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“Aboliremo le tasse universitarie”. Così su due piedi la proposta lanciata dal presidente del Senato, Pietro Grasso, durante la conferenza programmatica nazionale di ‘Liberi e uguali’ (la nuova formazione politica con cui si candiderà alle prossime elezioni) sembra qualcosa di clamoroso.

Ma siamo sicuri che sia una notizia davvero rivoluzionaria? Non proprio. Perlomeno per due ragioni: innanzitutto perché, riducendo le cifre che gli studenti devono versare agli atenei, il nostro Paese inizierebbe a riallinearsi al sistema di tassazione presente nella maggior parte delle nazioni dell’Unione Europea. E poi perché, se le ultime norme sul diritto allo studio (il cosiddetto ‘Student Act’) – inserite nella legge di Bilancio 2017 e operative da quest’anno accademico – dovessero dare i frutti sperati, l’esonero dal pagamento delle tasse universitarie, se non sarà totalmente realizzato, poco ci manca.

Tasse universitarie, Italia ancora (forse per poco) tra i Paesi più cari

Ma partiamo dal primo punto: alla luce di quanto sta avvenendo in Italia negli ultimi anni – con il numero degli iscritti altalenante e le difficoltà economiche delle famiglie – è quasi nell’ordine naturale delle cose che anche da noi si dovrà andare verso la totale (o quasi) abolizione delle rette universitarie. Limitando il pagamento alle fasce di popolazione con i redditi più alti. Secondo l’ultimo rapporto Eurydice, l’Italia è ancora tra gli otto Paesi (sui 42 esaminati) con le tasse più alte (tra i mille e i tremila euro di media). Da noi, inoltre, oltre il 90% degli studenti è costretto a versare qualcosa agli atenei. E solo il 9% accede a qualche forma di borsa di studio. Una situazione non più sostenibile che, invece, altrove è esattamente capovolta. Ma le cose pare stiano improvvisamente cambiando.

Germania e Scandinavia: qui laurearsi è quasi gratis

In questo senso i Paesi della Scandinavia sono un faro illuminante. Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca, infatti, non applicano alcuna forma di tassazione a tutti gli studenti comunitari. Per gli extra Ue, invece, le università possono applicare costi a volte molto alti (dai 6mila ai 16mila euro per un corso di laurea, fino a 35mila per i corsi di specializzazione). Tra le grandi Nazioni, adottano una filosofia simile anche l’Austria (zero tasse per gli ‘europei’, circa 700 euro a semestre per gli altri) e la Repubblica Ceca (esonero per tutti, ma legato soprattutto al merito, al rendimento negli studi). In Grecia l’università è gratis per le lauree triennali ma può diventare a pagamento per le magistrali). La Germania, però, batte tutti: università a costo zero per tutti (cittadini UE e non), a meno che non si finisca fuori corso.

Solo il Regno Unito peggio dell’Italia: per le lauree magistrali è un salasso

Ma anche dove si paga, non è detto che i costi a carico delle famiglie siano alti. In Francia, ad esempio, con meno di 200 euro l’anno si saldano le tasse per una triennale; per una specialistica ne occorrono poco più di 250; a cui vanno aggiunti 213 euro per la copertura previdenziale. A salire, troviamo la Spagna dove se ci si vuole iscrivere a un corso triennale si dovrà affrontare una spesa annuale che va dai 700 ai 2mila euro, che diventano circa 4mila per la magistrale. Accade più o meno lo stesso in Portogallo e nei Paesi Bassi. Solo nel Regno Unito il quadro cambia radicalmente: per i ragazzi inglesi (e per quelli residenti in Galles) prendere un titolo accademico può arrivare a costare anche 11mila euro annui (ancora più caro per gli studenti stranieri, a maggior ragione dopo la Brexit). In Scozia, invece, il salasso inizia dalle magistrali (si spendono, in media, 5mila euro all’anno). Niente in confronto a quanto avviene in Irlanda: per una laurea di secondo livello si deve essere pronti a sborsare fino a 30mila euro.

Diritto allo studio, la ‘no tax area’ abolisce la retta universitaria

E in Italia? Come detto, la media delle tasse universitarie è di poche migliaia di euro. Comunque tanti. Gli atenei, però, già da tempo prevedono alcune forme di agevolazione per determinate categorie di iscritti: ad esempio per quelli che ottengono ‘cento’ (in alcuni casi basta 95) alla maturità o il cui ISEE (l’indicatore della situazione economica equivalente, in poche parole il reddito famigliare) è così basso da spingere l’università a richiedere solo una somma minima. Ma la cosiddetta ‘no tax area’, introdotta proprio da quest’anno accademico 2017/2018, sembra destinata a stravolgere ulteriormente la situazione. La norma, infatti, prevede l’esonero totale dal pagamento delle tasse universitarie per quegli studenti con ISEE pari o inferiore a 13mila euro: dal primo anno indistintamente per tutti, dal secondo valutando anche il merito (numero minimo di crediti conseguiti).

Con lo ‘Student Act’ per molti studenti l’università è già a costo zero

In più, se l’ISEE supera i 13mila euro ma si mantiene entro i 30mila euro, la cifra da pagare non potrà superare il 7% della differenza tra l’Indicatore e i 13mila euro. Limitando, di fatto, l’esborso a cui erano abituati i ragazzi che decidevano di prendere una laurea. A cui vanno aggiunti ‘ammortizzatori sociali’ – sotto forma di Borse di studio - per le famiglie con più figli a carico, per i portatori di handicap, per chi si trova in ristrettezze economiche. Un fondo che, rispetto all’anno scorso, è cresciuto di 68milioni di euro (arrivando a 217 milioni di euro per il 2017/2018). Mettendo a sistema tutti gli elementi elencati sinora si può arrivare alle seguenti conclusioni: attualmente già 1 studente su 3 rientra nella ‘no tax area’, molti altri stanno risparmiando grazie ai nuovi parametri di calcolo delle rate, una discreta percentuale può accedere alle Borse di studio. Tradotto: per una fetta importante di universitari l’abolizione delle tasse è quasi un dato di fatto, senza bisogno di ulteriori riforme. Se ci sono riusciti quasi tutti gli Stati della UE perché non dovremmo farcela noi? E se a pagare rimarranno solamente le famiglie più abbienti difficilmente qualcuno si scandalizzerà.

Marcello Gelardini