
Dopo la maturità, sei mesi in caserma. Questo è quanto previsto da un disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati.
Per i giovani diplomati dai 18 ai 22 anni, infatti, è in arrivo la mini naja. Un progetto sperimentale, su base volontaria, che prevede per i ragazzi volontari sei mesi in caserma e in strutture formative delle Forze armate. Il tempo sarà equamente ripartito fra corsi di studio in modalità e-learning, permanenza presso le Forze armate e apprendimento pratico. Obiettivo dichiarato dal disegno di legge è ridurre la distanza fra giovani e istituzioni. Il testo passa ora all’esame del Senato per l’approvazione definitiva.
Subito però le principali associazioni e rappresentanze studentesche si sono mobilitate contro il provvedimento.
Mini naja, cos'è e come funziona
Non è previsto un rimborso spese, tutti gli oneri come vitto e alloggio sono a carico del Fondo di riserva del Mef. Non ci sono, dunque, costi per lo studente, ma nemmeno una retribuzione. Ci sarà, invece, l’acquisizione di 12 crediti universitari, oltre ad un attestato di natura militare di ufficiali di riserva di complemento.
Al termine del percorso i giovani avranno dall’amministrazione della difesa un attestato sull’esito positivo del percorso formativo utilizzabile nell’accesso al mercato del lavoro.
Lo svolgimento con esito positivo del progetto sperimentale di formazione in ambito militare consentirà, inoltre, l’acquisizione di un massimo di 12 crediti formativi universitari, nei termini che dovranno essere stabiliti con apposita circolare del Miur.
Il progetto costerà 1 milione di euro nel 2020 e 500mila nel 2021.
Mini naja, la protesta degli studenti
Non sono passate che poche ore dalla notizia dell'ok della Camera al provvedimento della "Mini naja" che le voci delle principali associazioni e rappresentanze studentesche si sono levate in coro contro il progetto. Rete della conoscenza, che comprende gli studenti di Link - Coordinamento Universitario e di Unione degli Studenti, non ci va piano: "Le forze politiche vogliono tornare indietro nel tempo, formare all'interno dell'Esercito è inaccettabile" - dichiara Giacomo Cossu, coordinatore nazionale del sindacato studentesco - "Vogliamo studiare dentro scuole e università pubbliche, non nelle basi militari. Questa proposta è un insulto a centinaia di migliaia di studenti scesi in piazza nell'ultimo anno per chiedere al Governo maggiori investimenti nella pubblica istruzione. Il Governo dovrebbe occuparsi di innovare la didattica, garantirci gli strumenti per decidere cosa studiare per migliorare il nostro futuro e la società in cui viviamo. Invece vogliono insegnarci la cultura militare, in pieno stile da antico regime."Stesso tono combattivo nelle parole di Giammarco Manfreda, coordinatore nazionale della Rete degli Studenti Medi: "Un’impostazione militare non può migliorare l’educazione e la formazione dei giovani - dichiara - Nel nostro paese è necessario investire ingentemente sul mondo dell'istruzione, dilaniato dai continui tagli degli scorsi decenni, e smetterla di farci solamente propaganda politica."
Enrico Gulluni, coordinatore nazionale dell'Unione degli Universitari, rincara la dose: "Non possiamo accettare che venga introdotta un'attività di leva militare per giunta a titolo gratuito. Come altrettanto non deve farsi strada nel mondo della formazione la retribuzione del servizio militare con Crediti Formativi Universitari. Le valutazioni non devono essere premi o ricompense, le competenze valutate non possono essere la capacità di disciplina, di omologazione, l’attitudine alla violenza."
"Basta guardare ai giovani come lavativi a cui insegnare l’ordine, basta nostalgia per il passato sulle spese dei più giovani - concludono Manfreda e Gulluni - Questi governi non ci hanno mai ascoltati mentre chiedevamo più investimenti in istruzione e ricerca, per una scuola e un'università diverse. È il momento di invertire la rotta."