Redazione
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Grammatica

L’italiano è un patrimonio che tutti dichiarano di amare, salvo poi maltrattarlo senza troppi scrupoli. 

Lo conferma un’indagine condotta da Libreriamo - portale di riferimento nel nostro Paese per l'informazione culturale - in occasione del lancio del book-game “501 quiz sulla lingua italiana”: quasi 7 italiani su 10 (68%) inciampano regolarmente nella grammatica, tra apostrofi errati, congiuntivi in libertà, pronomi a caso e scelte ortografiche discutibili. 

I risultati fotografano, dunque, un popolo che vive un rapporto contraddittorio con la propria lingua: la considera un simbolo identitario, ma la usa con crescente superficialità. 

E gli esempi che emergono dai social, dai commenti online e persino dalle conversazioni quotidiane rivelano non solo imprecisioni ricorrenti, ma vere e proprie “creazioni linguistiche”, che a volte sfiorano il surreale.

Indice

  1. L’errore più amato dagli italiani? L’apostrofo, ovviamente
  2. Congiuntivo, pronomi, verbi: l'errore che diventa abitudine
  3. Evacquare, profiquo, squotere
  4. “Un po’”, “ed”, “ad”: i dubbi che resistono a tutto
  5. Gli errori più originali: dal “cortello” alle “salcicce”
  6. Leggere, scrivere, giocare: le tre strade per tornare padroni della lingua

L’errore più amato dagli italiani? L’apostrofo, ovviamente

Le difficoltà maggiori riguardano l’apostrofo, nemico storico di chi scrive: il 62% delle persone va in crisi al suo cospetto. Lo studio evidenzia dubbi ricorrenti persino sulle formule più elementari: “qual è” continua a trasformarsi in “qual’è”, mentre espressioni come “un’amica” e “un amico” confondono ancora molte persone. 

Il problema tocca sia l’elisione sia il troncamento: non a caso “un po’” rimane uno dei casi più frequenti in assoluto, con la forma accentata (“pò”) che dilaga persino in testi formali. 

Congiuntivo, pronomi, verbi: l'errore che diventa abitudine

Accanto all’apostrofo, il secondo grande scoglio è il congiuntivo, "besti nera" per il 56% degli italiani. L’indagine, in questo caso, riporta esempi che molti italianisti conoscono fin troppo bene: “L’importante è che tu hai superato l’esame” resta uno degli strafalcioni più diffusi, nonostante la forma corretta sia “che tu abbia superato l’esame”. 

A questo si aggiunge l’uso incerto dei pronomi, problematico per il 52% dei nostri connazionali: “Gli ho detto che era molto bella” e simili non sono certo una rarità.

Un'altra questione davvero ampia riguarda la declinazione dei verbi - difficoltosa per il 50% degli intervistati - soprattutto quando si tratta di scegliere i verbi ausiliari e i tempi.

Esempi come “ho andato al cinema” mostrano, inoltre, come la difficoltà sia legata anche a una vera perdita di confidenza con la struttura generale della lingua.

Evacquare, profiquo, squotere

Tra gli errori ben presenti nella nostra quotidianità, c’è poi un uso incerto di C e Q (48% il tasso di rischio). Un altro classico che, dai banchi delle elementari, continua a perseguitarci nell'età adulta. 

Le forme citate nell’indagine – evaquare, profiquo, squotere, risquotere – raccontano di una confusione piuttosto radicata, che esplode nello scritto.

Una difficoltà analoga riguarda l’accento da mettere su “né” (il 44% tende a sbagliarsi): un passaggio spesso ignorato quando usato come negazione.

E poi c'è la punteggiatura vittima di un frequente uso “creativo” da parte del 39% delle persone: virgole collocate a caso, due punti sacrificati, punti e virgola spariti dal repertorio. C'è un po' di tutto.

“Un po’”, “ed”, “ad”: i dubbi che resistono a tutto

Torniamo poi al po’, e alle sue varianti “un po’”, “un po” e “un pò” (trattate con superficialità dal 37% della popolazione). Interessante notare, qui, come le forme sbagliate compaiono con estrema facilità persino in lavoro professionali.

Si segnalano, inoltre, le coppie “e”/“ed”, “a”/“ad” (ci deve fare i conti il 35%), spesso usate senza criterio. Un esempio su tutti? “D’accordo”, che spesso si trasforma in “daccordo”. Senza, ovviamente, dimenticare ogni variazione possibile di “avvolte”, che sigla la sua presenza più che spesso.

Gli errori più originali: dal “cortello” alle “salcicce”

Non mancano neppure gli strafalcioni che meritano una categoria a parte. “La ceretta al linguine”, segnalato dalle estetiste, è uno degli esempi più esilaranti. 

Seguono le parole trasformate da abitudini digitali (“Ke cosa facciamo?”, “mi piace tt questo”, “nn sopporto chi scrive così”) e altre che attingono al folklore delle storpiature: “pultroppo”, “propio”, “salciccia”, “cortello”.

Stando ai dati, dunque, la creatività involontaria degli errori non sta diminuendo: anzi, sembra accompagnare l’espansione dei social e della comunicazione informale.

Leggere, scrivere, giocare: le tre strade per tornare padroni della lingua

La ricerca mette in fila, però, anche dei possibili rimedi al dilagare dell'orrore, raccolti grazie al contributo di sociologi e letterati. Il più citato è leggere con regolarità (66%), ancora oggi l’esercizio più efficace per assimilare regole e sintassi senza sforzo. Subito dopo abbiamo: il ritorno alla scrittura a mano (43%), l’invito a limitare l’uso abituale dei chatbot (55%) e il consiglio di ridurre anglicismi e neologismi estranei all’italiano (51%).

Un ruolo importante, infine, viene attribuito anche alla dimensione ludica: allenare la mente “giocando” (47%) con esercizi di recupero attivo permetterebbe di consolidare efficacemente ciò che si sa e recuperare ciò che si dimentica.

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