
Circa una settimana fa il Partito Democratico ha cambiato il suo leader. Toccherà all’ex presidente del Consiglio Enrico Letta (già vice-segretario una decina di anni fa) prendere nuovamente in mano le redini del partito, per ricostruirne il rapporto con i cittadini. L’attenzione di Letta, in particolare, si è rivolta verso i giovani, puntando a un maggior coinvolgimento delle nuove generazioni nella politica e nelle scelte che, attraverso il voto, determinano le nostre vite. Le sue parole sono apparse chiare fin da subito: “Se non riusciremo a coinvolgere i giovani io avrò fallito il mio obiettivo”. I ragazzi della Generazione Z, infatti, sono spesso trascurati dalle istituzioni politiche, non venendo riconosciuta loro quella maturità e responsabilità che invece possono e devono avere.
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Ma, nel pratico, cosa si può fare per rendere il Paese più aperto alla partecipazione giovanile? Letta ha avanzato alcune proposte, tra cui quella di estendere il diritto di voto ai 16enni. Non è certo la soluzione definitiva a un problema controverso e discusso ormai da decenni, ma di sicuro potrebbe rappresentare un input fondamentale per fare quel passo in avanti.
Un suggerimento che, in realtà, era stato già avanzato in altre occasioni da vari esponenti politici: nel 2007 da Walter Veltroni, nel 2015 dalla Lega attraverso una proposta di legge costituzionale e, infine, dai socialisti. La tematica è sicuramente molto delicata perché va a incidere su una parte della Costituzione che da sempre rappresenta il nostro principale punto di riferimento. Per questo è bene fare un quadro della situazione attuale, con le argomentazioni avanzate da chi sostiene o meno tale cambiamento.
Voto ai minorenni: dove è già realtà
Iniziamo col dire che diversi Paesi nel mondo hanno già introdotto la possibilità del voto per gli adolescenti di 16 o 17 anni. Gran parte degli Stati che compongono il centro-sud America ha fissato a 16 anni l’età minima per il voto. In Argentina, per esempio, per sedicenni e diciassettenni il voto è opzionale e diventa obbligatorio ai 18 anni; anzi se i cittadini, nella fascia d’età tra i 18 e i 70 anni, non si recano alle urne, per esprimere la loro opinione politica, rischiano di essere multati. La stessa situazione la troviamo in Brasile, Ecuador, Cuba e Nicaragua. In Indonesia, nel Timor Est e in Corea del Nord si vota, invece, dopo aver compiuto 17 anni ma, in quest’ultimo caso, tale decisione non ha alcun valore visto che siamo in presenza di una dittatura.Anche il vecchio continente, però, vuole essere più “teen-friendly”. Il primo Stato ad aver acconsentito all’abbassamento dell’età del voto è stata l’Austria. Nel 2007, il governo di coalizione tra conservatori e socialdemocratici, riuscì a introdurre questa decisione innovativa e nel 2008 i sedicenni varcarono le urne elettorali per la prima volta. A Malta, invece, nel 2018 si è deciso di cambiare la Costituzione, permettendo di essere elettori a soli 16 anni, mentre per essere candidabili bisogna aver compiuto 18 anni. Anche la Grecia ha deciso di dare fiducia ai giovani che, nel 2015, si sono recati alle urne per rinnovare il parlamento. Infine, l’Ungheria concede la possibilità del voto ai diciottenni ma ai cittadini che si sposano a 16 o 17 anni viene fatta una deroga e possono votare, visto che il matrimonio concede loro i benefici derivanti dal raggiungimento della maggiore età.
Non dobbiamo trascurare, poi, il fatto che in alcuni Paesi il voto ai sedicenni è concesso per le elezioni locali. È il caso della Svizzera e della Scozia. Insomma, attorno a noi il mondo si appresta a “ringiovanire” le carte Costituzionali con lo scopo di responsabilizzare i giovani, mentre l’Italia rimane ancorata a decisioni prese in un passato ormai lontano. Certo, il dibattito risulta essere molto vivo e, se da una parte c’è chi reclama un cambiamento, dall’altra vi è chi mette in discussione la maturità degli adolescenti di oggi.
