
“Oggi non è una giornata di augurio ma di lotta”. Comincia così l'intervento di Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Unione degli Universitari, che alla Camera dei Deputati ha presentato i primi risultati del report “La tua voce conta”.
Un'indagine che ha portato alla luce diverse testimonianze e segnalazioni circa le violenze di genere perpetuate nelle università.I primi dati ci mostrano uno spaccato inquietante degli ambienti accademici, dove uno studente su tre rivela di avere avuto a che fare con casi di molestie e violenze di genere. Mentre il 20% ha affermato di non sentirsi al sicuro negli spazi universitari. Sono solo i primi responsi a un'indagine che – spiegano gli studenti dell'Udu – rimarrà attiva. Già i primi dati, però, ci dicono che la situazione richiede un intervento strutturale, capace di coinvolgere anche e soprattutto le scuole. Perché da lì bisogna partire per costruire una nuova coscienza collettiva.
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Udu: “Ripartire dalla prevenzione, serve un cambiamento strutturale”
“Con quel visino può fare la escort, ci pensi. Guadagnerebbe anche bene”, “Si vede che sei brava a tenere in mano i c****, quanti ne hai presi? Sembri esperta” . E ancora: “Sono stata più volte toccata dal mio relatore di tesi durante le correzioni del testo”. A pronunciare queste parole, rivolte a studentesse e studenti universitari sono stati docenti e tutor. Dai questionari presentati sono proprio gli insegnanti (secondo il 48% degli intervistati) le figure indicate come più pericolose all'interno dell'ateneo: “Si tratta – dice Camilla Piredda, coordinatrice nazionale Udu – di un problema sistemico, della cultura patriarcale in cui viviamo. È un tema che denunciamo da sempre ma che non ha mai avuto ascolto. Abbiamo ricevuto storie di violenza e molestia da chi l’università l’ha fatta negli Anni ’80: oggi finalmente il problema sta emergendo, grazie anche alle parole di Elena Cecchettin che hanno smosso le coscienze e acceso qualcosa."
"Purtroppo – aggiunge – i dati emersi non ci hanno stupito, dimostrano ciò che sapevamo. Le università non sono sicure. Nella maggioranza dei casi le studentesse devono scegliere tra il loro percorso accademico e il diritto di denunciare. Sanno che le denunce non porteranno a nulla, che l’ateneo si preoccuperà sempre più della propria immagine piuttosto che della sicurezza delle studentesse. C’è piuttosto chi si vede costretta ad abbandonare il percorso o cambiare ateneo per la propria serenità. Tutto questo non è normale e lede il diritto allo studio universitario”. L’Unione degli Universitari mostra poi quali soluzioni si potrebbero adottare: “Dall’indagine – conclude Piredda – emerge la chiara necessità di introdurre presidi antiviolenza in ogni ateneo, oltre che rendere ovunque obbligatoria la figura della Consigliera di Fiducia. Infatti, la sicurezza a denunciare aumenta al 45% dove i presidi sono già presenti mentre scende al 19% dove non lo sono. Servono inoltre dei percorsi obbligatori per la componente studentesca, docenti e personale di ateneo sull’educazione al consenso. Dobbiamo ripartire dalla prevenzione, serve un cambiamento culturale”.
E quando si parla di cambiamento culturale, si parla anche di formazione. Per questo gli studenti chiedono anche alla scuola di fare la sua parte. Lo ha sottolineato Camilla Velotta, esecutivo nazionale della Rete degli Studenti Medi: “Questa indagine ci permette di fare riflessioni importanti. Il tema della sicurezza percepita nei nostri spazi è cruciale. Questi dati non ci sconvolgono, già nei banchi di scuola conosciamo queste dinamiche di potere e ci sono pochi sistemi di tutela. Alle superiori ci scontriamo con gli stessi problemi. C’è difficoltà nel denunciare e nel difendersi, da mesi chiediamo al Ministro dell’Istruzione Valditara di introdurre l’educazione sessuale, affettiva e al consenso sia per docenti che per gli studenti. Serve una prevenzione mirata. Ma anche sportelli antiviolenza e ampliamento del servizio offerto dagli sportelli di assistenza psicologica. Bisogna incrementare il rapporto tra tutti questi spazi”.
CGIL e opposizioni: "Problema endemico del nostro Paese"
Presenti all'evento, anche Giorgia Fattinnanzi, responsabile delle Politiche di contrasto alla violenza e alle molestie di genere della Cgil nazionale, e diversi parlamentari dell'opposizione, tra cui l'On. Nicola Zingaretti (PD), l'On. Vittoria Baldino (M5S), la Senatrice Cecilia D'Elia (PD) e il Senatore Francesco Verducci (PD). La rappresentante della Cgil nazionale nel suo intervento ha tenuto a chiarire che l'intervento sul piano penale non è risolutivo: “La violenza è endemica nel nostro Paese. Fino a 40 anni fa esistevano leggi come lo Ius Corriggendi, ovvero il diritto di picchiare moglie e figli per mariti e padri. C'era il matrimonio riparatore che era il modo in cui si metteva 'a tacere' lo stupro dal punto di vista penale. Stupro che, ricordo, era considerato un reato contro la morale ma non contro la persona fino al 1981. Dal punto di vista culturale, 40 anni sono niente. Il cambiamento è una cosa che richiede decisamente più tempo. Non voglio dire che siamo fermi a 40 anni fa, abbiamo fatto importanti passi avanti, come l'approvazione della Convenzione di Istanbul, ma se non si interviene nella formazione difficilmente riusciremo a uscirne. Anche perché sta emergendo un dato ancora più allarmante: si sta abbassando l'età delle vittime e, contestualmente, anche quella degli aguzzini".