
Tanto si parla di merito, anche per quanto riguarda l’ambito dell’istruzione, specie se riferito al sistema universitario. Ma l’accademia è veramente meritocratica? O ancora, i voti ottenuti agli esami rispecchiano davvero il grado di preparazione degli studenti? La risposta più corretta è una e una soltanto, e cioè dipende.
Tradotto: a volte sì a volte no.Ma una cosa è sicura. Quel voto in nessun modo è rappresentativo del valore di una persona. Su questo tasto insiste la riflessione dello studente che, avvalendosi dell’esempio di un caso concreto, ragiona sul sistema di valutazione universitario, non sempre oggettivo: “Mi farebbe piacere ridimensionare il valore che hanno i risultati universitari nella valutazione delle persone”.
Il post dello studente: “Riflessioni sulla meritocrazia universitaria”
Lo studente, fresco fresco dell’esperienza di un esame, decide di pubblicare su Reddit una riflessione che ha per oggetto la meritocrazia in ambito universitario.
Così racconta lo spunto da cui tutto è partito: “Oggi sono stati pubblicati i voti di un esame che ho frequentato insieme ad altri ragazzi. Uno di questi (indubbiamente il più sgamato e preparato tra noi) ha passato l’esame con 18 al primo appello, 2 non hanno nemmeno tentato di farlo, io non l’ho passato e l’ultimo ha copiato tutto l’esame con chatgpt ed ha preso 19 (questo ragazzo non era palesemente portato per questa materia)”.
Il discorso, precisa però lo studente, non verte né sull’etica né tantomeno sulla condanna: “Io non sto qua a fare moralismi sull’operato di questo ragazzo, non sto a lamentarmi del mio professore perché capisco che le cose possano scappare e che non si possa essere onniscienti, prima o poi un alunno ti frega”. Il punto infatti è un altro: “Il mio pensiero verte sulla mia idea che l’università non sia un ottimo meccanismo per valutare le effettive capacità, competenze o intelligenza di una persona, tutto qui”.
Da qui il passaggio logico viene quasi da sé: “Quindi mi farebbe piacere che, nell’immaginario collettivo, fosse possibile ridimensionare il valore che hanno i risultati universitari nella valutazione delle persone. (Non sto dicendo di togliere valore ai risultati di chi si impegna, sto parlando di ridimensionare il valore che i risultati universitari hanno nella visione di noi stessi)”.
E ancora: “Quindi se siete il tipo di persona che permette ai propri risultati universitari di descrivere il proprio valore, sappiate che non esiste un reale metro di paragone oggettivo che possa compararci gli uni agli altri”.
“Spero che possiate portare cose positive e che altrettante cose positive possano tornarvi indietro ad effetto boomerang!”, conclude lo studente. “Buone vacanze estive! Spero che questo post abbia raggiunto persone che in questo momento sono decisamente troppo dure con se stesse e chi avesse avuto bisogno di rimettere le cose in prospettiva :)”.
I due lati della medaglia: se è vero che “I risultati all'uni non sono indice di bravura” è anche vero che “la meritocrazia si vede sul lungo periodo”
Tra i commenti non è mancata la discussione. Per esempio, qualcuno pone la questione non tanto sul voto in sé, ma sulla costanza del percorso: “All'università la meritocrazia si vede sul lungo periodo, magari un fancazzista riesce a copiare anche 2-3 volte, ma se non studia sufficientemente non passerà altri esami con buoni voti. Uno studioso magari va male anche a diversi esami però sul resto andrà quasi sicuramente meglio”.
C’è chi concorda: “Esattamente, copia fisica 1 e analisi 1 (visto farlo a più gente) prenderai anche il tuo 18 del c***o ma voglio vedere al 2/3 anno senza quelle basi”. Poi per quanto riguarda il sistema di valutazione: “Per carità la media ponderata dei tuoi esami rispecchia appieno la tua capacità e preparazione? No. Però per stare sempre a demolire bisognerebbe anche proporre, se no è sempre un "Ah ma non va bene questo" "Non va bene quello" ecc... ma mai "dovremmo fare così". Troppo facile secondo me”.
Dall’altra parte c’è chi appoggia il discorso dell’autore del post: “Concordo. I risultati all'uni non sono indice di bravura. So benissimo come funzionano le università italiane, ne ho viste di cotte e di crude. Troppe persone che escono con voti alti e poi non sanno fare una cippa lippa”.
“Negli orali è ancora peggio”, dice qualcun altro, “specialmente nelle facoltà umanistiche. Un eterno tiro di dadi per sperare da un lato che il professore/ssa di turno non abbia la luna girata e dall'altro che non ti capiti una domanda del c***o. Non so quante persone ho visto prendere 30 perché gli venivano fatte domande semplici e altri prendere <25 perchè gli uscivano quelle str***e. Oppure persone prendere 30 perché intortavano il professore con la loro oratoria piuttosto che rispondere alla domanda che gli veniva fatta”.