comunità, consapevoli delle stesse tradizioni mitologiche e partecipi delle stesse attività rituali; l’artista africano può perciò comunicare attraverso un codice simbolico in quanto i simboli che utilizza hanno lo stesso significato di base per tutta la collettività.
I canoni stilistici tribali sono solo in parte vincolanti e consentono una certa libertà interpretativa sia pure nel rispetto di ciò che bisogna esprimere e significare. L’artista compie selezioni e apporta la sua personale sensibilità ed esperienza operando all’interno di una gamma di stilemi accessori che non condizionano direttamente la trasmissione di un particolare messaggio, determinando così l’originalità e l’autenticità della creazione.

Le maschere e le statue


La maschera nelle culture tribali africane è l’espressione più genuina del codice mitico-etico-religioso, elemento portante e lo strumento più efficace per la continuità e la validità del rapporto concettuale che l’uomo ha con le forze dell’universo. Nella civiltà occidentale la maschera è in stretto rapporto con i concetti di incognito/annullamento della personalità, mentre nel mondo africano il suo significato culturale trascende il problema specifico dell’identità di chi la indossa in quanto il fine non è il travestimento o la dissimulazione della persona, ma la materializzazione di un’idea, di una presenza altra che supera i confini del reale sconfinando nella dimensione simbolica.
Dal punto di vista formale la maschera presenta una tipologia estremamente vara per materia, proporzioni, decorazione e, naturalmente per il modo di essere portata. La più comune è concepita per essere portata sul volto come parte di un costume che in genere nasconde tutto il corpo del portatore; altre hanno una struttura ad elmo, e altre ancora sono in realtà sculture a tutto tondo portate sulla sommità del capo. Anche lo stile e i temi iconografici variano in genere a seconda dei gruppi in accordo con l’origine tribale di questa produzione: in genere le forme, quando non sono del tutto astratte, richiamano tratti antropomorfi o zoomorfi, spesso combinati tra loro con una resa iconografica che spazia in maniera articolata dalla stilizzazione geometrizzante allo spiccato naturalismo concettualizzato.
La maschera è nella maggior parte dei casi in legno scolpito, a cui viene aggiunta una serie di attributi secondari che costituiscono elementi funzionali e mai semplici appendici decorative: corna, ciuffi di pelo, semi, bacche, ossa, piume e oggetti d’importazione europea come pezzi di specchio o vetro. La maschera può essere inoltre di fibre vegetali intrecciate successivamente ricoperte o meno di creta, pelle o piume; oppure di cuoio o di metallo, e, in genere, presenta una superficie levigata e dipinta in policromia.
L’efficacia della maschera nelle culture africane è strettamente connessa al suo uso dinamico. Essa è concepita per essere vista in movimento in un contesto di musica e danza che partecipa ad accrescerne la forza sottolineandone le implicazioni mitico-religiose.
Le statue, l’altro aspetto tipico dell’espressione artistica africana, consistono principalmente nella raffigurazione degli antenati, riflettendo l’importanza che rivestono le relazioni di parentela estese anche al mondo dei defunti. Ci sono dei criteri che possono essere estesi in generale a tutta la produzione plastica africana:

  • L’opera d’arte non deve essere un ritratto, ma incarnare un’immagine ideale.

  • La superficie deve essere levigata in modo da evidenziarne il gioco di luce e ombre.

  • Il soggetto deve essere rappresentato nella pienezza della vita.

  • L’immagine deve essere rappresentata frontalmente.

  • La staticità, colta però in una posizione che suggerisce un movimento incipiente grazie alla particolare inclinazione delle ginocchia.


Queste costanti consentono all’artista di esprimere nella statuaria il carattere di trascendenza e la capacità di coesione del gruppo grazie a scelte plastiche in cui forma e significato vengono a fondersi armonicamente e in cui la forza vitale degli antenati risulta esaltata.

Stili regionali


Non tutte le culture africane hanno sviluppato in ugual misura le arti plastiche configurate; in generale si può dire che le aree artisticamente feconde si incentrino nelle regioni atlantiche del continente.
In particolare in queste zone si possono individuare diverse tradizioni stilistiche che molto spesso sono contrapposte: quella più astratta tipica della cultura di savana e quella più naturalistica tipica della cultura di foresta.

