Concetti Chiave
- La natura per Pascoli è una "madre dolcissima", in contrasto con la visione di Leopardi, riflettendo le crisi interiori e offrendo un rifugio dalla sofferenza.
- I paesaggi di Pascoli sono onirici e simbolici, lontani dal realismo, suggerendo un continuo dialogo tra natura e sensazioni umane.
- Le opere di Pascoli, come Mirycae e Canti di Castelvecchio, enfatizzano il ciclo delle stagioni come metafora della vita e della morte.
- Leopardi, nelle sue operette morali, descrive la natura come matrigna indifferente, fonte primaria di infelicità per l'uomo.
- Nella visione leopardiana, la sofferenza umana è inevitabile, causata dall'insaziabile desiderio di piacere che la natura stessa ha instillato nell'uomo.
Indice
La visione di Pascoli sulla natura
La natura di Pascoli è una “madre dolcissima”. La sua posizione si pone in risposta alla concezione di Leopardi: secondo Pascoli sono gli uomini che sono responsabili del male che soffrono durante la vita, male al quale il poeta cerca di rispondere con amore e non con odio.
La visione pascoliana della natura è assai lontana da quella verista: il paesaggio naturale è percorso in lui da fremiti e risente dello sguardo dell’osservatore, che vi proietta sensazioni e angosce proprie. La natura pascoliana si fa specchio della crisi dell’io. I paesaggi e i ritratti umani di Pascoli non hanno nulla di realistico, ma sembrano fluttuare in una dimensione onirica che li rende sfuggenti e inafferrabili: l’apparente realtà idilliaca nasconde, infatti, un’oscura e minacciosa inquietudine. Ma la natura è anche argine alla sofferenza personale e al male insito nella storia: immergersi in essa può contribuire a riequilibrare le disarmonie e i conflitti che agitano il soggetto.Il simbolismo naturalistico di Pascoli
La natura è la protagonista delle opere più liriche di Giovanni Pascoli: Mirycae e i Canti di Castelvecchio. In entrambe queste raccolte è molto presente il tema dell’alternarsi delle stagioni, che simbolicamente allude all’alternarsi della vita e della morte.
Il motivo naturalistico infatti si innesta su quello dei lutti familiari e ne diviene simbolo. Nella descrizione dei particolari della natura, caricati di un valore simbolico, riporta nei suoi testi una serie non gerarchica di particolari oggettivi che rimandano a impressioni soggettive e che quindi non possono essere assemblati in una visione unitaria. Se a una prima lettura si potrebbero ricondurre le poesie di Pascoli alla tecnica del bozzetto naturalistico, a un più attento esame non sfugge che i particolari della natura sono impiegati sempre come rimandi a impressioni soggettive.
Leopardi e la natura matrigna
Le operette morali, nati dalla “conversione filosofica” e della “teoria del piacere”, esprimono il disincanto di Leopardi, la caduta di ogni speranza, e si concretizzano in una filosofia negativa. Fra i temi fondamentali: la critica ai falsi miti dell’età contemporanea e alla concezione finalistica e antropocentrica dell’universo; la visione della natura non più come madre benefica degli uomini, bensì come matrigna indifferente e prima causa della loro infelicità.
Il monologo dell'Islandese
Leopardi sviluppa l'idea di un Islandese che viaggia, fuggendo la Natura. Ma giunto in Africa, in un luogo misterioso ed esotico, incontra proprio colei che stava evitando, con la forma di una donna gigantesca dall'aspetto "tra bello e terribile". La Natura interroga l'Islandese sulle ragioni della sua fuga. La spiegazione dell'uomo è un lungo monologo in cui egli ripercorre le sue concezioni sulla condizione umana: un'articolata riflessione che lo porta a comprendere l'ineliminabile infelicità dell'esistenza. Inizialmente ritiene che la sofferenza nasca dai rapporti umani, spesso violenti. Ma il dolore può nascere anche dall'esterno, quindi inizia a credere che l'individuo soffra perché valica i limiti assegnati dalla Natura. Infine comprende che la sofferenza è insita nell'uomo, caratterizzato da un piacere mai realizzabile del tutto, e non può essere eliminata. La vera causa dell'infelicità è la Natura, che crea e poi tormenta gli esseri viventi. Questa ha assegnato all'uomo il desiderio insaziabile di piacere che non solo è irraggiungibile nel corso di una vita intera, ma a volte è anche dannoso e debilitante. Dopo il lungo monologo dell'Islandese interviene la Natura, che ribalta la posizione dell'uomo: questa è totalmente insensibile al destino degli esseri da lei creati, ma agisce meccanicisticamente secondo un processo di creazione e distruzione, che coinvolge direttamente tutte le creature.
Domande da interrogazione
- Qual è la visione di Pascoli sulla natura?
- Come si manifesta il simbolismo naturalistico nelle opere di Pascoli?
- Qual è la concezione di Leopardi sulla natura?
- Cosa rappresenta il monologo dell'Islandese di Leopardi?
- Come si differenziano le visioni di Pascoli e Leopardi sulla natura?
Pascoli vede la natura come una "madre dolcissima" e crede che il male sofferto dagli uomini sia responsabilità loro, non della natura. La natura diventa uno specchio della crisi dell'io e un argine alla sofferenza personale.
Nelle opere di Pascoli, come "Mirycae" e "Canti di Castelvecchio", la natura simboleggia l'alternarsi della vita e della morte, e i particolari naturali rimandano a impressioni soggettive, non componibili in una visione unitaria.
Leopardi vede la natura come una matrigna indifferente, prima causa dell'infelicità umana, e critica la concezione finalistica e antropocentrica dell'universo.
Il monologo dell'Islandese rappresenta una riflessione sulla condizione umana, dove l'uomo comprende che la sofferenza è insita nell'esistenza e che la natura, insensibile, crea e tormenta gli esseri viventi.
Pascoli vede la natura come un rifugio e una madre dolce, mentre Leopardi la considera una matrigna indifferente e causa di infelicità, evidenziando una visione più negativa e disincantata.