
Trovare la forza, in un certo senso, per essere se stessi e per cominciare finalmente a vivere, come è accaduto a L. uno dei ragazzi transessuali di Casa +, casa di accoglienza di Croce Rossa Italiana. Una vita travagliata, fatta di bullismo e minacce di morte, soprattutto da parte della famiglia che non ha mai voluto accettare il suo status di ragazzo trans. “Ero stanco di vivere ma volevo vivere”: una frase che caratterizza tutto il percorso svolto da L. che oggi vorrebbe solo riuscire a trovare la serenità che merita. “Vorrei poter essere finalmente me stesso e questo significa portare avanti la mia transizione”.
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“Grazie a un amico ho capito di essere trans”: la storia di L.
L. ha 22 anni e da nove mesi vive all’interno di Casa + dopo essere scappato da una situazione familiare che non gli permetteva di vivere in tranquillità. E’ nato donna e ha sempre vissuto la sua sessualità naturalmente, preferendo le macchinine alle bambole e avendo atteggiamenti “più maschili”. “Non era una cosa tanto netta - ci racconta - non sapevo cosa volesse dire essere trans”. Tutto inizia a cambiare a 15 anni, quando un amico gli confessa di essere un ragazzo trans: “E io ho risposto. “Che cos’è? Spiegami”. “Io sono un ragazzo” mi dice. Non mi faceva strano, anzi, ho iniziato a pensare che esisteva qualcosa che somiglia a quello che sentivo io”.Ha iniziato a prendere consapevolezza del suo status, ma per non creare problemi aveva deciso di tenerlo per sé. Primo del suo coming out, L. viveva una doppia vita: “Avevo paura di dire certe cose a casa, quindi al di fuori ero un ragazzo, con i miei amici ero un ragazzo, ma con i miei familiari tornavo a essere una donna”. Raggiunta la maggiore età, però, decide di doversi liberare da questo peso: “Non volevo più mentire, ho fatto coming out perché stavo esplodendo”.
“Ho fatto coming out con la mia famiglia: mi hanno minacciato di morte”
Il momento del coming out per L. è arrivato di getto, dopo anni di silenzio e paura. Con gli amici è stato semplice: “Mi hanno sempre appoggiato in tutto. A volte erano loro a dire a me certe cose. Quando ho comunicato che ero un uomo trans, mi hanno detto “Noi lo sappiamo già”. Con loro l’ho vissuta molto diversamente. I miei non se lo aspettavano”. L. fa fatica a parlare della sua storia familiare. La crepa che si è creata dopo la sua confessione è stata tanto inaspettata quanto dolorosa. “I miei mi hanno guardato con degli occhi indescrivibili, come se avessi ucciso qualcuno. Lo stesso sguardo di quando in televisione vedi un assassino e fanno vedere la sua faccia. Sapevo sarebbe andata male. Ma non mi aspettavo quello che sarebbe avvenuto dopo”.La situazione in famiglia degenera drasticamente quando vengono coinvolti anche altri componenti: “Non mi aspettavo di arrivare al punto di non uscire più di casa. Ho passato quasi due anni chiuso in casa da solo e c’è chi mi ha anche minacciato di morte. Mi dicevano: “Questo dispiacere a tua mamma non lo avrei dato. Perché non ti sei ammazzato?!”. Dolori indelebili che L. porta con sé anche nel suo racconto. Quasi giustificandosi ci dice: “Non potevo fare altrimenti, se non fossi stato me stesso non sarei mai stato felice. Essere me stesso per me è la transizione, e vivere in un certo contesto, vivere non essendo considerato donna”.
