
Ormai sembrerebbe ufficiale: il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, pare che abbia abbandonato l’idea del decreto che ridurrebbe di un anno il percorso scolastico degli studenti. Insomma, prendere la Maturità a 18 anni allineandosi con gli altri paesi europei sembra ancora un’utopia per l’Italia.
Intanto l’Anief, il sindacato di insegnanti e ricercatori che da sempre si è dichiarato contrario all’idea del ministro, canta vittoria.VITTORIA ANIEF, NO DIPLOMA A 18 ANNI - A commentare la vittoria è Marcello Pacifico, presidente dell’Anief: “I nostri giovani non hanno bisogno di percorsi di studio ridotti, ma di una maggiore alfabetizzazione e specializzazione. Non si comprende il motivo per cui il Miur presti attenzione a queste iniziative a dir poco discutibili, mentre si continuano ad ignorare le vere emergenze dell'istruzione e formazione in Italia come l'abbandono universitario del 25% e quello della scuola dell'obbligo, in alcune aree del Paese ancora maggiore. Per quale motivo non si pensa ad introdurre, proprio per superare l'alto numero di giovani che lasciano gli studi precocemente, un serio apprendistato come avviene in Germania, dove oltre un milione e mezzo di alunni praticano con successo l'alternanza scuola - lavoro?”
UN ANNO IN MENO, SOLDI IN PIÙ? - In realtà il motivo dell’abbreviazione di un anno del percorso scolastico, il Ministero dell’Istruzione lo ha sempre avuto bene chiaro. Infatti, ridurre da 13 a 12 anni lo studio dei ragazzi significava anche ridurre automaticamente gli enormi costi per lo Stato. Far diplomare gli studenti a 18 anni avrebbe consentito di risparmiare ben 1380 milioni di euro. Peccato che, stando a quanto commentato dall’Anief, così facendo si sarebbero tagliati anche 50mila posti di lavoro.
LONTANI DALL’EUROPA - Inoltre, il ministro Profumo avrebbe anche voluto che le scuole italiane si allineassero a quelle del resto d’Europa dove la maggior parte degli studenti si diplomano un anno prima dei nostri entrando altrettanto prima nel mercato del lavoro. Quindi, l’obiettivo era quello di rendere gli studenti nostrano più competitivi sul mercato del lavoro europeo. Ma l’Anief non concorda nemmeno su questo punto: “Questi percorsi formativi improvvisati ci avrebbero allontanano, anziché avvicinarci, ai modelli di studio in vigore nella gran parte dei Paesi più avanzati dell'area Ocse”.
Serena Rosticci