9 min lettura
studente che fa esame

In queste ultime settimane si è molto parlato di studenti che decidono di boicottare la prova orale della Maturità. L’ultimo episodio nella Marche. Ma sono stati parecchi gli studenti che, quest'anno, hanno scelto tale metodo di protesta contro un “sistema scolastico” da cui si sentono poco valorizzati

L’accusa principale mossa nei confronti dell’Esame di Stato è che non si possa giudicare un intero percorso quinquennale di scuola superiore con 3 prove svolte su 3 giornate di esame.  Molti hanno scelto di manifestare il proprio dissenso facendo scena muta. E, a riguardo, è anche arrivata la risposta del ministro Valditara, con l'anticipazone della decisione di punire con la bocciatura chi l’anno prossimo adotterà questo comportamento

Ma c'è anche chi, invece, ha scelto di protestare in un modo diverso: parlandone e svolgendo il suo esame al meglio delle proprie possibilità.

Indice

  1. L'orale come conquista di consapevolezza
  2. La lettera del maturando "parlante"

L'orale come conquista di consapevolezza

Come portale per gli studenti, noi di Skuola.net ascoltiamo e leggiamo ciò che i ragazzi, ma anche i docenti, hanno da dire. A questo proposito, qualche giorno fa è arrivata alla nostra redazione la testimonianza di Giuseppe, un neodiplomato che ha scelto di raccontare il suo percorso scolastico e di come scelte diverse da quelle iniziali possano portare sulla strada giusta. Nel suo percorso ha incontrato docenti, autori, idee che lo hanno aiutato a riconoscersi, curarsi, esprimersi. E l’orale, da ostacolo, è diventato per lui una conquista di consapevolezza.

Ecco cosa ci ha scritto.

La lettera del maturando "parlante"

Gentile redazione,

In questi giorni si è parlato molto di scuola, di giovani e di ribellione. In particolare, stanno facendo discutere le immagini di alcuni studenti che, come Maddalena e Gianmaria, hanno scelto di rimanere in silenzio durante il colloquio orale dell’Esame di Stato. Una scena muta, pensata e lucida, che vuole essere un gesto politico: un rifiuto verso un sistema scolastico sentito come distante, selettivo, più attento alle performance che alle persone. Una scuola che — per usare le parole di Maddalena — “non valorizza le emozioni ma il rendimento”, e dove “i professori sembrano interessati ai voti più che ai volti”.

Da studente neodiplomato, non posso che ascoltare con attenzione queste parole. Anche io, in passato, ho provato quella sensazione di essere invisibile. Ho iniziato il mio percorso al liceo classico, con entusiasmo e passione, ma con il tempo mi sono accorto che qualcosa non stava funzionando: non nel piano di studi, ma nel modo in cui veniva vissuto. Sentivo che il mio valore non emergeva, che non c’era spazio per la mia creatività, per il mio modo di pensare, per il mio mondo interiore. Durante il periodo del COVID, quando tutto sembrava immobile, ho fatto invece un passo decisivo: ho scelto di cambiare.

Mi sono iscritto ad un IISS, e da allora il mio percorso ha preso una direzione completamente diversa. Non perché fosse più facile — non lo è stato affatto — ma perché finalmente ho trovato un ambiente dove potevo essere ascoltato. Dove non si premiano solo i risultati, ma anche l’impegno, la passione, la voglia di migliorare. Dove non sei un numero su un registro, ma un nome, una storia, una voce.

È in quella scuola che ho imparato davvero. Ho studiato la resilienza non solo come concetto, ma come pratica quotidiana. Ho imparato che il dolore può essere narrato, che l’empatia si costruisce nel silenzio e nella parola, che le emozioni sono risorse, non debolezze. Ho incontrato pensatori come Franco Basaglia, che ha combattuto l’alienazione con il riconoscimento umano; Françoise Dolto, che ci ha insegnato ad ascoltare anche ciò che non viene detto; e Alda Merini, la poetessa del margine, che con la sua fragilità ci ha indicato la forza delle ferite trasformate in versi.

In quella scuola, sono stato incoraggiato a pensare con la mia testa, a sentire con il mio cuore, a credere che la cura – per gli altri, ma anche per sé stessi – possa essere un gesto rivoluzionario. E soprattutto sono stato spronato a parlare, a comunicare, a raccontarmi. L’Esame di Stato non è stato per me un ostacolo, ma un’occasione: per dire chi sono, per fare sintesi di ciò che ho appreso, per offrire la mia testimonianza.

A differenza di chi ha scelto il silenzio, io ho scelto la voce. Una voce consapevole, che non si limita a “ripetere la lezione”, ma che vuole costruire senso, legare ciò che si studia alla vita vera. Perché è questo che dovrebbe essere, in fondo, l’Esame di Stato: non una performance da superare, ma un ponte tra ciò che siamo stati e ciò che vogliamo diventare. Non solo un giudizio, ma una narrazione. Un rito di passaggio che non sancisce chi è il “più bravo”, ma chi è pronto ad affrontare il mondo con gli strumenti che ha acquisito – nella mente e nell’anima.

Fuori dalla scuola, lo so, (già l’ho constatato) tutto sarà diverso. Ci saranno meno tutele, più ostacoli, più incertezze. Ma proprio per questo la scuola deve essere un luogo dove si costruiscono le fondamenta: della persona, del cittadino, del lavoratore e del sognatore. Deve allenarci non solo al problem solving, ma alla capacità di coltivare sogni, alla pazienza, alla tolleranza, all’immaginazione. All’essere umani.

Per questo, rivolgo un appello ai miei coetanei: non lasciate che vi spengano. Coltivate le vostre passioni, proteggete le vostre emozioni, sviluppate il vostro pensiero critico, la vostra sensibilità, la vostra creatività. Allenatevi a vivere, non solo a rispondere. Non abbiate paura di scegliere percorsi alternativi, come ho fatto io: ogni strada, se seguita con sincerità, ha dignità e valore. Non esistono destini minori, solo destini diversi. E il nostro compito è onorarli.

Il mio esame si è concluso con un 100. Ma quello che conta, oggi, non è il voto: è la coscienza di aver affrontato quel momento con verità. Di aver portato con me, davanti alla commissione, non solo il frutto di ore di studio, ma anni di trasformazioni, cadute, cambiamenti e rinascite.

È questo che rende l’Esame di Stato una prova significativa: non tanto ciò che chiedono gli altri, ma ciò che scegliamo di mostrare noi. È lì, in quel dialogo tra sapere e consapevolezza, che si gioca la vera maturità.

Giuseppe

Skuola | TV
E ADESSO? La verità su cosa fare dopo la maturità

Rivedi lo speciale di Skuola.net e Gi Group dedicato a tutti i maturandi che vogliono prendere una decisione consapevole sul proprio futuro grazie ai consigli di esperti del settore.

Segui la diretta