Le savane sudanesi


In questa vasta area geografica la presenza di società etnicamente e linguisticamente differenti ha prodotto nell’arte una varietà di orientamenti stilistici.
In ogni caso nell’arte tribale sudanese è evidente un comune filo conduttore che si esprime dal punto di vista ideologico, in una stretta relazione delle opere con le società segrete e con l’attività rituale relativa al ciclo individuale della vita.
Le maschere, legate al culto dei defunti e usate nel corso di rituali di purificazione, sono generalmente zoomorfe; al contrario, le statue sono espressione di un’arte confidenziale, destinate a essere custodite nei santuari familiari e rappresentano la forza vitale catturata nelle immagini degli antenati o della coppia mitica Cielo-Terra, simbolo del principio generativo.

L’altopiano camerunese


La generale omogeneità culturale degli altopiani camerunesi è dovuta essenzialmente al sistema politico di tipo gerarchico che caratterizza il sistema sociale dei diversi gruppi e sottogruppi e trova riscontro anche nella produzione artistica che costituisce un insieme tipico. L’arte plastica in Camerun si distingue in senso generale dai tradizionali orientamenti dell’arte tribale africana sia per le valenze ideologiche sia per i modelli; essa è inoltre un esempio di arte simbolica aulico-celebrativa, ispirata più alla celebrazione del potere regale, attraverso la produzione di emblemi araldici e insegne di prestigio.
Per quanto riguarda le statue sono generalmente di grandi dimensioni e insieme alle maschere e agli oggetti in rame costituiscono la parte più rappresentativa della produzione; le figure sono dotate di una immediata drammaticità che è ottenuta dal rispetto del rigore simmetrico.
Celebri sono le maschere lignee, ma soprattutto quelle di stile kom, caratterizzate da guance rigonfie, grandi occhi e fronte convessa, nelle quali si riconoscono numerosi sotto stili, le cui scelte variano dalla raffigurazione zoomorfa a quella antropomorfa.
Non è possibile parlare di un solo stile, in quanto ciascuna società ha dato vita a una produzione artistica nettamente distinta sia pure sullo sfondo di caratteri comuni.

L’arte africana e il Novecento


Nella prima metà del Novecento le “Arti Negre”, termine con in quale in Europa si indicavano insieme le arti africana e oceaniana, fecero irruzione nel mondo degli artisti e degli storici dell’arte europei, dando luogo da una parte ad adesioni entusiastiche, dall’altra a vivaci polemiche e prendendo parte attiva al processo di rivoluzione delle arti plastiche che si verifica in quell’epoca in Occidente.
Con le correnti del Cubismo, dell’Espressionismo tedesco, del Futurismo italiano e del Fauvismo francese iniziava la ricerca di nuove soluzioni prospettiche e di forme di strumentazione espressiva diverse da quelle convenzionali, generalmente descrittive; i diversi movimenti, sebbene uniti nello spirito di emancipazione dai tradizionali schemi dell’arte classica, finirono con l’approdare a risultati di segno diverso se non opposto, come nel caso dell’arte non figurativa (fondata sulla composizione cromatica) e dell’arte surrealista, caratterizzata invece da un’ ipervalutazione degli elementi tematici.
Le preoccupazioni essenziali del movimento cubista erano l’organizzazione dei volumi, l’espressione della tridimensionalità nell’arte e un nuovo impianto formale significante in sé senza rimandare ad alcun universo sensibile: un quadro in cui riveste eccezionale importanza la lezione che è possibile desumere dall’arte africana che non si qualifica mai come copia di un oggetto reale né come un suo riflesso fedele. Nella plastica africana ciò che importa è l’organizzazione armonica delle forme in sintonia con un concetto di equilibrio che nulla ha a che vedere con la logica estetica di tipo occidentale ma si accorda piuttosto a un intimo ordine logico, a un ritmo in cui le parti si compongono naturalmente in un’unità.
L’interesse per l’arte africana era nata negli europei dalle numerose mostre che erano state organizzate in tutte le principali città europee: Lipsia (1892), Anversa (1894), Bruxelles (1897), Colonia (1912), Parigi (1907, 1917, 1919). L’obiettivo iniziale di queste mostre era quello di evidenziare quanto bene si stesse facendo in quelle “terre incivili” e in questo modo di convincere l’opinione pubblica della superiorità della civiltà occidentale nei confronti degli autori di quegli artefatti e, quindi, della necessità di una presenza “civilizzatrice”. Queste mostre finirono per influenzare i più importanti artisti europei, che cominciarono a collezionare e realizzare opere ispirate a questi oggetti africani.
Un grande artista che prese molto dall’arte africana è sicuramente Picasso, il quale, nel 1937, parlando con un amico, riferiva l’emozione provata nel visitare una di quelle esposizioni parigine: «Tutti oggi parlano dell’influsso che i neri hanno esercitato su di me... E compresi che mi stava succedendo qualcosa. Le maschere non erano come le altre sculture: erano qualcosa di magico, si ergevano contro tutto, contro gli spiriti ignoti e minacciosi. E io continuavo ad ammirare quei feticci...».



