
Da quando ha lasciato l’Italia, Eugenio ha avuto modo di toccare da vicino i frutti del proprio lavoro di data scientist lavorando al prototipo di una protesi artificiale che si comanda col pensiero: un progetto che lo ha portato a concorrere alle Olimpiadi di robotica di Ginevra. Non solo, durante la pandemia il 28enne ha sviluppato un sistema in grado di tracciare le zone con il più alto picco di contagi, incrociando le informazioni provenienti dal sistema sanitario americano.
Ma quella di Eugenio è anche la classica storia del “cervello in fuga”, emigrato oltreoceano perché desideroso di espandere l’attività di ricerca e perché ”in Italia la ricerca è relegata alla sola teoria, senza risvolti pratici”. Abbiamo fatto due chiacchiere con il giovane ricercatore per cercare di capire meglio quali sono i benefici del suo lavoro per la sanità, ma anche per individuare le carenze di cui soffre il sistema universitario italiano.
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Un Data Scientist al servizio delle persone
La passione per il lavoro, ma soprattutto il desiderio di realizzare un modello che potesse aiutare nel concreto le persone, hanno portato Eugenio lontano dall’Italia. Dopo aver conseguito la laurea triennale in “Ingegneria Elettronica e Tecnologie dell’Informazione”, all’Università di Genova, Eugenio sceglie la sua strada: ”A Genova mi sono trovato bene ma quello che facevo era molto tecnologico e ingegneristico, senza troppi impatti sulle persone: senza quel lato, diciamo più ‘sociale’, che potesse contribuire a fare la differenza. Così ho deciso di svolgere un master a Londra all’Imperial College che avevo già visitato precedentemente” spiega Eugenio. Nel corso della sua esperienza londinese il giovane Eugenio ha modo di affacciarsi all’intelligenza artificiale e alle neurotecnologie, vale a dire ”l’applicazione dell’ingegneria in ambito umano”.”Durante il Master all’Imperial College ho lavorato allo sviluppo di protesi robotiche da controllare con il pensiero. E’ stato un qualcosa di estremamente interessante e futuristico se pensiamo che era il 2015. Siamo persino finiti a competere alle Olimpiadi di robotica in Svizzera” racconta con entusiasmo il giovane ricercatore. E’ proprio lì che Eugenio capisce la sua strada: e cioè come utilizzare la tecnologia per migliorare la salute delle persone. A Londra Eugenio lavora tre anni specializzandosi come data scientist, sviluppando modelli di predizione delle malattie basandosi sull’analisi dei dati: ”L’azienda per cui ho lavorato era a stretto contatto con il sistema sanitario inglese. I dati dei singoli pazienti venivano analizzati: e da lì si poteva capire ad esempio la progressione o regressione di una malattia. L’enorme quantità di dati si trasformava in un’opportunità per aiutare le persone” racconta Eugenio.
L’intelligenza artificiale per tracciare la progressione del Covid19
Nel 2019, spinto dalla voglia di approfondire gli studi, Eugenio migra oltreoceano iscrivendosi a un master al MIT di Boston, frequentando parallelamente un altro corso all’Università di Harvard. ”Ho studiato data scientist con focus sull’ambito del business, come possiamo applicarlo all’ambito della salute e della finanza, ma cercando di avere comunque un impatto positivo sulle persone”. A marzo 2020 scoppia la pandemia, un’opportunità di crescita ulteriore per Eugenio che non si tira indietro ma anzi dà il suo contributo: ”Quando è scoppiata la pandemia, al MIT è stato un periodo di grande attività. Ho utilizzato Analytics e l’intelligenza artificiale per fare predizioni su quale zone dell’America avrebbero avuto il più alto tasso di infezioni. Cercavamo per ogni Stato dell’America il loro bollettino sanitario, incrociando le informazioni su quali sono gli ospedali: abbiamo dato in pasto al nostro modello questi dati e abbiamo scoperto qual è la progressione del Covid in ogni area” rivela Eugenio.Concluso il master in appena due anni, il giovane ricercatore decide di rimanere negli USA, trasferendosi a New York. Qui tutt’oggi lavora per una grande multinazionale - la Cvs Health - ”la più grande azienda nel mondo nell’ambito della salute, e la quarta per fatturato”. L’azienda è un'enorme realtà nel vertical healthcare e opera con una grande mole di dati. ”Quello che noi facciamo - spiega Eugenio - è fare predizioni in vari ambiti, nello specifico la predizione di malattie complesse croniche. Cercare di capire chi, tra i pazienti, avrà il più grande peggioramento della propria condizione per poter investire meglio nelle loro cure”.
