
Bulli e soprattutto cyberbulli, complice la pandemia, negli ultimi mesi potrebbero aver trovato degli alleati in più: la didattica a distanza e le restrizioni alla mobilità, che hanno portato i giovani a passare più tempo online.
In generale, infatti, solo negli ultimi dodici mesi più di 1 ragazzo su 8 racconta di essere stato vittima di cyberbullismo. Ma una quota simile dice di essere stato oggetto di prese in giro - che spesso sono solo il primo passo verso una ripetitività che diventa presto opprimente - durante le lezioni online, ad opera di altri coetanei (12%) o addirittura dei docenti (14%). È quanto emerge da una recente indagine dell’Associazione Nazionale Di.Te, condotta in collaborazione con il portale Skuola.net e con VRAI (Vision, Robotics and Artificial Intelligence – Dipartimento di Ingegneria Informatica dell’Università Politecnica delle Marche), su un campione di 3.115 studenti di età compresa tra gli 11 e i 19 anni. E che rendono ancora più importanti appuntamenti come quelli del 7 febbraio, Giornata Nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo.
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La dimensione digitale fa uscire il bullo allo scoperto
Ma il fatto che questa nuova tipologia di atti avvenga quando sono collegate contemporaneamente classi intere ha anche un altro effetto: amplificare ulteriormente la platea degli spettatori. Più o meno 1 intervistato su 5, ad esempio, dice di aver assistito ‘da remoto’ a episodi che mettevano nel mirino altri compagni, 2 su 5 addirittura i docenti. “L’immaterialità della relazione digitale – fa notare Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net - libera da tutta una serie di freni inibitori, scatenando nel peggiore dei casi fenomeni feroci come l’hate speech o il cyberbullismo. Cosicché nella DAD diventano enormi le percentuali di studenti che si sentono liberi di prendere in giro altri compagni o i propri docenti. Situazioni che di sicuro avvengono anche in classe, ma non ci risulta in queste proporzioni”.
I 'luoghi' più pericolosi
Di sicuro c’è, come detto, che il ricorso prolungato alla DAD ha fatto lievitare il numero delle ore trascorse online. E quindi ha aumentato i rischi di imbattersi (da spettatori o da vittime) in episodi di cyberbullismo. I luoghi digitali dove è più facile che alberghi il cyberbullismo? I social network (per il 72%), le chat (per il 45%), le piattaforme di videogiochi (per il 23%), canali video (per il 18%), piattaforme di videochat (per il 12%) o di DAD (per il 6%). Oltre la metà dei ragazzi intervistati, inoltre, collega il maggior uso di social e chat a un maggior pericolo di essere esposti al cyberbullismo o peggio ancora di diventare bulli, sia nel ruolo di esecutori materiali che di consapevoli complici, con un like o una condivisione di troppo: il 18%, ad esempio, dichiara che nell’ultimo periodo ha postato, messo ‘mi piace’, condiviso o commentato foto, video, stories o post con prese in giro.
Ripensare la didattica, specie se a distanza
Come frenare la minaccia? A dare una possibile 'ricetta' è Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te: “La didattica a distanza – dice - ha bisogno di altri ritmi rispetto a quelli della classe in presenza. Il tempo online, da soli nella propria stanza, non è lo stesso di quello offline. Servono lezioni più dinamiche, più energiche, più capaci di incuriosire, più coinvolgenti”. E poi c'è tutto il lavoro di sensibilizzazione che le scuole possono fare, anche in questo periodo: “Quelli che i ragazzi credono essere scherzi – continua Lavenia - in realtà sono atti aggressivi; la messa online o in chat di una foto e/o di video senza il permesso dell’altro è cyberbullismo, e queste immagini rischiano di rimanere nel web per sempre, con tutte le conseguenze immaginabili”. Un'esigenza, quella dell'educazione al digitale, tra l'altro già fortemente avvertita dai ragazzi: il 77% vorrebbe saperne di più proprio grazie a lezioni scolastiche sul tema.