
Ma negli ultimi anni il dibattito si sta accendendo proprio in questo senso: è giusto sottoporre a questo bipolarismo tutte le persone trans o coloro che non si sentono racchiuse in un solo genere?
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Il genere alle elezioni: le persone trans e non binarie non sono tenute in considerazione
La distinzione degli elettori per genere avviene, dunque, da anni, ma nelle ultime tornate la pratica sta destando parecchie polemiche, provenienti soprattutto dagli attivisti per la privacy e da quelli per i diritti della comunità LGBTQ+.Questo perché gli attivisti denuncia le difficoltà alle quali andrebbero incontro sia le persone che hanno cominciato una transizione di genere ma che non hanno i documenti di identità aggiornati, e quindi sono iscritti al registro elettorale corrispondente al genere assegnato alla nascita, sia quelle che per altri motivi non hanno chiesto il cambio sui documenti, sia quelle con identità di genere non binaria, cioè persone che non si riconoscono né nel genere femminile né in quello maschile (e rifiutano la concezione binaria del genere).
Non sono poche le storie arrivate sui social in cui le persone trans e non binarie hanno denunciato di essere state riprese per essere “nella fila sbagliata” e di essere state spinte a esporre esplicitamente al seggio il loro percorso di transizione, ottenendo reazioni di imbarazzo e disgusto. Per evitare questo coming out forzato, sono molte le persone che hanno dichiarato di preferire l’astensione.
“Io sono io voto”: la campagna per il riconoscimento dei diritti delle persone transgender ai seggi
Per cercare di portare questo tema al centro della discussione è nata “Io Sono Io Voto”, una campagna nazionale promossa dalle realtà che in Italia si occupano del riconoscimento dei diritti delle persone transgender per l’ottenimento di seggi elettorali accessibili, inclusivi e rispettosi per le identità Trans*.Questi attivisti fanno appello al Ministero degli Interni e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per cambiare le procedure di voto previste dall’Art. 5 del DPR n° 223 del 20 marzo 1967 che ad oggi, come si legge sul sito, rappresentano "una limitazione all’esercizio del diritto di voto per migliaia di persone transgender e non binarie costringendole a coming out forzati".
Infatti, secondo i dati del TMM Trans Murder Monitoring di TGEU – Transgender European Network, l’Italia da anni si posiziona tra i primi paesi in Europa alla pari della Turchia per il numero di crimini d’odio nei confronti delle persone transgender, anche l’ultimo report di ILGA Europe – International Lesbian Gay Association conferma che l’Italia è scivolata al 35° posto nella Rainbow Map che traccia episodi di omo-lesbo-bi-transnegatività.
Per questo, costringere la comunità trans a coming out forzati in ambienti non preparati ad accoglierli, significa, secondo gli esponenti della campagna, esporre le persone alla non remota possibilità di divenire bersaglio di ostilità, discriminazioni e violenza in virtù della propria identità di genere.