5' di lettura 5' di lettura
Al Sud gli studenti fanno di media un anno di scuola in menoUno studente di Napoli, in particolare uno di Caivano, al compimento degli undici anni termina la quinta elementare con un anno di istruzione in meno rispetto a un coetaneo del Centro-Nord.

A dirlo è lo Svimez, un’associazione privata che si impegna per lo sviluppo economico e industriale del Mezzogiorno.

La forbice educativa che separa il Sud dal Nord è già preoccupante, ma sembra proprio destinata a peggiorare.

Al sud 200 ore di scuola in meno all’anno

Arrivato a 11 anni, un ragazzo di Napoli conclude la quinta elementare con un anno di studio in meno rispetto a un suo coetaneo del centro-nord. Un “anno mancante” che si traduce, nella pratica, in un numero significativamente minore di lezioni frontali, così come di partecipazione generale ai dibattiti e alle attività scolastiche ed extrascolastiche. In altre parole, meno cultura e consapevolezza.

Come fa sapere Svimez, infatti, un ragazzino cresciuto in una classe nell’Italia centro-settentrionale, per esempio a Firenze, riceve 1226 ore di formazione in un anno scolastico. Diverso il caso per uno studente di Napoli, che alla fine dell’anno totalizza ben 200 ore in meno. Facendo i conti, quindi, in un intero ciclo quinquennale di primaria, si conta un anno di scuola in meno.

L’assenza di tempo pieno e di attività extrascolastiche

Per Svimez, la distanza educativa tra Sud e Nord dipende principalmente dal fatto che nel Meridione quasi non esiste il tempo pieno, così come le attività extra-scolastiche del pomeriggio. Al Sud soltanto il 18% degli studenti ha accesso alle 40 ore settimanali, meno di uno su cinque. In Molise la percentuale scende addirittura all’8%, mentre in Sicilia al 10% e in Campania al 19%. Al Nord, il numero subisce invece un’impennata significativa attestandosi al 48%, ovvero quasi uno studente su due. Soltanto questo comporta, in media, 4 ore di educazione in meno alla settimana.

Viene quindi da chiedersi come mai a Sud non si faccia il tempo pieno. Le ragioni possono essere tante, ma fondamentalmente l’origine del problema è imputata al fatto che non ci sono mense o servizi di mensa convenzionati alle scuole. Come fa sapere Svimez, infatti, il 79% degli alunni delle scuole primarie statali (650mila ragazzi) non beneficiano di alcuna mensa. I dati si fanno ancora più significati in considerazione del fatto che uno studente su due, nel Centro-Nord, ne usufruisce eccome.

Tutto questo ha anche ricadute sulla salute degli studenti. L’associazione evidenzia, da questo punto di vista, che un minore su tre, tra i 6 e i 17 anni, è in sovrappeso, mentre nel Centro-Nord tale condizione si attesta su un alunno su cinque. Il che dipenderebbe tanto dalle abitudini alimentari dovute agli orari quanto alla mancanza di attività fisica: 550.000 allievi delle scuole primarie del Mezzogiorno, esattamente due terzi, non frequentano istituti dotati di una palestra.

Una tendenza in peggioramento

E il quadro presentato, per Svimez, non tenderà a migliorare. Anzi, per l’associazione, il gap potrà solo peggiorare nel tempo, dato il progressivo disinvestimento generale dei governi nei confronti dell’istruzione. Basti pensare che, tra il 2008 e il 2020, l’investimento complessivo in termini reali si è ridotto del 19,5 per cento nelle regioni meridionali, oltre 8 punti percentuali in più del Centro-Nord. Nello stesso periodo, nel Sud, la spesa per gli investimenti sarebbe crollata di quasi un terzo, contro il 23% del resto dello Stivale.

Così Luca Bianchi, direttore dell’associazione Svimez: “Per contrastare queste dinamiche occorre invertire il trend di spesa e rafforzare le finalità di coesione delle politiche pubbliche nazionali in tema di istruzione. La priorità oggi è rafforzare il sistema educativo soprattutto nelle aree marginali, del Sud e del Nord”.