
“Piacere di conoscerti", ha detto Barbie, raggiante. “Ciò che fa piacere a Barbie fa piacere anche a me”, le ha fatto eco Ken. Io ho stretto le mani a entrambi e mi sono seduto al tavolo, con loro. Poi ho detto: “Iniziamo con l’intervista?”.
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Intervista immaginaria a Barbie
Barbie mi guardava e sorrideva. Anche Ken mi guardava, ma avevo l’impressione che cercasse più che altro l’immagine di Barbie riflessa nelle mie pupille.“Allora”, ho esordito io. “Siamo a settembre, il mese del rientro a scuola”.
“Il primo giorno di scuola è sempre stato speciale”, ha detto Barbie portandosi le mani al petto. “Ricordo i vestiti che ho indossato in occasione di ogni primo giorno”. Poi si è fatta per un attimo pensierosa e ha aggiunto: “In effetti mi ricordo i vestiti che ho indossato ogni singolo giorno della mia vita”.
“Hai una buona memoria”, ho commentato.
“Mi piace ricordarmi delle cose belle!”.
Ken, intanto, cominciava ad annoiarsi. A un certo punto, si è alzato dalla sedia e ha cominciato a fare qualche flessione. “Guarda Barbie, guarda quante riesco a farne”.
Ma lei aveva occhi e parole solo per me: “Sai, i vestiti sono importanti”.
Ho annuito con convinzione. Forse con troppa convinzione. Dopodiché le ho chiesto: “Consigli per gli studenti che tra poco torneranno in classe?”.
“Scegliete bene i vostri vestiti”.
“Okay, e poi?”.
“Anche il trucco è importante”, ha aggiunto lei.
“Qualcosa da un punto di vista… non so… un po’ più emotivo?”.
“Ah bravo!”, ha esclamato lei. “Ecco una dritta: se vi emozionate per la troppa gioia, piegate il busto in avanti e piangete verso il basso, così le lacrime cadranno direttamente a terra senza rovinare il trucco!”.
“Non intendevo questo con emotivo”, ho detto io. “Pensavo più a un consiglio su come affrontare l’ansia, per esempio”.
“Ansia?”, ha chiesto Barbie, sorpresa. “Perché ansia? La scuola è un posto così speciale! Le pareti della mia classe erano tutte rosa”.
“Sì, non lo metto in dubbio”, ho detto io. “Ma non tutti vivono il ritorno a scuola nello stesso modo, soprattutto dopo la lunga pausa delle vacanze estive”.
“Ma la scuola è vacanza! Tutto è una vacanza, tutto è così meraviglioso e perfetto!”.
“Beh, diciamo che non è così semplice la questione… Non tutto è perfetto”.
“E poi i capelli”, ha ripreso Barbie, trascinata da un’altra punta di entusiasmo.
“Cosa?”.
“Un altro consiglio è di prendersi cura dei capelli. Non asciugateli con un fon troppo potente. Potrebbero sfibrarsi”.
“Okay”.
“Ehi Barbie!”, ha gridato Ken, che nel frattempo aveva sottratto un Super Santos a un bambino e aveva cominciato a palleggiare. “Guarda qui, secondo me arrivo a cento”.
“Ridai subito la palla a quel bambino!”, gli ha intimato lei.
Ken ha immediatamente smesso di palleggiare e, con un lancio da manuale, ha restituito il pallone al piccolo proprietario. Poi si è girato verso di noi, facendo l’occhiolino: “Ehi Barbie, hai visto come gliel’ho ridato bene?”.
Ma lei già non gli prestava più attenzione. “Cosa dicevamo?”, mi ha chiesto con un nuovo sorrisone da guancia a guancia.
“Dicevo che non tutto è perfetto”.
“Come no?”.
“La perfezione non esiste, e va bene così. Tutte le cose cambiano, quindi per definizione non possono essere perfette, altrimenti rimarrebbero così come sono. Ma sono proprio le imperfezioni che ci muovono, sono i difetti che ci rendono noi stessi, diversi da tutti gli altri”, ho detto io, lasciandomi trasportare dal flusso dei pensieri. “L’immagine del successo è più o meno per tutti uguale. E proprio per questo quel successo non esiste, è solo un feticcio astratto. Il successo diventa reale solo quando parte dai nostri difetti, quando cioè riusciamo a cucircelo addosso”.
Barbie mi fissava con una certa preoccupazione. “E le mie unghie, allora?”, mi ha chiesto, porgendomi una mano sopra il tavolo come contro-argomentazione.
Sospirando, mi sono sporto in avanti. Le ho preso la mano e ho osservato dettagliatamente ogni singolo dito. Alla fine, ho convenuto: “In effetti sì, le tue unghie sono perfette”.
Ken, con gli occhi lucidi e una mano sul cuore: “Oh, la mia Barbie perfetta”.