Matisse, Picasso, gli artisti e l'arte africana


Si può citare Picasso, ma sicuramente la prima grande personalità del 1900 ad essere influenzata dall’arte negra e dalle varie esposizioni del British Museum e del Museo d’etnografia di Parigi, fu senz’altro Henri Matisse, tra i primi dei Fauve a diffondere l’arte nera. In essa Matisse aveva riconosciuto una forza primordiale e un’essenzialità formale estrema.
L’interesse di Matisse per l’arte africana si accentuerà nella primavera del 1906, in occasione del suo viaggio in Nord Africa; questo momento coincise con l’ultima fase del cosiddetto periodo Fauve, quindi un periodo di transizione tra le sue prime opere direttamente percettive, essenzialmente post-impressioniste e i suoi stili successivamente più sintetici. Dello stesso anno sono le prime opere di Picasso in questo senso, come Uomo in piedi del 1907. Saranno queste numerose influenze che lo porteranno al capolavoro Les Demoiselles d’Avignon, in cui le cinque ragazze sono raffigurate tutte in maniera differente: mentre nella figura di sinistra sembra riprendere l’arte egizia, in quelle centrali la scultura iberica, e nelle due a destra abbiamo una drastica riduzione dei lori volumi che deriva dalla scultura africana, a cui il pittore allude sostituendo i volti con maschere primitive.
Picasso usò l’arte nera per dare un nuovo significato a quella occidentale post-impressionista, il cui punto culminante, in forma logico-astratta, per la parte non figurativa, era stato Cézanne. Nell’opera di Picasso, attraverso l’abolizione di qualsiasi prospettiva o profondità, si simboleggia una presa di coscienza riguardo a una terza dimensione non visiva, ma mentale.
Anche in Italia nasce la necessità di superare le Avanguardie a favore di un ritorno alla tradizione con una ricercata semplificazione degli schemi attraverso un atteggiamento volutamente arcaico e primitivo; alcuni artisti presero in fatti spunto dall’arte nera.
Uno di questi è sicuramente Modigliani il quale, vivendo a Parigi, aveva subito molto l’influenza dei movimenti francesi (soprattutto quella di Picasso) e il loro interesse per il primitivismo. In Nudo sdraiato a braccia aperte del 1917 è evidente la straordinaria sintesi plastica delle forme e l’entusiasmo per la purezza delle linee astratte che gli deriva dall’arte egizia. Numerose sono le testimonianze sull’influenza che ha avuto il mondo africano su Modigliani: le cartoline dall’Africa inviate alla famiglia Modigliani dallo zio dell’artista.
L’arte africana giocò un ruolo fondamentale in tutto questo, arte che se all’inizio venne considerata più una curiosità che un oggetto d’arte vero e proprio, riuscì in pochi anni a diventare un elemento insostituibile e fonte d’ispirazione per i grandi artisti del tempo, dando prova di una fantasia inventiva che interessò il gruppo dei surrealisti.
La sua semplicità e allo stesso tempo la grande capacità di espressione giocarono un ruolo fondamentale nella cultura dei primi del Novecento. Se l’Europa aveva conquistato l’Africa, il continente nero aveva fatto lo stesso con il mondo dell’arte.
Estratto del documento