La mancanza di visione per il futuro si traduce nella fuga dei cervelli
Eugenio è solo l’ultimo di una lunga lista di talenti che decidono di cercare fortuna al di fuori del proprio Paese e non nega di voler contribuire allo sviluppo dell’Italia. “Mi piacerebbe dare indietro le skills che ho appreso, portandole in Italia, magari aprendo una start-up nell’ambito dell’intelligenza artificiale” rivela Eugenio. Ma cosa manca all’Italia? Quali sono i motivi che disincentivano i giovani ad avviare un’attività e - nel peggiore dei casi - lo spingono ad andarsene? ”Al momento credo sia più una questione di infrastrutture e di realtà economica. Ad esempio, le difficoltà burocratiche italiane legate all’apertura di un’attività sono una cosa che non ho mai visto in Inghilterra o negli Stati Uniti”.Quando un giovane abbandona il proprio Paese non lo fa a cuor leggero, ma spesso non ha scelta: ”C’è sempre questa discussione sui giovani che non vogliono lavorare, ed è vero, ma solo perché le condizioni lavorative in Italia sono incredibilmente preoccupanti. Quello che si sente in Italia sul lavoro, non riesco nemmeno a spiegarlo qui. Ancora adesso i ragazzi hanno problemi ad avere una retribuzione, ad essere rispettati: queste non sono grandi richieste, ma le basi del lavoro. E’ comprensibile che un ragazzo che voglia creare valore cerchi di allontanarsi da questo contesto”. Alla fine però si tratta di mentalità, non di investimenti. E la non curanza delle istanze dei giovani si traduce in una mancanza di visione del futuro da parte di una ”politica per troppo tempo inconsistente”
L’università italiana non prepara al lavoro
Con nostro stupore Eugenio ci rivela che avrebbe piacere nell’insegnare - un giorno - tutto quello che ha imparato. Fare il professore è un modo come un altro per mettere al servizio della comunità le sue conoscenze e colmare in un certo senso le carenze della formazione universitaria italiana: ”Mi piacerebbe insegnare anche perché c’è un grosso gap in Italia su quello che è un concetto e come si fa. Avendo studiato in Italia e all’estero, posso dire che il ‘taglio’ delle università italiane è eccessivamente teorico. Occorre iniziare a lavorare dall’università o, se non altro, servono docenti in grado di prepararti praticamente al lavoro che dovrai svolgere dopo gli studi. Un conto è quello che impari, un altro conto è capire la quotidianità che gira intorno a quel lavoro e quel settore: e questo si impara durante un tirocinio”.Lo stage è anche una possibilità di consapevolezza: ”Solo nel pratico ti accorgi se quella è o meno la tua strada. Sarebbe uno spreco di tempo laurearsi per poi realizzare che quello non è il futuro che si vuole”. Nonostante tutto però, Eugenio ha una grande nostalgia dell’Italia. Cosa gli manca di più? ”Le persone. Penso che l’attitudine italiana sia unica, particolare e molto positiva, ma anche paradossale: nessuno è più critico degli italiani verso il proprio Paese, eppure tutto rimane fermo” conclude Eugenio. Infine, la domanda da un milione di euro: Eugenio tornerà mai in Italia? “Qualora dovessero esserci le condizioni sarei ben felice di riportare il mio valore a casa”.