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Bulli e punizioni: sospensioni, bocciature e "lavori socialmente utili", ecco come si agisce articolo

Apparentemente sacrosanto quando si oltrepassa il limite, molto più difficile metterlo in pratica. Nonostante le norme scolastiche consentano un certo margine di manovra. Il 5 in condotta, di cui tanto si è discusso negli ultimi giorni, ad oggi è l’unica arma che hanno in mano presidi e insegnanti per punire in modo esemplare i comportamenti aggressivi.

Non solo quando la vittima è un professore (come avvenuto di recente a Lucca, Velletri, Caserta e in tante altre classi d’Italia). Con l’insufficienza in condotta, infatti, la bocciatura è automatica. Ma, andando ad analizzare le statistiche ufficiali del Miur, ciò avviene in rarissimi casi, sicuramente in meno di quelli che finiscono sul registro di classe alla voce ‘atti violenti’. Nell’anno scolastico 2016/2017, ad esempio, solo lo 0,1% degli studenti è stato fermato per motivi disciplinari. Appena 1.835 ragazzi su quasi 2 milioni di iscritti alle superiori (dal primo al quarto anno).

Violenza a scuola: i casi sono maggiori delle punizioni

I numeri non tornano. Se è vero, come riporta una ricerca di Skuola.net, che circa il 7% degli stessi studenti ha assistito come minimo una volta a episodi di aggressione nei confronti di un docente da parte di un proprio compagno. A cui vanno aggiunti quelli, più frequenti, in cui le schermaglie vedono protagonisti due o più coetanei. Eppure le scuole avrebbero tutti gli strumenti per fronteggiare chi esce dai binari e inquina il clima costruttivo che si dovrebbe respirare in classe. La chiave, in tal senso, è contenuta nel Decreto Ministeriale n.5 del 16 gennaio 2009 – ‘Criteri e modalità applicative della valutazione del comportamento’ – che all’articolo 2, comma terzo, recita esplicitamente: “La valutazione del comportamento inferiore alla sufficienza, ovvero a 6/10, riportata dallo studente in sede di scrutinio finale, comporta la non ammissione automatica dello stesso al successivo anno di corso o all’esame conclusivo del ciclo di studi”. Quanto basta per passare dalle parole ai fatti.

Quando si decide di assegnare 5 in condotta?

Certo, si deve pur sempre trattare di casi estremi. Non basta una semplice insubordinazione o un atteggiamento violento latente per portare dritti verso la bocciatura. A stabilire il confine tra il perdonabile e l’inaccettabile ci pensa, nuovamente, il D.M. 5/2009: “la valutazione insufficiente del comportamento […] - si legge all’articolo 4, comma 1 - deve scaturire da un attento e meditato giudizio del Consiglio di classe, esclusivamente in presenza di comportamenti di particolare gravità riconducibili alle fattispecie per le quali lo Statuto delle studentesse e degli studenti […] nonché i regolamenti di istituto prevedano l’irrogazione di sanzioni disciplinari che comportino l’allontanamento temporaneo dello studente dalla comunità scolastica per periodi superiori a quindici giorni. E, come continua lo stesso articolo, al comma 2, “successivamente alla irrogazione delle sanzioni di natura educativa e riparatoria previste dal sistema disciplinare, non abbia dimostrato apprezzabili e concreti cambiamenti nel comportamento”.

Le scuole tendono a difendere i ragazzi? È un’ipotesi

Ma cosa c’è di più grave, all’interno delle mura scolastiche, di alzare la voce (o addirittura le mani) contro il proprio professore? Di aggredire, minacciare, sminuire la figura che andrebbe rispettata di più? Messo lì proprio per aiutare i ragazzi a crescere? Non tutti gli episodi, ovviamente, hanno la stessa ‘intensità’. Vogliamo sperare che la sospensione superiore a 15 giorni sia opportuna in pochissimi casi. Ma, le statistiche sulle punizioni in generale (comprese quelle più leggere), sembrano sottovalutare il fenomeno. Il sospetto che rimane, a questo punto, è che solo quando la vicenda diventa mediatica, come quelle delle scorse settimane, la scuola è in qualche modo ‘costretta’ ad agire. Nel resto dei casi si preferisce adottare una linea morbida. Magari per tentare di recuperare il ragazzo o per non scatenare le proteste.

I Rav parlano chiaro: meglio il dialogo dei provvedimenti

Non sono solo sensazioni. I dati ricavati dai Rav – i rapporti di autovalutazione, compilati dagli istituti e pubblicati sul portale del Miur ‘Scuola in chiaro – sono abbastanza eloquenti. Nel nostro Paese, in media, quasi 6 scuole su 10 – 58% - riportano almeno un episodio violento avvenuto nell’ultimo anno censito. Ma meno di un terzo di questi – il 31% - sfocia in azioni sanzionatorie (come la sospensione). E solo in poco più di 1 caso su 10 – 14% - si opta per azioni costruttive (lavori socialmente utili, ecc.). Il più delle volte – 54% - si preferiscono adottare azioni interlocutorie, votate al perdono (richiami verbali su tutte). Tendenze che, con proporzioni simili, si riscontrano in tutte le regioni d’Italia. Ma, ogni tanto, la mano pesante non guasterebbe affatto.

Marcello Gelardini