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Favorevoli e contrari: ecco le loro ragioni
Ma partiamo dalle basi. La nostra Costituzione stabilisce che per poter votare per la Camera dei Deputati occorre avere almeno 18 anni, mentre per il Senato ne servono 25 anni. A tal proposito, nel 2019 la Camera aveva largamente approvato una legge costituzionale che avrebbe addirittura consentito di eleggere senatori e senatrici di soli 18 anni d’età. Ma tale proposta si bloccò in Parlamento senza mai concretizzarsi. Secondo chi si professa contrario all’abbassamento della soglia d’età, i giovani d’oggi non sono abbastanza maturi, istruiti o anche solo responsabili per poter svolgere un atto così importante. Per loro, dunque, rispetto agli adolescenti degli anni settanta del Novecento, Millenials e GenZ sono meno interessati alla politica.
Inoltre, sempre secondo gli scettici, i ragazzi possono essere facilmente influenzabili, soprattutto dai loro stessi genitori, e questo non farebbe altro che rafforzare il voto di chi già lo fa da decenni. Per altri ancora, nel sollevare questa proposta si trascurano delle iniziative che, invece, possono aiutare maggiormente i giovani: si deve abbassare la soglia di età per garantire più rappresentanza, oppure, è meglio focalizzarsi sul problema occupazionale che oggi affligge gran parte dei ragazzi? È giusto coinvolgerli nella politica senza aver risolto il problema dell’uguaglianza o dell’uso distorto dei social network?
Infine vi è chi discute sull’aspetto pratico. Per poter garantire ai sedicenni il voto si deve modificare l’articolo 2 del codice civile oppure direttamente la Costituzione. In questo secondo caso, si potrebbe incorrere nel rischio di irragionevolezza della riforma, visto che l’età del raggiungimento della maturità ordinaria (18 anni) è diversa. Una volta che la Costituzione ammette qualcosa, naturalmente, non può essere incostituzionale ma in tal caso l’articolo 2 del codice civile potrebbe risultare tale. Inoltre, se si interviene su quest’ultimo testo si deve essere consapevoli dei mutamenti a cascata che ne seguono e che rischiano di destabilizzare il sistema. Dal punto di vista civile, ad esempio, abbassare la soglia minima di età al voto potrebbe avere delle conseguenze in materia di matrimonio, di assegni familiari e di conseguimento della patente di guida delle autovetture.
Ma non tutti sono così pessimisti. Tra chi si ritiene a favore di tale proposta vi è chi sostiene che l’età media, in Italia, è così alta che, anche se tutti i giovani andassero a votare, non inciderebbero più di tanto sull’esito finale. Questo svantaggio lo si nota soprattutto se si considera che i ragazzi sotto i 18 anni non possono votare mentre gli anziani possono continuare a farlo fino alla morte. Ma, per i favorevoli alla riforma, aprire le urne alle generazioni è lo stesso importante. Visto che sono loro quelli che vedranno lo svilupparsi degli effetti prodotti dalle politiche attuate e decise oggi e, dunque dovrebbero essere proprio loro i primi a stabilire quale dev’essere l’impronta da dare a un determinato argomento pubblico.
Inoltre, non è vero che i giovani di oggi sono disinteressati alla ‘cosa pubblica’. Sempre più ragazzi, infatti, si impegnano a partecipare e, in taluni casi, anche a protestare su alcune tematiche molto sentite dalla società contemporanea: per proteggere il clima, per la parità di genere, per contrastare la violenza sulle donne, ecc. Occorre anche considerare che estendere il diritto al voto ai sedicenni non provoca alcun costo alle casse dello Stato. Chi non ha ancora diciotto anni, inoltre, può benissimo stipulare un contratto di lavoro e pagare le tasse, di conseguenza potrebbe essere legittimo riconoscere il loro diritto a partecipare attivamente alle decisioni che riguardano il futuro dell’Italia.
Voto a 16 anni: un modo per dare fiducia ai giovani
Non sappiamo se questa ri-proposta di Letta vedrà mai la luce ma, al di là di ogni posizione e argomentazione, forse dovremmo considerare che concedere il voto anche ai 16enni può essere un modo per dare fiducia alle nuove generazioni sempre più isolate e abbandonate.
Sono molte le difficoltà a cui andremo incontro nei prossimi anni ma la Generazione Z rappresenta il futuro del nostro Paese e investire su di loro significa istruire e potenziare il bene intellettuale del domani. La democrazia richiede partecipazione e quest’ultima va incentivata attraverso il coinvolgimento di ogni fascia d’età. Voi cosa ne pensate? Siete pro o contro questa interessante proposta?
Stefania Ruggiu, La Politica Del Popolo