L’arte africana

Premessa

Il termine Arte africana si applica allo studio delle arti plastiche prodotte dai popoli delle

regioni occidentali e centrali del continente a sud del Sahara. Indica quindi prevalentemente la

produzione dei popoli che vivono nell’Africa Nera, escluse quelle zone che sono fortemente

influenzate dai modelli iconografici derivati dall’Islam e dal Cristianesimo.

L’arte africana, intesa come scienza, studia le tradizioni artistiche locali e regionali analizzate

all’interno di contesti tribali specifici; arte africana, quindi, non è un sinonimo di storia

dell’arte dell’Africa: (come) in quanto disciplina essa non ha come scopo prioritario lo studio

delle manifestazioni artistiche del continente analizzate in prospettiva storica, ma piuttosto

chiarire la funzione e il significato delle opere d’arte in ambito tribale, alla luce delle

implicazioni sociali, politiche e religiose che questi manufatti hanno nel contesto culturale che

li ha prodotti e definire i canoni stilistici che attribuiscono ad essi un valore estetico.

Le arti indigene dell’Africa sono quindi il prodotto di una pluralità di culture che si

differenziano tra loro per scelta economica, struttura socio-politica e che si sono formate in

epoche differenti.

L’arte africana è un’arte concettuale la cui forza espressiva si basa non sulla ricerca di una

adesione a modelli naturali, ma sull’oggettivazione di modelli intellettuali e simbolici che

vanno interpretati; in essa la forma non è mai fine a se stessa, ma è il risultato di una ricerca

legata alla definizione formale di un “concetto significante”.

L’arte negli antichi regni La ricerca archeologica ha recentemente messo

in evidenza l’esistenza di una tradizione

artistica africana antica di alcuni millenni che

prova la storicità e lo sviluppo delle arti

africane, espressione di grandi civiltà, mature e

sofisticate, sorte e in molti casi già spente molto

prima dei contatti con la civiltà occidentale.

Nok

Le più antiche testimonianze archeologiche di

arte plastica dell’Africa sud-sahariana

provengono dal villaggio di Nok, nella Nigeria

centrale, e da una serie di altri siti sparsi su una

superficie abbastanza vasta.

La cultura Nok fiorì grosso modo dalla metà

del primo millennio a.C. fino alla metà del

primo millennio d.C., ma più recenti scoperte

sembrano confermare che la tradizione di

Testa umana in terracotta questa zona sopravvisse fino alla fine del primo

proveniente da Nok. (500- 200 a.C) millennio con variazioni dello stile.

Lagos, National Museum.

Non si conoscono antecedenti locali di questa cultura, ma la perfezione tecnica e l’alto livello

estetico dei reperti venuti alla luce il più delle volte casualmente provano che ci troviamo di

fronte a una lunga sperimentazione artistica le cui origini sono forse da ricercare in una

cultura più antica, che ancora oggi è sconosciuta.

Gli artisti di Nok crearono opere in terracotta che si sono presentate a noi sotto forma di

frammenti; si possono però riconoscere busti di animali, teste umane che erano parte di figure

intere. Gli scultori di Nok predilessero le forme massicce, tendenzialmente geometriche e uno

stile molto stilizzato; una delle caratteristiche principali di questa arte è la foratura degli occhi,

delle narici, della bocca e delle orecchie.

Le raffigurazioni di personaggi con elaborate acconciature e ricchi ornamenti potrebbero

rappresentare capi o sacerdoti, mentre le sculture zoomorfe potrebbero indicare la centralità

del ruolo di alcuni animali nel sistema di credenze. Indubbiamente gli artisti di questa zona si

sono dimostrati molto abili e in grado di rappresentare la perfezione in campo artistico.