Le discriminazioni a lavoro: “Mi hanno accusato di molestie sessuali”
Dopo due anni chiuso “Ero stanco di vivere ma volevo vivere, quindi sono scappato di casa” - ci racconta. L. decide di andare via dalla sua città e di provare a cercare un lavoro fuori. Diventa cameriere ai piani di un albergo ed è qui che iniziano i seri problemi: “All’inizio mi danno la divisa da donna, ma io volevo lavorare quindi accetto. Al lavoro mi davano sempre del femminile, e anche in quel caso non ho mai detto nulla. Il peggio arriva quando sono dovuto andare a vivere nell’appartamento con le altre lavoratrici, perché non mi avevano mandato dal lato degli uomini. Le donne mi vedono, capiscono, e mi accusano di molestie sessuali solo perché sono un ragazzo e non posso stare dove ci sono le ragazze”. L. prova a spiegare la situazione, affermando che quanto accaduto non era stato frutto della sua volontà, ma le colleghe non hanno voluto sentire ragioni: “Sono andate dal capo e hanno detto che io avevo molestato sessualmente una delle residenti perché sono trans”.Il datore di lavoro prende immediatamente le difese delle ragazze, senza chiedere il parere di L. che si è trovato accusato ingiustamente. “Non ho avuto la possibilità di parlare, perché il capo si è arrabbiato. Alla fine sono stato licenziato e sono dovuto tornare a casa”.
“Ho perdonato i miei genitori ma non dimentico: adesso vorrei solo poter stare tranquillo”
Dopo essere stato licenziato dal lavoro, L. decide nuovamente di dare una svolta alla sua vita e si mette in contatto con gli operatori di Croce Rossa Italiana per essere ospitato all’interno della casa di accoglienza Casa +. Da circa nove mesi vive qui con altr* ragazz* che hanno vissuto esperienze di omotransfobia e oggi vorrebbero riuscire a riprendere in mano la propria vita evitando paura e pregiudizi.“Il mio obiettivo per ora è stare tranquillo - ci dice L. - avere la mia casetta, il mio lavoro, sentirmi uomo e stare tranquillo. Mi piace l’avventura, mi piace tutto ma prima di tutto voglio stare tranquillo”. Nel frattempo sta provando a ricostruire un legame anche con i suoi genitori: “Perdonare è facile, però non dimentico. Le cose che mi dicevano, che mi sono state fatte, non le dimentico. Posso solo provare a vedere se c’è stato un cambiamento. Un genitore che ti dice di non tornare più a casa, che ti guarda negli occhi e ti dice “Tu mi stai ammazzando” o “Hai ucciso mia figlia”, fa male, perché io sono sempre la stessa persona, non sono cambiato”.
Oggi L. è un ragazzo maturo, saldo a dei principi che tiene sempre a mente e gli consentono di razionalizzare anche su ciò che sarà: “Questa è la mia vita. E’ una e non voglio avere rimpianti. Voglio sentirmi apposto con me stesso - sottolinea. "E’ un lavoro che dovranno fare anche i miei genitori, non solo io. Ma non mi piace lasciare le cose a metà”.
Fonte foto: Croce Rossa Italiana
Casa+, la casa di accoglienza per giovani LGBT di Croce Rossa
Casa + è il luogo in cui giovani che fanno parte della comunità LGBT, di età compresa tra i 18 e i 30 anni, riescono a trovare rifugio e sostegno a seguito di esperienze negative che li hanno portati ad allontanarsi dalla propria famiglia. Il progetto di Croce Rossa nasce nel 2016, insieme a un altro partner, per rispondere alle esigenze di protezione per vittime di omotransfobia e persone discriminate, e si evolve, nell’aprile 2021, in Casa +, un porto sicuro che offre gratuitamente ospitalità, e dove è possibile svolgere percorsi educativi e di inclusione lavorativa.Qui, i ragazz*, come L., vengono aiutati attraverso interventi individuali e concreti che si sostanziano nel recupero delle risorse e nel reinserimento sociale, intraprendendo percorsi di crescita personale e professionale, con l’obiettivo di renderli del tutto autonomi e capaci di tornare a volare da soli.
Come si accede a Casa +? E’ possibile mettersi in contatto con gli operatori CRI di Casa + mediante il numero verde gratuito 800 065510, oppure attraverso messaggi WhatsApp al numero di telefono 370 1288375, attivo dal lunedì al sabato, dalle ore 8:00 alle 20:00.