
Noi di Skuola.net abbiamo incontrato alcuni di loro e siamo rimasti colpiti dal racconto di un giovane ragazzo che identificheremo con il nome di J. per motivi di privacy. Ha solo 20 anni ma alle spalle una lunga esperienza consumata tra violenze e soprusi, determinati dai suoi familiari più stretti: il padre e i fratelli.
Per J. - che da circa un anno vive all’interno della struttura adibita da Croce Rossa - la sofferenza è stata una costante e oggi vorrebbe solo riuscire a trovare un lavoro che gli permetta di vivere serenamente. All’età di 17 anni il primo grande trauma: “Ho sempre saputo di essere gay, ma quando ho deciso di fare coming out con i miei familiari è stato l’incubo peggiore della mia vita”. Una vita che da allora è stata un cumulo di insulti, atti di omofobia e molestie sessuali che fa fatica a raccontare. Ad aiutarlo in questo percorso c’è stata solo sua sorella, dalla quale vorrebbe presto tornare per poter ricostruire la sua famiglia.
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“Quando ho fatto coming out con mio padre voleva portarmi in cura”
J. non ha mai avuto dubbi sul proprio orientamento sessuale: è sempre stato un ragazzo a cui piacevano gli uomini e non ha mai pensato che questo potesse essere un problema per se stesso. Dopo aver trascorso l’adolescenza in apparente silenzio, all’età di 17 anni decide, sotto consiglio della sorella maggiore, di affrontare gli altri componenti della sua famiglia e di fare coming out anche con loro. “Mio padre quando mi sono dichiarato mi disse "Ok perfetto, ti devo portare a curare". L'unica che stava a mio favore e che mi comprendeva di più era mia sorella, che spiegò a mio padre che questa non era una malattia e che io sarei stato comunque suo figlio”. Nessuna presa di coscienza, però, da parte del genitore, anzi: da quel momento in poi per J. la vita ha iniziato a diventare un vero e proprio incubo.
“Venivo picchiato dai miei fratelli, non volevano che uscissi più di casa”
Ancor prima di affrontare il proprio coming out, J. immaginava la possibile reazione dei suoi familiari, ma mai avrebbe pensato che di lì a poco la famiglia, a cui era molto legato, si sarebbe trasformata in un inferno fatto di violenza psicologica e fisica. “Da una parte speravo che i miei fratelli e mio padre mi potessero comprendere, ma non è stato così. I miei fratelli hanno iniziato ad insultarmi e a picchiarmi”. Atti di omofobia che fino ad allora non aveva mai vissuto sulla propria pelle e che hanno lasciato ferite inimmaginabili proprio perché provenienti dalla sua famiglia. “Quando ho iniziato ad essere di più me stesso, i miei fratelli e mio padre mi hanno complicato la vita: non volevano farmi uscire, volevano che rimanessi a casa, che mi vestissi in un certo modo, mi sputavano, mi picchiavano, hanno addirittura alzato le mani a mia sorella perché mi difendeva. Le dicevano "Per colpa tua lui è così, perché sta sempre con te, sta sempre con le femmine, fa cose femminili come ballare e cantare”. E sono stato costretto ad allontanarmi anche da lei”. Dal canto proprio, J. ha sempre provato a portare avanti la ragione, anche di fronte alle discussioni più animate: “Volevo fargli capire che stavano sbagliando, però quando poi si passava alla violenza e iniziavano a ferirmi fisicamente, io purtroppo lì non potevo fare niente. Essendo più grandi di me, più forti, logicamente non potevo fare niente”.
Le molestie a scuola: “Quando le ho raccontate gli insegnanti non mi hanno creduto”
Difficoltà in famiglia e lotta continua contro i pregiudizi anche fuori dalle mura domestiche. Per J. perfino gli anni scolastici non sono stati semplici: “a scuola quando ero ragazzino non mi dichiaravo, però alcuni già lo sapevano, si allontanavano e mi insultavano”. Altri, invece, consapevoli del suo orientamento sessuale, hanno provato a molestarlo sessualmente: “Una volta è capitato a scuola. Un compagno veniva sempre in bagno con me, mi toccava. Io onestamente, essendo più piccolo e più sensibile tacevo e non lo dicevo a nessuno. Poi, sono riuscito a parlare con l’insegnante che, però, non mi ha creduto e non ha preso alcun provvedimento”.
Oggi vive a Casa+ e sogna di poter tornare a vivere con sua sorella
Da circa un anno J. vive all’interno della struttura di Casa+ e condivide la vita con altr* ragazz* che hanno vissuto atti di omofobia. Mentre è intento a raccontare la sua storia viene fuori la sofferenza che si porta dietro da tutta la vita. Prima si è nascosto per non essere additato e giudicato; poi l’allontanamento da casa come unica soluzione per riuscire a salvarsi e vivere più serenamente. Il distacco dalla sua famiglia gli procura tanta tristezza e per questo, ci confessa, nel suo futuro si vede insieme alla sorella, l’unica che lo ha compreso e rispettato. “Vorrei poter lavorare e volare con le mie ali e riprendere la mia vita, proprio dal punto in cui è stata interrotta”.Casa+, la casa di accoglienza per giovani LGBT di Croce Rossa
Casa+ è il luogo in cui giovani che fanno parte della comunità LGBT, di età compresa tra i 18 e i 30 anni, riescono a trovare rifugio e sostegno a seguito di esperienze negative che li hanno portati ad allontanarsi dalla propria famiglia. Il progetto di Croce Rossa nasce nel 2016, insieme a un altro partner, per rispondere alle esigenze di protezione per vittime di omotransfobia e persone discriminate, e si evolve, nell’aprile 2021, in Casa+, un porto sicuro che offre gratuitamente ospitalità, e dove è possibile svolgere percorsi educativi e di inclusione lavorativa.Qui, i ragazz* accolti vengono aiutati attraverso interventi individuali e concreti che si sostanziano nel recupero delle risorse e nel reinserimento sociale, intraprendendo percorsi di crescita personale e professionale, con l’obiettivo di renderli del tutto autonomi e capaci di tornare a volare da soli.
Come si accede a Casa+? E’ possibile mettersi in contatto con gli operatori CRI di Casa+ mediante il numero verde gratuito 800 065510, oppure attraverso messaggi WhatsApp al numero di telefono 370 1288375, attivo dal lunedì al sabato, dalle ore 8:00 alle 20:00.