Zimbabwe

La civiltà architettonica dello Zimbabwe costituisce uno dei più imponenti esempi di cultura

megalitica africana; esso consiste in un complesso di ruderi disseminati nella vasta area

dell’Africa centro-meridionale compresa fra i corsi dei fiumi Zambesi e Sabi.

In Zimbabwe si trova uno dei più spettacolari edifici dell’intero complesso architettonico, la

roccaforte posta sulla vetta di una

collina, rinominata dagli europei

Acropoli e il Tempio ellittico ai piedi

dell’altura di cui sono conservate,

quasi completamente integre, le

maestose mura perimetrali. Tutto

intorno sono presenti le rovine di

molti altri edifici.

Tutto questo è la testimonianza di

un’eccezionale tecnica muraria che

non trova riscontro in Africa né Zimbabwe, la torre conica.

altrove; le mura venivano erette sovrapponendo file di blocchi squadrati in granito rispettando

una regolare rastremazione verso l’alto che ne assicurava la stabilità; per quanto riguarda gli

effetti decorativi sugli edifici erano ottenuti inserendo lastre di dolomite azzurra tra i prismi

granitici oppure disponendo obliquamente i blocchi di pietra in file.

La fioritura dello Zimbabwe pare possa collocarsi tra il IX e il XIII secolo; molto

probabilmente i primi abitanti erano portatori di una rudimentale civiltà del ferro: inizialmente

agricoltori e costruttori di semplici capanne di legno e argilla, solo in seguito avrebbero

sviluppato l’originale tecnica muraria che conosciamo. Dagli scavi archeologici furono

ritrovate numerose figure stilizzate scolpite che dovevano ornare le mura esterne di un piccolo

tempio semicircolare.

L’arte tribale

In quanto riflesso di espressione di singole società, l’arte africana è essenzialmente un’arte

tribale. Questo termine indica non tanto la presunta autonomia culturale delle società africane,

ritenute tradizionalmente impermeabili a ogni influenza esterna, quanto l’implicazione totale

dell’arte nella definizione della cultura vista come unità; in questo senso le manifestazioni

artistiche devono essere interpretate alla luce di una conoscenza globale delle attività socio-

culturali del gruppo.

L’arte tribale africana è concepita con l’intenzione di essere capita dall’utenza a cui è

destinata. Infatti la persone per cui lavora l’artista africano sono membri della sua stessa

comunità, consapevoli delle stesse tradizioni mitologiche e partecipi delle stesse attività

rituali; l’artista africano può perciò comunicare attraverso un codice simbolico in quanto i

simboli che utilizza hanno lo stesso significato di base per tutta la collettività.

I canoni stilistici tribali sono solo in parte vincolanti e consentono una certa libertà

interpretativa sia pure nel rispetto di ciò che bisogna esprimere e significare. L’artista compie

selezioni e apporta la sua personale sensibilità ed esperienza operando all’interno di una

gamma di stilemi accessori che non condizionano direttamente la trasmissione di un

particolare messaggio, determinando così l’originalità e l’autenticità della creazione.

Le maschere e le statue

La maschera nelle culture tribali africane è l’espressione più genuina del codice mitico-etico-

religioso, elemento portante e lo strumento più efficace per la continuità e la validità del

rapporto concettuale che l’uomo ha con le forze

dell’universo.

Nella civiltà occidentale la maschera è in stretto

rapporto con i concetti di incognito/annullamento

della personalità, mentre nel mondo africano il

suo significato culturale trascende il problema

specifico dell’identità di chi la indossa in quanto

il fine non è il travestimento o la dissimulazione

della persona, ma la materializzazione di un’idea,

di una presenza altra che supera i confini del reale

sconfinando nella dimensione simbolica.

Dal punto di vista formale la maschera presenta

una tipologia estremamente vara per materia,

proporzioni, decorazione e, naturalmente per il

modo di essere portata. La più comune è

concepita per essere portata sul volto come parte di un costume che in genere nasconde tutto il

corpo del portatore; altre hanno una struttura ad elmo, e altre ancora sono in realtà sculture a

tutto tondo portate sulla sommità del capo. Anche lo stile e i temi iconografici variano in

genere a seconda dei gruppi in accordo con l’origine tribale di questa produzione: in genere le

forme, quando non sono del tutto astratte, richiamano tratti antropomorfi o zoomorfi, spesso

combinati tra loro con una resa iconografica che spazia in maniera articolata dalla

stilizzazione geometrizzante allo spiccato naturalismo concettualizzato.

La maschera è nella maggior parte dei casi in legno scolpito, a cui viene aggiunta una serie di

attributi secondari che costituiscono elementi funzionali e mai semplici appendici decorative:

corna, ciuffi di pelo, semi, bacche, ossa, piume e oggetti d’importazione europea come pezzi

di specchio o vetro. La maschera può essere inoltre di fibre vegetali intrecciate

successivamente ricoperte o meno di creta, pelle o piume; oppure di cuoio o di metallo, e, in

genere, presenta una superficie levigata e dipinta in policromia.

L’efficacia della maschera nelle culture africane è strettamente connessa al suo uso dinamico.

Essa è concepita per essere vista in movimento in un contesto di musica e danza che partecipa

ad accrescerne la forza sottolineandone le implicazioni mitico-religiose.

Le statue, l’altro aspetto tipico dell’espressione artistica africana, consistono principalmente

nella raffigurazione degli antenati, riflettendo

l’importanza che rivestono le relazioni di parentela

estese anche al mondo dei defunti. Ci sono dei criteri

che possono essere estesi in generale a tutta la

produzione plastica africana:

 L’opera d’arte non deve essere un ritratto, ma

incarnare un’immagine ideale;

 La superficie deve essere levigata in modo da

evidenziarne il gioco di luce e ombre;

 Il soggetto deve essere rappresentato nella

pienezza della vita;

 L’immagine deve essere rappresentata

frontalmente;

 La staticità, colta però in una posizione che

suggerisce un movimento incipiente grazie alla particolare inclinazione delle

ginocchia.

Queste costanti consentono all’artista di esprimere nella statuaria il carattere di trascendenza e

la capacità di coesione del gruppo grazie a scelte plastiche in cui forma e significato vengono

a fondersi armonicamente e in cui la forza vitale degli antenati risulta esaltata.

Stili regionali

Non tutte le culture africane hanno sviluppato in ugual misura le arti plastiche configurate; in

generale si può dire che le aree artisticamente feconde si incentrino nelle regioni atlantiche del

continente.

In particolare in queste zone si possono individuare diverse tradizioni stilistiche che molto

spesso sono contrapposte: quella più astratta tipica della cultura di savana e quella più

naturalistica tipica della cultura di foresta.

Le savane sudanesi

In questa vasta area geografica la presenza di società etnicamente e linguisticamente differenti

ha prodotto nell’arte una varietà di orientamenti stilistici.

In ogni caso nell’arte tribale sudanese è evidente un comune filo conduttore che si esprime dal

punto di vista ideologico, in una stretta relazione delle opere con le società segrete e con

l’attività rituale relativa al ciclo individuale della vita.

Le maschere, legate al culto dei defunti e usate nel corso di rituali di purificazione, sono

generalmente zoomorfe; al contrario, le statue sono espressione di un’arte confidenziale,

destinate a essere custodite nei santuari familiari e rappresentano la forza vitale catturata nelle

immagini degli antenati o della coppia mitica Cielo-Terra, simbolo del principio generativo.

L’altopiano camerunese

La generale omogeneità culturale degli altopiani camerunesi è dovuta essenzialmente al

sistema politico di tipo gerarchico che caratterizza il sistema sociale dei diversi gruppi e

sottogruppi e trova riscontro anche nella produzione artistica che costituisce un insieme tipico.

L’arte plastica in Camerun si distingue in senso generale dai tradizionali orientamenti dell’arte

tribale africana sia per le valenze ideologiche sia per i modelli; essa è inoltre un esempio di

arte simbolica aulico-celebrativa, ispirata più alla celebrazione del potere regale, attraverso la

produzione di emblemi araldici e insegne di prestigio.

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